I forzati della risata tanti soldi poche idee

I forzati della risata tanti soldi poche idee polemica. Perché i comici televisivi non fanno più ridere? I forzati della risata tanti soldi poche idee TI MILANO A satira, oggi in Italia, è 1 ! uno dei modi migliori per I i fare soldi». La massima M±} finto-brillante e in realtà disperata di David Riondino, presidente dell'ultimo b penultimo festival satirico (se ne tiene uno alla settimana), inquadra bene la tragedia e l'angoscia che attanagliano oggi le numerose bande satiriche italiane. Travolte da un ubriacante, insensato successo. Far soldi con la satira è un'arte antica di millenni. Da sempre il pubblico ama due cose: le storie e il riso. Poiché nessuno sa più raccontare storie, tutti provano a far ridere. Ma in troppi vi riescono. Qualcuno l'ammette. Dario Vergassola, vincitore di Sanscemo e dell'ultimo o penultimo premio alla satira di Viareggio, si presenta così: «Appartengo a quella categoria di persone che ieri raccontava scemenze al bar e oggi deve scegliere tra quattro inviti ad altrettante trasmissioni, tre proposte di scrivere un libro, un paio di premi, eccetera». Non c'è gusto in Italia a essere intelligenti, scrive Freak Antoni. Figurarsi a fare gli scemi davanti a un pubblico comunque disposto a sbellicarsi, purché l'omino sul palco conti un certo numero di «passaggi» da Costanzo o su Raitre, atti a fornirgli la patente ufficiale di «comico». Sarà per questo che i satiristi d'Italia visti da vicino sono tanto lugubri e i settimanali festival (o premi) della satira si rivelano le più deprimenti tra le occasioni mondane. Con gli autori pronti a trasformarsi nel loro pubblico e ad assumerne i tic peggiori: applausi finti, risate a comando, richieste di bis del bis. Soltanto con l'aiuto dell'alcol, come nelle adunate di alpini, si ottengono brandelli di verità. Confessioni amare, fermi propositi di cambiar vita e mestiere, inni da bohémien al «si stava meglio quando si stava peggio» nelle cantine e in teatri semivuoti - e soprattutto feroci battute sui colleghi. Queste, purtroppo, da non scrivere. E' con questo bello spirito che ci avviamo a un'altra stagione televisiva di comicità obbligatoria. Il rumore delle risate preregistrate copre a malapena i lamenti dei forzati della risata. Marco Giusti ha appena detto che «Blob è alla frutta, dovrebbe finire». Ma nessuno lo ascolta: che hai preparato oggi? Beppe Grillo telefona ogni giorno angosciatissimo a Stefano Benni, per piangere assieme. Non sa se deve tornare in televisione. L'ultima volta che è stato avvistato voleva tenere una lezione all'Università con Rubbia sul futuro dell'ecosistema. Michele Serra scrive cose gravi e pensose, non ha più cuore di infierire su Craxi e continua a rimpiangere i mottarelli e le bottegucce di una volta con le insegne al neon e l'odore della liquirizia. Antonio Ricci, inventore di rare macchine comiche nella tv Anni Ottanta («Drive in», «Matrioska», «Lupo Solitario»), ha già cambiato mestiere, senza dirlo. L'unica cosa che lo eccita ancora è la missione sociale del Gabibbo. Dice: ((Abbiamo istituito un numero verde e in pochi giorni siamo a seimila segnalazioni d'intervento». Di far ridere, si vede lontano miglia, non gliene frega più nulla. D'altra parte è conscio di essere inferiore all'impresa: «Bruno Vespa che intervista Forlani prendendolo sottobraccio è comunque inarrivabile. Tanto vale mettersi a fare i giornalisti». Più o meno sulla stessa linea è Piero Chiambretti, al quale però la commissione interna del Tg3 ha sbarrato il passo. Un caso limite è Gene Gnocchi, scrittore raffinato, cantastorie di una provincia fantastica («Una lieve imprecisione») con l'hobby fortunato di una comicità eccentrica, almeno nel pecoreccio panorama italiano. Ha cercato di smettere in ogni modo per dedicare le energie al secondo libro: piantando a metà' spettacoli teatrali e riprese televisive, rifiutando contratti e sponsorizzazioni. Niente da fare. Vogliono che faccia il comico. Al sinistro grido del vecchio avanspettacolo: facce divertì. E Gnocchi, per ripicca, si lancia in scommesse sempre più rischio- se. Non ha mai fatto satira sui politici. E nemmeno sui personaggi della tv. Il genere più semplice, «inesauribile e di facile presa, un genere che la televisione autoalimenta guardandosi bene dal censurare», come scriveva a proposito di TognazziErVianello il grande Sergio Saviane - inarrivato maestro di giornalismo satirico - sull'Espresso del 1959, trent'anni prima di ((Avanzi». «La politica, la televisione - spiega Gnocchi - sono vecchi arnesi da satira. A me piace il dettaglio. Il tramonto di Craxi m'interessa meno del disagio di un barbiere di Fidenza». Il suo ideale di satira sarebbe «l'equivalente televisivo delle vignette di Altan». Sagge e malinconiche parole. Ma c'è qualcuno che ancora si diverte a divertire le masse televisive? Uno l'abbiamo trovato, Paolo Rossi. Forse perché di tv ne ha fatta pochissima. Lui stesso è un mostro da scoprire per il pubblico e per i critici che sorprendentemente si sorprendono del suo turpiloquio - notissimo a chi l'ha visto sul palcoscenico - e dei testi «tosti» di Gino & Michele, scritti due anni fa e rappresentati in tutte le piazze teatrali d'Italia. Tanto che Gino Vignali promette novità nelle prossime puntate: «Stiamo scrivendo in corsa, cercando di entrare in diretta con l'attualità. Ma senza cadere vittime del meccanismo: la gente vuole questo. I politici, a parte Bossi, sono ormai inservibili. I personaggi televisivi non meritano tanta pena. Vorremmo parlare di sentimenti, di cose realmente importanti. Magari falliremo. Ma in dieci anni di lavoro per la televisione è la prima volta che ci divertiamo davvero». E si vede. Sarà che si trovano tra amici, sotto un tendone, lontano dalla banalizzante aria degli studi Rai. Sarà che dà emozione la nascita «televisiva» di un mostro come Paolo Rossi, partorito al teatro dalla coppia Fo-Jannacci, figlio spùrio della migliore tradizione surreale milanese. Uno che non «buca» lo schermo: lo travolge. Con lo sguardo da santo bevitore, la faccia da profeta barbone, il linguaggio da Naviglio, i raptus da saltimbanco. Ma Rossi è arrivato tardi e da lontano. Esordi da fratellino Marx della Padania: «Mi esibivo nelle feste di paese, nei matrimoni, nelle sagre. Dove il pubblico, se non lo fai ridere, ti mena». Secondo Arnaldo Bagnasco, una vita alla Rai, è l'unica novità satirica della stagione: «I comici ormai si dividono in due categorie, che non sono destra e sinistra. Sono: vivi e morti. La maggior parte della comicità televisiva è roba da o, Storio. Il più macabro è Ricci. Sforna una comicità da fax, scheletri di battute, fantasmi di umorismo. Colpisce con la ripetitività dei serial killers. L'omologo di Ricci, a destra, è rappresentato dalla banda di Crème Caramel. Gente che vive un dramma profondo. Senza più Craxi, che ne sarà di Zerbinati? Sopravvivrà Oreste Lionello alla fine di Andreotti? Come vede, è tutto molto penoso. Un supermarket di merci avariate». Non salva neppure i baluardi di Raitre, la sua rete. «"Avanzi", "Blob"? Sono compitini in classe per un pubblico selezionato e di sinistra, comunque d'accordo a prescindere dal risultato comico. Erano assai più coraggiosi Grillo, Benigni e il trio Lopez-Solenghi-Marchesini, che portavano l'attacco al cuore dello Stato televisivo, lo show del sabato sera. Ma ora sono ridotti a rifare se stessi, come gli altri. Schegge viventi». E tra i vivi? «Vivo è Grillo, che infatti attraversa una crisi pazzesca, come direbbe lui. Paolo Rossi dà forti segni di vitalità. Ma deve ancora nascere. I testi sono inadeguati alla sua pre-potenza di comico. Come tutti quelli troppo bravi, il primo Benigni per esempio, è scomodo da inquadrare. Sembra che debba uscire dallo schermo da un momento all'altro». Il giudizio finale, affidato a Bagnasco, è apocalittico, come si conviene a ogni articolo sulla satira che si rispetti. «Questa comicità è brutta perché è invecchiata assieme a tutta la televisione. La spia di questa sclerosi generale è il pessimo livello della pubblicità, che è il principale genere televisivo. Guardi lo spot celebratissimo di Fellini: è disarmante. Ma davvero gli hanno dato tutti quei soldi? E dire che fanno i banchieri. La pubblicità per anni ci ha fatto ridere più dei programmi comici. Ora i creativi, quando vogliono fare gli spiritosi, usano battute alla Pippo Franco, oppure riciclano il vecchio Verdone, il primo Chiambretti. Se non migliora la pubblicità, la tv rischia di morire di noia». Curzio Maltese Grillo in crisi pazzesca Chiambretti stoppato Blob è alla frutta Ricci cambia mestiere A sinistra Beppe Grillo, l'indeciso, e (qui a fianco) Antonio Ricci, scettico. A destra, il nuovo mostro Paolo Rossi lindeciso, e (qui a fianco) Antonio Ricci, scettico. A destra, il nuovo mostro Paolo Rossi santo bevitore partorito V alla coppia Fo-Jannacci testi di Gino & Michele Nelle foto a lato due comici tv popolarissimi e scomodi: Chiambretti (a sinistra) e Benigni // santo bevitore partorito dalla coppia Fo-Jannacci coi testi di Gino & Michele Nelle foto a lato due comici tv popolarissimi e scomodi: Chiambretti (a sinistra) e Benigni Michele Serra. Scrive cose pensose, non ha cuore di infierire su Craxi e continua a rimpiangere i mottarelli

Luoghi citati: Bagnasco, Fidenza, Italia, Milano, Viareggio