ULTIMO TANGO 20 anni di scandalo di Lietta Tornabuoni

ULTIMO TANGO 20 anni di scandalo Il film di Bertolucci usciva nell'ottobre 72 a New York: fu un successo mondiale, un caso giudi2iario ULTIMO TANGO 20 anni di scandalo I sono accorto che l'atto sessuale è la cosa più drammatica che si possa mostrare al cinema», diceva Bernardo Bertolucci. «Somiglia a un assassinio. Qui gli amplessi sembrano delitti. Senza vittima, senza carnefice: con due assassini che tentano di sopprimersi l'un l'altro». Parlava, si capisce, di Ultimo tango a Parigi con Marion Brando e Maria" Schneider, il film di sesso e di morte, bello e condannato, che in questi giorni compie vent'anni: venne proiettato per la prima volta al New York Film Festival nel 1972, d'ottobre, dando inizio alla vicenda più mirabolante e vergognosa che mai abbia accompagnato un film, a un successo mondiale e a uno scandalo italiano unici, a un affascinato turbamento internazionale rispetto al quale Basic Instinct o Nove settimane e mezzo paiono persino ridicoli. Ma era già febbraio, 1973, e Bertolucci sembrava felice. Parlavamo in un caffè di piazza del Popolo a Roma. Era arrivato leggero, stordito, euforico, con addosso un bellissimo cappotto di vicuna color cammello comprato a New York da Saint Laurent. Aveva trentadue anni. Per la prima volta il successo americano piombava addosso a un regista italiano in maniera tanto folgorante: neppure La dolce vita aveva suscitato simili entusiasmi, odii, clamore pubblicitario e frenesie, neppure Fellini aveva avuto le copertine di Time e di Newsweek contemporaneamente: lo definivano The Virtuoso, oppure The Most Exciting, il più stimolante, o anche The Fastest Rising, quello che sale più in fretta; subito adottato dal Beautiful People newyorkese, una domenica s'era trovato a scegliere tra due inviti a colazione, uno della moglie di Ted Kennedy, l'altro della sorella di Jacqueline Onassis, e su consiglio di Andy Warhol aveva finito per andare da Lee Radzwill restandoci appena un'ora; personaggio del momento, per di più bello e giovane, le donne lo avevano corteggiato «con insistenza molto imbarazzante». La parte di volgarità di quel successo, il torvo assalto del pubblico ai cinema, la curiosità smaniosa e triviale intorno a Ultimo tango a Parigi, la parodia con Franco Franchi Ultimo tango a Zagarol, lo sconfortavano un po': «Moravia continua a ripetermi che il successo è come una cosa che si mangia, basta saperlo digerire e non te ne ricordi nemmeno...». Ma era già allarmato per gli attacchi e le iniziative giudiziarie clic in Italia sarebbero durati quindici anni; con molti processi, e una condanna al rogo mai vista prima per un film. A Parigi Ultimo tango veniva lodato («ammirevole e intollerabile», «opera crudele, sontuosa e perversa») e riceveva quel premio Lévy toccato l'anno precedente al Decameron di Pasolini; a New York le file s'allineavano senza fine davanti ai cinema, anche se il settimanale Ti- me riceveva mille lettere di protesta e trecentodieci disdette d'abbonamento da lettori scandalizzati. In Italia il film, dopo essere stato presentato alla Mostra del cinema libero di Porretta Terme, uscì il 16 dicembre 1972, con un taglio cen: sorio di otto secondi. Il 21 dicembre era già sparito dalle sale strapiene di Roma e di Milano, per via di denunce di alcuni cittadini e del conseguente decreto emesso dal sostituto procuratore della Repubblica Amato. Nel gennaio 1973 il tribunale di Bologna ne ordinò il sequestro: secondo il giudice Latini offendeva il comune senso del pudore, era «caratterizzato da un esasperato pansessualismo fine a se stesso», sollecitava «i deteriori istinti della libidine» con «crude e ributtanti rappresentazioni di congiunzioni carnali anche innaturali». Sul serio? Con Marion Brando per la prima volta nudo sullo schermo a quarantotto anni, con Maria Schneider (figlia d'una bibliotecaria romena e dell'attore francese Daniel Gélin) ventenne molto bella, una gran testa di riccioli, una gran bocca aggrondata, una faccia elusiva e tonda di bambina, un corpo strepitoso, il film «racconta di un uomo, di una donna e dei loro rapporti carnali». L'uomo è l'ultimo americano a Parigi, sradicato, non più giovane, vedovo: sua moglie, proprietaria di un albergo sordido, s'è appena uccisa. La donna è una ra- gazza francese borghese, figlia d'un generale: sta per sposare un giovane regista televisivo. I loro rapporti carnali cominciano, repentini e furiosi, la mattina d'inverno in cui si incontrano per caso in un appartamento che tutt'e due desiderano prendere in affitto; continuano in quelle stanze vuote, su un letto-isola. I due non parlano mai di sé né della propria vita, mai del passato né del futuro; fanno l'amore senza volersi conosce¬ re, lasciando il mondo fuori delle porte chiuse, affondando in un erotismo sempre più violento, profondo e ossessivo. Poi lei, sazia sino alla ripugnanza, giovanilmente volubile e alla vigilia del matrimonio, annuncia di non volerlo più vedere. Lui, che sente questo legame come un estremo sussulto vitale, un'estrema arma di difesa contro la morte, non accetta: la insegue attraverso la città, in una corsa affannosa e insisten¬ te, sino alla porta di casa. Annoiata, un poco spaventata, presa dalla cieca esasperazione dei bambini che non tollerano ostacoli ai propri desideri, lei lo ammazza sparandogli sul pianerottolo: «Non so chi sia, non lo conosco, ha tentato di aggredirmi», è la spiegazione che fornisce a chi accorre, il freddo ma non del tutto bugiardo epitaffio d'un amore carnale. Il bellissimo film, diceva Bernardo Bertolucci, nasceva «da un'osses¬ sione molto personale e intima, dalla fantasticheria d'un incontro esclusivamente sessuale, fisico, in un appartamento deserto che non appartiene a nessuno, spinto al limite delle possibilità erotiche... Quella che è diventata nell'immaginario del pubblico la scena-chiave, la sodomizzazione col burro, è assolutamente Bataille, non c'entra col cinema ma con la Storia dell'occhio di Bataille...». Però gli spettatori e i magistrati badavano soprattutto a quella scena divenuta proverbiale, durante la quale Brando fa ripetere alla ragazza, come una litania trasgressiva: «Santa famiglia, sacrario dei buoni cittadini, dove i bambini vengono torturati, dove la libertà viene assassinata...». Pubblico e tribunali concentravano l'attenzione sulle altre scene più erotiche: l'amplesso iniziale in piedi, immediato e vorace; una parodia sessuale della favola di Cappuccetto Rosso; Brando che fa tagliare le unghie della mano dc3tra alla ragazza perché possa meglio infilargli le dita nel sedere; la fantasia di Brando, «Andrò a comprare un maiale e ti farò scopare da quel maiale... faresti questo per me? Di', lo faresti?», e lei «Sì... sì, lo farci»; l'ultimo atto sessuale nella grande sala da ballo popolare dove si danza il tango. Ultimo tango a Parigi venne assolto dal tribunale di Bologna nel febbraio 1973: «Ho sempre pensato che la libertà di espres¬ sione avrebbe trionfato in Italia», disse Bertolucci senza immaginare cosa lo aspettava. Nel processo d'appello il film venne condannato, ma la condanna fu annullata per vizio di forma. Nel 1974, la revisione della sentenza portò a una nuova condanna e a un nuovo ricorso. Nel 1976, la Corte di Cassazione condannò definitivamente il film che intanto aveva incassato oltre sei miliardi, ordinò che le sue 90 copie in circolazione venissero sequestrate e distrutte dandole alle fiamme: «Dio che vergogna essere italiani», scrisse il critico cinematografico Giorgio Polacco e il suo giornale, Momento-sera di Roma, subito lo licenziò. Bertolucci si rivolse con una domanda di grazia al Presidente della Repubblica Leone, chiedendogli di «intervenire per salvare dalla pena capitale non una vita umana ma la sua rappresentazione... lei con la sua famiglia ha avuto occasione d'incontrare il condannato nella saletta di proiezione al Quirinale (a quanto mi risulta, a più riprese)...»; la grazia non era praticabile, ma il ricorso al presidente servì a salvare e conservare tre copie del film alla Cineteca Nazionale. Nel 1977, la Corte d'appello di Roma respinse un ricorso del regista e confermò: per cinque anni, Bertolucci veniva privato dei diritti civili, gli era anche proibito votare. Nel 1982, una proiezione clandestina di Ultimo tango (la copia, in francese, era di proprietà di Fassbinder) provoca un'altra denuncia per «spettacolo osceno». Poi, quattro anni vuoti. Nel 1987, il film torna nei cinema, finalmente libero, e viene distribuito in videocassetta: quindici dei vent'anni di vita di Ultimo tango a Parigi sono stati spesi in un atroce percorso giudiziario italiano. Quando arriva in tv, nel 1988 su Canale 5, il film è irriconoscibile: dalla famosa scena del burro, mutilata dai tagli, sono spariti anche i dialoghi, eppure i giornali cattolici seguitano a tempestare: «Reati in onda». Neanche i tagli, né la tv né i mutamenti del costume, riescono però a rendere innocuo Ultimo tango a Parigi, ancora adesso il film conserva tutta la sua carica di trasgressione e turbamento: rimane scandaloso, non perché sia osceno ma perché, cancellando società e sentimenti, mette al primo posto il romanticismo del sesso, la forza della passione. Magari a neutralizzarlo sarebbe invece bastato dargli quel séguito, immaginato una volta per scherzo da Bernardo Bertolucci: «Maria Schneider spara e ammazza Marion Brando. Arriva la polizia, il medico legale si accosta al cadavere e: "Il bouge, il bouge!", grida. Marion si muove ancora, non era morto, era soltanto ferito. Pronto a rialzarsi, a guarire, a tornare con Maria nell'appartamento fatale. Ma un giorno la porta dell'appartamento si apre: è una seconda ragazza, e così ha inizio una torbida vicenda d'amore di gruppo...». Lietta Tornabuoni La pellicola condannata al rogo Il regista privato dei diritti civili Maria Schneider e Marion Brando in due scene di «Ultimo tango a Parigi»: in 4 anni il film incassò oltre 6 miliardi. A destra il regista Bernardo Bertolucci Maria Schneider in una foto recente