Spinelli, dai partiti lusinghe e delusioni

Spinelli, dai partiti lusinghe e delusioni Nel «Diario» il sogno di un'unità difficile Spinelli, dai partiti lusinghe e delusioni BO conosciuto Altiero Spinelli nelle stanze della redazione del primo Mondo di Mario Pannunzio, quelle di via Campo Marzio, fra marzo e aprile del 1949. Erano i mesi in cui il «movimento federalista europeo» cominciava a prendere un minimo di forza e di consistenza in Italia; e dire «europeista» significava già indicare chi collaborava al Mondo, quella nuova generazione di democratici di terza forza liberali di sinistra, repubblicani, socialisti ereticali - che credeva in un'Europa o in chiave tendenzialmente terzaforzista o in chiave di seconda forza, seconda forza occidentale integralmente raccordata agli Stati Uniti (quale era la posizione di Ugo La Malfa, fin dal manifesto di Ventotene dell'agosto 1941). Tutt'altro che estroverso, Spinelli sembrava dominato da un complesso di timidezza, quasi di riservatezza. Un orgoglio naturale, corretto da una vena laicamente missionaria. Proclive al colloquio approfondito; renitente alle conversazioni superficiali. Mai incline allo snobismo. Partecipe abbastanza sfortunato alla lotta politica. Dopo l'iniziale milizia comunista vissuta nelle carceri fasciste e dopo la svolta del «manifesto» di Ventotene anche rispetto alle ideologie del pei, era approdato, con la Liberazione, al partito d'azione. Aveva condiviso tutti gli slanci e gli eroismi dell'esperienza azionista. Al momento della scissione del '46 aveva scelto la via di La Malfa e di Parri, la «concentrazione democratica repubblicana». Non era stato eletto alla Costituente; aveva avuto difficoltà a collocarsi nella vita italiana (e dovette alla fraternità di Ernesto Rossi un piccolo posto all'Arar). Si capiva, anche da un primo approccio, che era un uomo del tutto diverso dai suoi colleghi politici. Dominato dalla religione dell'Europa sentita come qualcosa di esclusivo e di possessivo, che condizionava tutto e lo rendeva abbastanza indifferente alla scelta delle alleanze o degli schieramenti politici necessari a far progredire la sua causa. Ricordava per certi aspetti Mazzini, il suo esclusivismo, la sua disponibilità a trattare con tutti pur di realizzare l'unità d'Italia. Basta sostituire Europa ad Italia per individuare la componente mazziniana, del resto viva e fervida, in chiave europea, per tutto il secolo decimonono. Ritrovai Spinelli nelle stanze del Mulino di Bologna, all'esordio degli Anni 60, nel corso della mia lunga direzione al Resto del Carlino. E proprio nella tipografia del Resto del Carlino (o meglio dei suoi «poligrafici»), vidi nascere, fin dal I960, L'Europa non cade dal cielo; e vidi iniziare quel lungo, commovente sodalizio intellettuale fra il gruppo degli intellettuali bolognesi democratici e il profeta dell'Europa, il Mose dell'europeismo. Lo stesso sodalizio fedele ha portato il Mulino, in epoca di affioranti difficoltà editoriali, a stampare a distanza di pochi mesi il secondo e il terzo volume del Diario europeo di Spinelli (rispettivamente 1970-1976 e Altiero S 1976-1986) per un complesso di oltre duemila pagine fitte di citazioni, di aneddoti e anche di cattiverie. Una delle più monumentali autobiografie di questo secolo. Il Mulino era nato per alimentare il dialogo fra cultura laica e cultura cattolica. Non conosceva le intransigenze del Mondo; non partiva né da Croce né da Salvemini. Era piuttosto figlio della nuova cultura sociologica e politologica in gran parte di derivazione anglosassone: sia pure rivissuta con finezze ed equilibri europei. Ed era sorretto da una fede che non fu mai ammainata nell'Europa come «Res publica Christiana», nell'Europa come soggetto inconfondibile dei valori culturali, ma al di fuori di ogni retorica, di ogni magniloquenza, di ogni ampollosità (l'Europa come sapore, diceva Montale). Un europeismo scabro ed essenziale quale era quello di Spinelli, destinato a diventare il naturale punto di riferimento di quel gruppo e per certi aspetti di quella generazione. Spinelli aveva influenzato, fra il '50 e il '60, gli olivettiani, il gruppo di Comunità. Si era incontrato con un'istanza federalista affiorante dalle stesse radici europee del Risorgimento (Cattaneo più di Mazzini in questo senso). Ritroviamo la sua firma sul Tempo presente di Silone. E il movimento federalista si intreccia anche con l'associazione per la libertà della cultura, di stampo nettamente anti-totalitario. A chi domandava a Spinelli quali degli statisti da lui conosciuti gli era sembrato «il più profondamente europeista», egli amava rispondere: «Alcide De Gasperi». E l'antico collaboratore di Parri, l'azionista scontento e deluso, il laico intrepido che non tollerava unzioni o deviazioni clericali, amava ricordare l'identità di vedute col presidente trentino sulla questione della Ced, la Comunità europea di difesa, naufragata nel '54 per colpa della Francia. «Non c'è Europa senza un governo comune, senza una moneta comune, senza una difesa comune». Il terzo volume del diario è dedicato tutto o quasi al decennio della battaglia al Parlamento europeo, in cui Spinelli entrò dopo aver accolto la candidatura del pei, il partito della sua giovinezza, ora riaccettato, dopo tanti decenni e tante prove, quale strumento per realizzare l'idea europeista: mercé la linea di Berlinguer. Spinelli, fortemente sospinto da Giorgio Amendola, ottenne tutte le condizioni di li¬ bertà di parola e di giudizio per sedere prima al Parlamento nazionale e poi a quello europeo: rifiutando la camicia di Nesso della soffocante disciplina di partito. Era reduce da una serie di delusioni e di amarezze: quasi un perpetuo scontro con la realtà dei partiti italiani. L'ha raccontato lui stesso, in una pagina che è bene rileggere. «Di fatto, da quando mi son levato ed ho cominciato a predicare la federazione europea, trentacinque anni fa (estate 1941 - manifesto di Ventotene), son venuti da me gli azionisti e mi hanno offerto la codirezione del partito, ma il partito è scoppiato. Poi i democristiani, che hanno appreso, e son giunti per iniziativa di De Gasperi a fare le mie proposte per l'Assembleaihoc. Ma non hanno mai riconosciuto quello che mi dovevano. Poi i socialisti, e Nenni ha chiesto e avuto la mia collaborazione ed abbiamo simpatizzato. Ma il partito è stato indifferente verso di me. Infine i comunisti...». Ed è la stagione del club del Coccodrillo, il momento magico che lo porta a gettare le basi del trattato per l'Europa unita. Ancora Mazzini. C'è una pagina del diario che parla di un suo contatto (e non furono pochi) con Mitterrand e di un memorandum consegnato al Presidente francese per trarne alcuni spunti ed alcune idee. Due solitudini che si incontrano. Si può discutere se tutto il diario, pieno di osservazioni pungenti e talvolta anche ingiuste verso amici e non amici, fosse da pubblicare a così breve distanza dalla morte. E c'è da domandarsi se questa fosse, o meno, la volontà del suo autore (che aveva profondamente ristrutturato il primo volume delle sue memorie lasciandolo fuori dal Diario europeo vero e proprio, che come tale comincia sette anni dopo il manifesto di Ventotene). A tali quesiti sono sempre possibili risposte diverse. Ma la integralità della sua pubblicazione, anche per tutti i risvolti non europei o extra-europei, ha i suoi vantaggi, scopre angoli remoti ed egualmente illuminanti di un ricco e multanime paesaggio spirituale. Uno, per esempio: la linea estremamente critica di Spinelli verso il governo italiano sulla vicenda dell'Achille Lauro e sul caso Abu Abbas nell'ottobre-novembre 1985. Spinelli, che era sempre stato atlantico conseguente ed inflessibile, non riconosceva alla politica estera italiana il diritto, diciamo così extra-coniugale, a «fare una politica mediterranea particolare, e forse di ricambio rispetto a quella atlantica ed europea». E ne imputava i vari statisti italiani: «E' stata una ridicola pretesa del governo si può dire da Moro fino a Craxi». Con una situazione conseguente «seria ma non grave». Spinelli è morto nel maggio 1986 e da allora la situazione si è molto deteriorata, sia in Italia, sia in Europa. Forse la sorte è stata clemente col vecchio e grande patriota «europeo» che vivrebbe oggi la quotidiana smentita al suo ambizioso e straordinario disegno di unità europea. Giovanni Spadolini Altiero Spinelli, «patriota europeo»