Benigni nel taxi di Jarmusch parodia dell'italiano incivile

Benigni nel taxi di Jarmusch parodia dell'italiano incivile PRIME CINEMA Benigni nel taxi di Jarmusch parodia dell'italiano incivile ROMA di notte: Vespe ronzanti, altarini illuminati dalle candele, mura slabbrate. Con le lenti nere, guidando malissimo, correndo moltissimo, violando ogni regola e ogni senso vietato, Benigni al volante del suo taxi è una parodia dell'italiano incivile e sessuomane: al suo passeggero (altro italiano «tipico», è un prete) vuol confessare per forza i peccati sessuali della sua vita (con una zucca, con una capra, con una cognata), senza accorgersi che il prete sta male, agonizza, muore. Quando il tassista capisce finalmente di star trasportando un cadavere, con bella irresponsabilità italiana lo abbandona, scaricandolo su una panchina: Benigni che parla inces¬ santemente è esilarante, Paolo Bonacelli che non dice una parola è bravissimo. In cinque episodi, attraverso cinque città del mondo (Los Angeles, New York, Parigi, Roma, Helsinki), con cinque protagonisti tassisti, nella stessa notte, Jim Jarmusch mette in scena sul palcoscenico più piccolo del mondo, un taxi, cinque brevi tragicommedie raccontate in uno stile calmo, piacevolmente kitsch: la prima immagine è un mappamondo a cui la macchina da presa s'avvicina localizzando le diverse metropoli; gli episodi sono scanditi da una serie di orologi indicanti l'ora nei differenti continenti. Il film multinazionale e multirazziale riproduce con gli attori il melting pot americano ora esteso all'Europa e la memoria del cinema: se Jarmusch è mezzo irlandese e mezzo cecoslovacco, a New York Armin Mueller-Stahl (attore di Fassbinder) è un ex clown della Germania orientale e Giancarlo Esposito (attore di Spike Lee) è un nero italiano; a Parigi Isaach de Bankolé è africano, a Los Angeles c'è Gena Rowlands (attrice di Cassavetes), a Helsinki ci sono gli attori dei fratelli registi Kaurismaki. Piccole storie: una agente cinematografica propone una carriera alla virile ragazza taxista che rifiuta, ha già altri progetti, vuol diventare meccanico; a un tassista debuttante emigrato da Dresda sembra meravigliosa quella New York (Brooklyn) che per il suo pas¬ seggero nero è degradata e orrida; il tassista nero parigino fa scendere dall'auto due uomini d'affari pure neri che lo sfottono; nell'alba nevosa di Helsinki, il taxi Volvo racchiude quattro ubriachi, l'autista e i suoi tre passeggeri, uniti da una medesima disperazione esistenziale. Stile coatto: inquadrature fisse, valori cromatici diversi per ogni città, l'economia d'un film girato in due mesi con appena tre milioni e mezzo di dollari e attori semivolontari sottopagati. La narrazione a episodi è quella di «Mistery Train», di tante commedie all'italiana e di tanti film di fantasmi-magia giapponesi (è giapponese la Jvc produttrice del film). Il risultato è diver¬ tente, amaro, non eccezionale: ma è bellissimo e commovente lo sguardo di Jim Jarmusch sulla desolazione luminosa delle metropoli notturne, tra sirene della polizia e auto lucenti che scivolano nell'oscurità. Lietta Tornabuoni TAXISTI DI NOTTE di Jim Jarmusch con Benigni, Gena Rowlands, Wynona Ryder, Armin Mueller-Stahl, Isaach de Bankolé, Beatrice Dalle, Paolo Bonacelli, Matti Pellonpàà Commedia. Giappone, 1991 Ambra, Romano Torino; Arcobaleno, Excelslor Milano; Admiral, Capranlca, Maestoso 3, King Roma Roberto Benigni è un italiano incivile e sessuomane nel film di Jim Jarmusch «Taxisti di notte»