ORSON WELLES Il mio genio per Otello

ORSON WELLES Il mio genio per OtelloQuarant'anni dopo, esce in Italia la versione originale: i retroscena di un film tormentato dagli incidenti ORSON WELLES Il mio genio per Otello OSO S Il mio genio per OtelloIl mio genio perOtello 01 TELLO di Orson Welles, uno dei film più grandi d'uno dei registi più geniali, quarant'anni dopo —Ila sua nascita esce in versione originale sottotitolata nei cinema d'Italia, a cominciare dalla settimana prossima da Milano. Pareva un classico perduto, si raccontava che fosse andato distrutto in un incendio o smarrito in chissà quale albergo parigino: meno romanticamente, una copia era rimasta nei magazzini della XX Century Fox; con il consenso di Beatrice Welles Smith, erede di Welles, figlia sua e di Paola Mori, il film è stato ristampato e restaurato per quanto si poteva (poco, e soprattutto nella colonna sonora, le musiche e gli effetti). Il quarantesimo compleanno di Otello, i cui diritti di distribuzione nel mondo appartengono ora alla Castle Hill Productions, è stato superfesteggiato. All'ultima cerimonia, celebrata due settimana fa per iniziativa del re del Marocco Hassan II a Essaouira, l'ex Mogador dove parte del film venne girata, c'erano Dennis Hopper e Gina Lollobrigida; c'era André Azoulay, consigliere reale per l'economia e i media che a nove anni aveva fatto la comparsa in Otello; c'era il sindaco, a inaugurare una piazza intitolata a Orson Welles; c'era la figliaerede del regista, a ricordare come nell'ultimo tempo della vita il padre si definisse sardonico «un anziano albero di Natale», tanti erano ormai i premi, le decorazioni ricevuti e considerati con infastidita indifferenza. Altre cerimonie di ripresentazione di Otello s'erano già svolte quest'anno al festival di Cannes, alla Mostra di Venezia. Giusto. Il film è straordinario, e la storia della sua realizzazione altrettanto straordinaria: se ogni lavorazione cinematografica è un'avventura, quella di Otello sta fra l'epopea e la tragicommedia. Ci vollero quattro anni tor mentosi (racconta anche Frank Brady nel suo libro «Citizen Welles») per portare a termine il film: e alla fine risultò che Desc'i mona, interpretata dal l'attrice franco-canadese Su zanne Cloutier, non aveva un'u nica voce né un solo corpo. Ce rano state prima di lei altre possibili Desdemone: Betsy Blair, la cui faccia venne giudi cata «troppo moderna», cioè bruttina; Cécile Aubry, che girò per due giorni e poi sparì; Lea Padovani, che era allora l'a mante di Orson Welles ma rup pe con lui dopo aver recitato nel film per un paio di settima ne. Anziché girare di nuovo le scene realizzate con Lea Padovani, Welles le lasciò, pensando che il pubblico non se ne sarebbe accorto: così nel film il corpo di Desdemona è composto da due corpi d'attrici diverse. Durante la post-produzione, si scoprì che occorreva doppiare alcune battute malriuscite di Desdemona: ma Suzanne Cloutier non era disponibile, stava girando un altro film e preparandosi a sposare Peter Usti- nov; Welles prese un'attrice scozzese, Gudrun Ure, e le fece doppiare l'intera parte di Desdemona. Il suono della voce della Cloutier non gli piaceva più, né gli piaceva più il suono della voce di Robert Coote, l'interprete di Roderigo: lo doppiò lui, doppiò pure parecchie altre voci sia di attori sia di generici, e naturalmente era sua la voce di Otello, da lui meravigliosamente interpretato. «Ogni volta che nel film si vede qualcuno di spalle, o con un cappuccio in testa, state pur certi che è una controfigura», dice Orson Welles in «Filming Othello», documentario-conversazione realizzato per la Tv, documento rarissimo: quando mai s'era visto un film di un'ora e mezzo dedicato dall'autore al commento d'una propria opera precedente? Durante i quattro tormentati anni di Otello, mancavano continuamente i soldi per andare avanti. Gli attori sparivano per interpretare altri film; i *ecnici sparivano per lavorare dove erano meglio pagati, o almeno pagati; Orson Welles spariva andando a recitare ne «Il terzo uomo» o ne «La rosa nera» o ne «Il principe delle volpi» per procurarsi i soldi necessari a continuare Otello. Amici di passaggio si prestavano a recitare piccole parti o a far da comparse: Joseph Cotten è un senatore, Joan Fontaine un paggio, Doris Dowling interpreta Bianca. Per risparmiare tempo e danaro, nulla era costruito, tutto veniva trovato o inventato. Niente riprese in studio, soltanto in scenari naturali o ambienti preesistenti, mescolati avventurosamente: Jago (l'attore Michael Mac Liammoir) passa senza soluzione di continuità dal portico d'una chiesa di Torcello a una costruzione portoghese sulle coste dell'Africa; una gradinata toscana e un bastione moresco sono parti d'un medesimo ambiente; lo scontro fra Roderigo e Cassio (l'attore Michael Lawrence) venne girato a Mazagan, l'uccisione di Desdemona da parte di Otello in una cappella sconsacrata di Viterbo, la morte di Emilia in uno stabilimento cinematografico romano. Venezia, Roma, Parigi, Londra, Perugia erano le mete del pellegrinaggio della troupe gi- rovaga: la cittadella di Mogador (Essaouira) in Marocco si rivelò il set ideale per le scene del dramma shakespeariano ambientate a Cipro assediata dai turchi. Welles aveva ideato il film in lunghi piani-sequenza, invece dovette girarlo tutto in brevissime scene, in frammenti: «Soltanto io avevo in testa l'insieme, non potevo affidarmi che alla mia memoria», raccontò. I direttori della fotografia cambiavano a metà d'una scena o addirittura d'una battuta (furono quattro: Anchise Brizzi, G. R. Aldo, Georges Fanto, Oberdan Trojani): conservare una coerenza nelle immagini diventava un'impresa. I costumi ideati da Maria De Matteis ispirandosi alla pittura di Carpaccio, che dovevano arrivare per nave dall'Italia, non giunsero mai a Mogador, racconta Frank Brady in «Citizen Welles»: arrivò invece la notizia che il fornitore era fallito e i costumi erano sotto sequestro. Non si poteva aspettare la soluzione della vicenda, se non si girava in fretta l'intera troupe sarebbe svanita: Welles spedì tre assistenti a Roma, Parigi, Londra a tentar di vendere quote di proprietà del film per le poche migliaia di dollari necessari a riscattare i costumi; intanto cercò di farne confezionare di nuovi dagli abilissimi sarti ebrei di Mogador, ma il Ramadan bloccava l'attività: finì col decidere di girare una scena con Roderigo e Jago senza costumi, ambientandola in un bagno turco fra asciugamani, lenzuola, vapori e massaggiatori africani. Il montaggio fu altrettanto travagliato e difficile: dopo due anni di lavorazione, ci vollero due anni per mettere insieme parti del film stampate in laboratori di Paesi diversi, con cinque montatori differenti di varie città ignari di quanto Welles avesse in testa, intimiditi o snervati dall'impazienza imperiosa del regista. E i finanziatori si facevano inquieti, non vedevano il prodotto, rivolevano i soldi: rimasero indimenticate certe scenate nella hall dell'Hotel Excelsior a Roma tra uno dei principali finanziatori, Michel Olian, proprietario temerò milionario d'origine russa, che tempestava, e Welles che cercava di calmarlo: «Tu as raison, Michel...». Finito Otello, non finirono le disavventure. Il film doveva venir presentato alla Mostra di Venezia 1951. La copia arrivò al Lido all'ultimo minuto, di mattina. Welles la controllò nel pomeriggio e rimase sgomento: cattiva stampa scura e nebbio-. sa, sincronizzazione dei dialoghi tanto pessima che Otello risultava recitare le battute di Brabanzio e Desdemona quelle di Otello. «A vederlo annunciare davanti a un centinaio di critici e giornalisti che la proiezione era annullata, così sfinito, irato, in giacca bianca da smoking e camicia rosso sangue, Orson Welles pareva infinitamente più vecchio dei suoi trentasei anni», racconta Brady. Otello venne presentato otto mesi dopo al festival di Cannes 1952 e vinse la Palma d'oro, ex aequo con «Due soldi di speranza» di Renato Castellani: quarant'anni fa. Quarant'anni dopo Bertrand Tavernier, regista, critico, autore insieme con Jean-Pierre Coursodon dell'ammirevole «50 ans de cinema américain», avanza un'altra ipotesi. L'impossibilità o almeno l'estrema difficoltà di realizzare i suoi film, l'inattività forzata, costituiscono il dramma e insieme la leggenda romantica di Orson Welles, dice: e se rappresentassero invece la volontà occulta d'un genio autodistruttivo? «Welles ebbe sempre la tendenza a lanciarsi contemporaneamente in molti progetti, contando sulla sua energia eccezionale, sul suo fascino e sulla fortuna. Cominciare gli piaceva molto più che portare a termine. Si chiuse sempre più nell'incompletezza, iniziando film e abbandonandoli, citando sempre l'incomprensione dei produttoi i o problemi finanziari e giuridici d'ogni genere per giustificare la propria incapacità (o forse la propria ripugnanza) a completarli». Nella vita di caos volontario di Welles, nel suo gusto per la confusione riscontrabile anche nei film (l'accumulazione di oggetti eterocliti nell'inquadratura, il ripetersi di scene stupende dominate da agitazione, disordine e vari personaggi gesticolanti-parlanti tutti insieme), sono evident' la paura di finire, l'ossessione della morte, sostiene Tavernier: «Per rifiuto nevrotico dell'inevitabilità della fine, passò gli ultimi vent'anni della sua carriera a mantenere in vita, con una sorta di respirazione artificiale, due o tre progetti mitici eternamente rinviati... Film sognati e film incompleti furono il prezzo pagato da Orson Welles per la superba ostinazione di voler vivere nei fasti d'una immaginazione indifferente alle contingenze e alla realtà». Lietta Tornabuoni Sotto, Gina Lollobrigida: due settimane fa ha festeggiato i quarant'anni del film con Hassan II re del Marocco Sopra, una scena del film. Qui accanto, Lea Padovani. A quei tempi l'attrice era l'amante di Orson Welles, ma recitò solo due settimane Lea Padovani fu mezza Desdemona: litigò col regista e abbandonò il set, ma le scene non furono mai tagliate Nella foto grande: Welles nell'Otello teatrale con la Ure. Qui accanto, Tavernier