Bush, Clinton o Perot L'Europa perde sempre di Aldo Rizzo

Bush, Clinton o Perot L'Europa perde sempre OSSERVATORIO r- ..„,, Bush, Clinton o Perot L'Europa perde sempre s E il 3 novembre gli europei avessero diritto di voto nelle elezioni presidenziali americane, quale dovrebbe essere il loro candidato? Naturalmente gli europei sono diversi tra loro, sono di destra o di sinistra; ma c'è, o s'immagina che ci sia, un interesse «oggettivo» a che l'America si atteggi, nella sua politica estera, in un modo o nell'altro. Per dire, nel 1948, gli europei, o almeno i governi europei, di qualsiasi colore, fecero il tifo, implicitamente o esplicitamente, per Truman, che aveva già dimostrato di volere e sapere difenderli dalla Russia di Stalin. Nel 1972, furono per la conferma di Nixon contro il «radicale» McGovern. Eccetera. In generale, l'opinione «centrista» europea, che poi è quella che esprime, con diverse sfumature, la classe di governo, è per un candidato che le somigli e che dia adeguate garanzie di stabilità e di sicurezza, stante il ruolo unico degli Stati Uniti nel mondo. Ebbene, nel 1992, chi scegliere tra Bush, Clinton e Perot? Ovviamente, Bush sarebbe più rassicurante. Egli impersona la continuità, la Nato, il legame cinquantennale, politico e strategico, tra le due rive dell'Atlantico, come si dice. Ma impersona anche la crisi economica e sociale, che mina la superpotenza dall'interno e le toglie credibilità all'esterno. Aggiungiamo un imprevedibile e preoccupante calo d'idee. Lo stesso «nuovo ordine mondiale», che poteva essere lo slogan vincente di Bush, dopo il crollo del comunismo e la vittoria nel Golfo, manifesta incertezze crescenti. Certo, nonostante tutto questo, l'America resterebbe una superpotenza militare, capace d'incutere timore e rispetto in ogni angolo del mondo. Clinton, di fronte ad altri esponenti del partito democratico, passati e presenti, ha il vantaggio di essere moderato e realista. Non ha mai mostrato di cercare fughe in avanti. Però rappresenta unAmerica che si racchiude di più in se stessa, che vuole affrontare con maggiore decisione i propri problemi socioeconomici. Alla soluzione, o all'avvio a soluzione, di questi problemi (sempre che ci riesca, che cioè suo programma sia suffi¬ cientemente concreto) egli subordina il ruolo internazionale dell America, o almeno il suo grado, il suo livello. Questo ruolo, comunque, Clinton lo vede non tanto in funzione della «stabilità» (in un mondo che cambia ogni giorno), quanto in funzione di controllo del «movimento». Quindi un intervento selettivo, da valutare di volta in volta, e da affidare a forze mobili più che a stazionamenti costanti di truppe, in Europa e ovunque. L'isolazionismo, come si vede, non c'entra. Ciò non esclude un ripensamento, anche in profondità, della vecchia «filosofìa» delle alleanze. E Ross Perot? Qui tutto è ancora più vago. Certo è ancora maggiore l'attenzione ai fatti interni, pur senza dedurne una disattenzione ai fatti internazionali. Di sicuro c'è che il miliardario texano (nell'improbabile ipotesi che arrivasse alla Casa Bianca) non accetterebbe garanzie e protezioni militari americane che non fossero adeguatamente finanziate dagli alleati. E allora per chi dovrebbero votare gli europei? La risposta è che fortunatamente non devono votare per nessuno. Chiunque vinca (quasi certamente Clinton), si troveranno di fronte a un'America diversa dal passato, in un mondo profondamente mutato. I rapporti tra Europa e America sono stati sempre complessi, nonostante le apparenze; ma c'era quel dato comune e insuperabile della difesa dal comunismo. Ora quel dato non c'è più. In compenso c'è un'America comunque superpotenza, che baderà sempre più ai propri affari, pur senza trascurare pregiudizialmente gli altri, ma imponendo regole competitive, militari e commerciali. La conclusione? L'Europa deve votare per se stessa, per superare la propria «impasse». Ne sarà capace? Il prossimo appuntamento è al vertice di Edimburgo, un mese dopo le elezioni americane. Aldo Rizzo :zo^J