«Mio padre sfidò i tedeschi e convinse Mussolini a salvare migliaia di ebrei»

«Mio padre sfidò i tedeschi e convinse Mussolini a salvare migliaia di ebrei» Caso Zamboni, scrive Bastianinijr «Mio padre sfidò i tedeschi e convinse Mussolini a salvare migliaia di ebrei» IGNOR direttore, mi riferisco agli articoli apparsi su La Stampa del 4 ottobre relativi al giusto riconoscimento ottenuto dal Console italiano a Salonicco, Guelfo Zamboni, che nel 1943 salvò numerosi ebrei dalla deportazione tedesca concedendo falsi certificati di cittadinanza italiana. Sono figlio di Giuseppe Bastianini, che dal febbraio al 25 luglio 1943 ricoprì la carica di Sottosegretario agli Affari Esteri. Preciso che, essendo egli uno dei 19 firmatari dell'o.d.g. Grandi, fu processato e condannato a morte nel gennaio del 1944 dal tribunale speciale di Verona istituito dalla Repubblica Sociale. Per una migliore comprensione dei fatti, desidero citare due episodi che trovano rispondenza nella parte pubblicata dell'Archivio storico del ministero Affari Esteri. Nel marzo 1943, il console Zamboni riferì al ministero che i tedeschi avevano iniziato, nella loro zona di occupazione in Grecia, a deportare gli ebrei greci e pretendevano di ammettere al ritorno in Italia solo gli ebrei italiani che possedessero «senz'altro ed in maniera non dubbia la cittadinanza italiana» mentre non ritenevano sufficienti, a questo fine, «la sola richiesta o un semplice titolo per ottenere la cittadinanza». Mio padre, tramite l'ambasciatore a Berlino, Alfieri, intervenne immediatamente presso il ministero degli Affari Esteri tedesco, che aveva emanato la disposizione, facendo presente tra l'altro che «l'accertamento della cittadinanza italiana degli ebrei di cui si tratta non può che essere interamente deferito all'autorità italiana» ed istruendo Alfieri di richiedere al governo tedesco di dare «con carattere di urgenza istruzioni perché vengano sospesi i provvedimenti nei riguardi di quelle persone che saranno indicate dal Console italiano a Salonicco alle locali autorità germaniche in attesa che la nazionalità di dette persone venga accertata». Il 27 maggio 1943 vennero poi inviate alla Rappresentanza diplomatica italiana ad Atene direttive per contrastare le interferenze della polizia tedesca denunciate anche dal Console Zamboni a Salonicco, disponendo che la stessa non venisse autorizzata a svolgere azioni nella zona occupata dagli italiani, che non potesse procedere ad arresti, e che non si desse corso alle richieste di estradizione da parte delle autorità tedesche di «ebrei stranieri e di coloro, ugualmente ebrei, la cui nazionalità è contestata, non per altre ragioni che per questioni razziali». Mi sia consentito infine di aggiungere che i citati interventi di mio padre a protezione degli ebrei non furono né isolati né i soli. Ricorderò gli aiuti agli ebrei polacchi esuli, agli ebrei che si rifugiarono in Dalmazia (la storia della Delasem, la principale organizzazione ebraica di soccorso, ne porta la memoria), per finire agli ebrei che contribuì a salvare nel Sud della Francia. Tanto da vedersi conferire l'ironico appellativo di «ebreo onorario» dal ministro tedesco Von Ribbentrop. Infatti nel mese di marzo del 1943 l'ambasciatore tedesco a Roma Von Mackensen si era recato direttamente da Mussolini per conto di Von Ribbentrop ed aveva ottenuto l'assenso del Duce alla richiesta tedesca che la polizia francese procedesse, nella zona di occupazione italiana, al rastrellamento degli ebrei (stimati in almeno 25 mila). Mio padre, venutone a conoscenza, convinse Mussolini a non dar corso alla richiesta e, con il capo della polizia Senise, potè far mettere a punto un piano per il trasferimento degli ebrei suddetti dalla Riviera in Alta Savoia, dove si estendeva l'occupazione italiana ed esistevano adeguate strutture alberghiere per ospitarli. Lucio Bastianini, Milano