Una congiura del silenzio contro il capitalista Deng di Fernando Mezzetti

Una congiura del silenzio contro il capitalista Deng Prima del Congresso, i duri del pc hanno per mesi censurato il leader per evitare la svolta Una congiura del silenzio contro il capitalista Deng LA GUERRA NELLA CITTA' PROIBITA PECHINO DAL NOSTRO INVIATO Nello scontro, su cui si è giocato il destino di un quarto dell'umanità e l'esito del congresso che si chiuderà domani, le masse non sono state coinvolte. Andando al contrattacco, Deng ha preferito agire con accortezza da grande mandarino, non da rabbioso imperatore preda di eunuchi e amanti. Non gli sarebbe stato impossibile, benché difficile, appellarsi in qualche modo al popolo: ma il suo primo obiettivo rimane la stabilità, che sarebbe stata messa in pericolo dal ricorso alle folle per la difesa del loro crescente benessere. La gente ha capito quel che è successo quando a primavera si sono avuti i primi segnali che Deng stava riuscendo a neutralizzare la manovra conservatrice, le cui conseguenze sarebbero state più fatali della repressione della Tienanmen. Tali segnali sono stati la diffusione a fine marzo di notizie e immagini di un viaggio da lui fatto due mesi prima a Sud, a esaltare il successo delle zone economiche speciali dove senza freni ideologici sono state adottate le tecniche del capitalismo al di fuori di ogni pianificazione di stato. Attorno a quel viaggio, da parte della propaganda del partito è stata eretta per due mesi una muraglia di ostilità e silenzio, per rompere la quale Deng è dovuto ricorrere alle sue ultime forze fisiche e ai più fidi tra i suoi uomini, mobilitando anche i militari. Ora quella visita e le dichiarazioni da lui allora fatte sono esaltati come punto di svolta. Il vero congresso non è quello di questi giorni, ma la lotta intorno a quel viaggio. E' una storia le cui fasi precise sono ancora da conoscere, ma che si spiega con gli eventi interni sullo sfondo del crollo del comunismo in Europa fino al dissolvimento dell'Unione Sovietica. Giugno '89: repressione sulla Tienanmen e proclamazione da parte di Deng che comunque non si toma indietro sulle riforme. Ma riprendono forza i conservatori che egli era riuscito a estromettere da cariche effettive. Autunno '89: crollo del blocco socialista. Agosto '91: fallito golpe a Mosca. Dicembre '91: fine dell'Unione Sovietica. Tutti eventi che mandano a Pechino ondate di choc. L'acuirsi dello scontro è tra fine '91 e l'inizio '92. Il governo è capeggiato da Li Peng, esponente dell'ala dura; il partito da Jiang Zemin, personaggio inco¬ lore, in bilico tra Deng e i duri cui deve l'ascesa al vertice, il maggior esponente dei quali è Chen Yun, 87 anni: personaggio di formazione cominternista, che ha avuto ruoli importanti nella pianificazione dopo la presa del potere. Chen Yun addita gli eventi di Mosca per bloccare le riforme e riaffermare l'economia di piano per prevenire il crollo del sistema. Costretto dalla vecchiaia sulla sedia a rotelle, il vegliardo sostiene la «teoria della gabbia»: pianificazione quale controllo totale della società, non solo economico. La reazione di Deng è opposta: l'unico modo per prevenire che gli eventi sovietici si ripetano in Cina, è far star meglio la gente, e perciò è necessario accelerare le riforme. Arrivano più segnali di queste opposte posizioni, con Li Peng e Jiang Zemin che esaltano a parole la sua linea ma nei fatti cercano di bloccarla. Tramite i propri uomini Deng controlla i militari e i servizi di sicurezza; ma non il governo e il partito, e soprattutto non la propaganda, in mano a elementi schierati con Chen Yun. Estraniatosi da ogni carica, Deng - secondo voci attendibili -affida al generale Liu Huaqing, numero tre della gerarchia militare e a lui vicinissimo, un'inchiesta riservata per conoscere meglio la situazione interna nel partito. Liu accerta l'esistenza di un gruppo che vuol bloccare le riforme, di cui fanno parte, tra gli altri, il direttore del Quotidiano del popolo, e il ministro della cultura, responsabile della propaganda. Deng decide di passare all'azione aggirando Pechino, andando cioè a esaltare il successo delle zone sviluppatesi con la sua politica: il Sud, che è in straordinaria crescita economica. Parte accompagnato solo da due figlie: Deng Rong, 42 anni, che gli fa da segretaria, e Deng Nan, vice presidente della commissione per la scienza e la tecnologia. Entrambe sono la sua voce e il suo udito. Da decenni sordo all'orecchio destro, egli sente ormai di meno anche dall'altro; per l'età ha inoltre difficoltà di parola. Diretto a Sud, si ferma a Wuhan, grande centro industriale, e a Shanghai, dove, come si apprenderà poi, con sfuriate ai locali boss del partito manda messaggi a Pechino: «Parlo, e nessuno mi ascolta, ma questo deve finire. Chi non è per le riforme deve andarsene, non fare come quelli che occupano il cesso senza far niente». Il 18 gennaio è a Shenzhen, al confine con Hong Kong: città capofila delle zone economiche speciali, sorta dal nulla dieci anni fa, ora due milioni di abitanti con un reddito di oltre 7 mila dollari. Rimane nella regione di Canton fino al 20 febbraio, spostandosi in vari centri. Ovunque è accolto con i dovuti omaggi da esponenti del partito, ma stampa e televisione locali e nazionali tacciono sulla visita e sulla esaltazione che lui fa dei successi delle riforme. La muraglia di silenzio è impenetrabile. La notizia della sua presenza nella regione filtra a Hong Kong, i cui giornali cominciano a parlarne mentre quelli della Cina popolare continuano a tacere. E' un braccio di ferro decisivo. Il gran vecchio convoca da Pechino tutti i suoi fidi: il capo dello Stato, Yang Shangkun, il responsabile dei servizi di sicurezza e membro del comitato permanente del Politburo, Qiao Shi, e altri dello stesso calibro. Tra fine gennaio e metà febbraio, mezza dirigenza è a Sud in riunioni e in apparenti festeggiamenti del nuovo anno lunare, ma stampa e propaganda continuano a ignorare tutto, a prova della dura lotta in corso. Nelle visite, Deng liquida sarcastico il dibattito-trappola su cui discettano gli organi di partito, cioè se le riforme sono di natura capitalista o socialista: «L'essenziale è che facciano star meglio la gente»; oppure: «Il problema non è mercato o pianificazione, ma liberare le forze produttive». Intanto il Quotidiano del popolo, deride «quelli che negli Anni Venti andarono all'estero, mentre Mao restò in Cina a preparare la rivoluzione»: preciso attacco a lui, Deng, che andò in Francia. A fine febbraio, apertura di crepe nella muraglia. Sui giornali di Canton appaiono le prime notizie sull'awenuta visita. A fine marzo la muraglia si sgretola. Il Quotidiano del popolo riferisce del viaggio compiuto quasi due mesi prima, la televisione ne trasmette un filmato. Il capo della propaganda e il direttore del Quotidiano deLpopolo restano formalmente al loro posto, di fatto esautorati. A fine aprile, un comunicato del Politburo, evento raro, annuncia che il partito si impegna «per cent'anni sulle riforme». I militari prendono posizione con plotoni di generali che vanno a Sud a visitare gli stessi luoghi, proclamandosi «muraglia di ferro a difesa delle riforme». L'esaltazione del viaggio si intensifica, fino a che nel rapporto di apertura del congresso, il capo del partito lo esalta come punto di svolta: implicita ammissione che si stava per imboccare un'altra strada. Il fatto che si sia trattato di una lotta solitaria di Deng contro un vertice chedo osteggiava è dato dalla scarsità di materiale documentario su quella visita a cui tanto ora si inneggia: il filmato sembra guato da un dilettante, tipo gita di famiglia, non da professionisti. C'è un Deng in giubbettino, con le figlie o un nipotino, senza nulla di ufficiale. Un volume illustrato sulla visita pubblicato a Canton consta solo di 52 foto, fatte dal reporter di un giornalino locale. I plotoni di operatori di altissimo livello di cui la propaganda dispone erano stati tenuti sotto chiave. Conferma di boicottaggio e ostracismo a un vecchio imperatore dato per finito, e che ha invece avuto la forza di lanciare, e almeno per ora, vincere, la sua ultima e più decisiva battaglia. Fernando Mezzetti Nel centro di Pechino campeggia un poster di Deng, segno della campagna propagandistica che ha accompagnato il Congresso