Per Pavarotti si paga, la Fiera sloggia, la Borsa sorride di Valeria Sacchi

Per Pavarotti si paga, la Fiera sloggia, la Borsa sorride NOMI E GLI AFFARI Per Pavarotti si paga, la Fiera sloggia, la Borsa sorride Il sindaco di Milano Piero Borghini è stato netto: niente inviti a politici, parapolitici e boiardi di Stato per la prima della Scala. Si toma ai tempi pre era Pillitterv Chi vuol sentire Pavarotti nel Don Carlos, paghi. Unica eccezione per Norberto Bobbio, invitato d'onore, simbolo di una tradizione laica e rigorosa. Ridotta a brandelli dal circuito informatico di Antonio Di Pietro, la numero uno (per il momento, poiché Roma incalza) delle tangentopoli italiane tenta di ritrovare la bussola, ripartendo dalle tradizioni. Come la Scala. E si interroga. Dove andare, e con chi? Con Mariotto Segni, come suggerisce Montanelli, l'Obi Uan Kenobi delle bussole giornalistiche, o con l'Umberto Bossi Pavarotti made in Mila- alla Scala no? La discus- Bobbio ospite d'onore sione e in atto. Anzi più discussioni. Dalle tribune de «Il Giorno», di cui è divenuto opinionista, Angelo Rizzoli, prende spunto dai funerali di Lu- g eia, moglie di Raffaele Mattioli, e scrive categorico: Milano la Grande non c'è più. Orgoglioso di essere sulla stessa lunghezza d'onda di Carlo Bombieri, che vent'anni fa non riuscì a succedere a Mattioli alla presidenza della Comit. Curioso che, proprio in questi giorni, in quella Commerciale di cui Rizzoli e Bomberi lamentano il declino, la scelta del nuovo amministratore delegato confermi la vittoria della «tradizione». Pietro Grandjacquet viene dall'interno della banca, non ha tessere di partito. Fin troppo facile concludere che, a «non esserci veramente più», siano An- giolone e il delfino di Don Raffaele. Per esserci, alza la voce il presidente della Fiera di Milano, Cesare Manfredi, minacciando di traslocare baracca e burattini in altra contrada: Chivassc, Novara, forse Alessandria. Perché l'intera questione è di nuovo arenata. Ma i ben informati sostengono che la fine sarà un'altra: metà Fiera al Portello, dimagrito di cubatura, e metà Fiera nella Fiera attuale. Più comodo di così. Intanto, a Milano tornano a far acquisti gli svizzeri. La svalutazione della lira e il rialzo del franco rendono conveniente il triangolo d'oro della città. Sabato scorso, passeggiava per via Manzoni Marc Lusser, governatore della Banca Rizzoli centrale elve- critica Milano Monti il consulente tica. Subito qualcuno ha associato la sua presenza alla privatizzazione del Credito Italiano. Chissà! Magari l'Ubs aspira ad entrare nel nocciolo duro dell'istituto guidato da Piercarlo Marengo e Giuseppe Bruno. Niente di tutto questo. Il Carlo Azeglio Ciampi della Confederazione accompagnava la moglie nello shopping. Sulle privatizzazioni continua la battaglia. Soprattutto di parole. Segno che le cose andranno per le lunghe. Entro fine settimana, la commissione per le privatizzazioni nominata dal Tesoro, e di cui fanno parte anche Mario Monti, Luigi Spaventa, Natalino Irti e Francesco Giavazzi, presenterà le conclusioni a Piero Barucci. Il quale le porterà a Giuliano Amato. Solo dopo il visto del presidente del Consiglio (si suppone con la consulenza dell' «esperto» Massimo Pini), il documento verrà reso pubblico. Non ci sono privatizzazioni senza banche universali che si accollino quote delle società privatizzande. Buone ultime, anche le banche italiane sono dunque avviata a questo destino, dopo 57 anni di «separatezza». C'è di che incrociare le dita, soprattutto alla luce dell'esperienza francese che mostra crepe da tutte le parti. Paribas sta attraversando la bufera di Ciments Frangais, una pessima figura. Il suo presidente, André Lèvy-Lang, dovrà coprire il buco nero dell'impresa che ha fatto comperare a Giampiero Pesenti. Anche il collega Marengo Jean-Yves il banchiere Haberer del Crédit Lyonnais ha le sue gatte da pelare: una quota consistente di Adidas, l'azienda di Bernard Tapie la cui cessione a Pentland è sfumata per via di sorprese in bilancio. Senza contare il ricordo della scriteriata e salata avventura in Mgm, a fianco di Giancarlo Parretti. La Banque National de Paris ha dovuto fare accantonamenti pesanti per i fidi ai grandi immobiliaristi, mentre Gerard Worms, presidente del gruppo Suez, piange su due operazioni già vittoriose: la belga Sgb, soffiata a Carlo De Benedetti, e Victoire. Insomma, l'universo bancario di Pierre Berégovoy scricchiola e dimostra, ancora una volta, che il modello tedesco non è facilmente esportabile. Sembra sfuggire alla maledizione il Crédit Agricole, che difatti non toglie gli occhi di dosso da Ambroveneto e da Giovanni Bazoli. Scade oggi il quinto anniversario del famoso crack delle Borse. Fu, infatti, il 19 ottobre 1987 che prese il via, sui computer di Wall Street, il «grande crollo». Una mazzata che scombussolò i mercati e, a cascata, gli assetti di grandi gruppi. Anche il destino di alcuni uomini, ad esempio Mario Schimberni. Per fortuna, il quinquennale cade su una piazza Affari che, ormai da oltre una settimana, è tornata di buon umore. Come aveva previsto, tre settimane or sono, il decano degli agenti di cambio, Isidoro Albertini. Valeria Sacchi Pesenti in guardia Pavarotti alla Scala ospite donore g Rizzoli critica Milano Marengo il banchiere Bd Ti Bernard Tapie in difficoltà Molte ^rane per Berégovoy Pesenti in guardia

Luoghi citati: Alessandria, Milano, Nomi, Novara, Roma