Quasi un thriller alla commissione Rai di Massimo Gramellini

Quasi un thriller alla commissione Rai Il democristiano Radi presidente nonostante il «no» dei liberali, Intini e Paissan i due vice Quasi un thriller alla commissione Rai Battistuzzi (pli): basta con l'arroganza di de e socialisti Silvia Costa arriva all'ultimo minuto e garantisce il quorum ROMA. «La Costa, la Costa. Dov'è Silvia Costa?». Sbiancano, gli onorevoli democristiani, estraendo dalla cintura l'arma dei momenti decisivi: il telefonino. «Dov'è finita? Cercatela!», gridano in coro ne,i loro apparecchietti. In mezzo a loro Luciano Radi freme, ma resta muto. E' il presidente designato della commissione di vigilanza, il «parlamentino» della televisione a cui nei prossimi giorni spetterà (spetterebbe) di compiere una mezza rivoluzione, nominando il nuovo governo dell'azienda senza più ispirarsi ai sacri dettami della lottizzazione. L'elezione di Radi è embletica della situazione italiana: il quadripartito può imporre un suo uomo perché ha ancora una maggioranza, ma così risicata che basta il banale ritardo di una parlamentare democristiana per mettere a repentaglio tutto. «Dov'è la Costa?». Eccola, elegante e affannata, arrivare in aula con mezz'ora di ritardo, appena in tempo per depositare nell'urna il ventunesimo e decisivo voto per Luciano Radi, un forlaniano con basettoni bianchi alla Scalfaro, che adesso però se li è tagliati. Per lui hanno votato in blocco democristiani e socialisti, il socialdemocratico Romeo, il valdostano Caveri e l'altoatesino Riz. Senza il valdostano o l'altoatesino, e senza la corsa a perdifiato di Silvia Costa, Luciano Radi non ce l'avrebbe fatta, perché il liberale Battistuzzi, rappresentante del quarto partito di governo, si è clamorosamente rifiutato di votarlo, attaccando «l'ostentata arroganza di democristiani e socialisti nella gestione della Rai». «Non gli avranno garantito la presidenza di una sottocommissione», ironizza il verde Mauro Paissan, ex giornalista del manifesto, eletto vicepresidente con i voti di tutte le opposizioni di sinistra, ma non della Lega. Sui nuovi vertici della Rai si abbatte l'ira dei Ferrara: Giovanni, senatore repubblicano, e Giuliano, presentatore socialista (non sono parenti). Il primo ringhia contro la vicepresidenza assegnata al craxiano Ugo Intini, «ferreo difensore del regime di controllo partitico sull'informazione». «Bretelle Rosse», invece, prende di mira il neopresidente, ricordando che fu proprio Radi a invocare dalle colonne del Popolo la chiusura del suo «Lezioni d'amore». ((Avere come controllore supremo sulle radiodiffusioni un personaggio che ha dimostrato di avere il vizio dell'oltranzismo e dell'integralismo confessionale, mi sembra pericoloso», avverte Giuliano Ferrara, che marcerà sulla Rai a fianco di Marco Pannella nel gigantesco happening in programma dopodomani. Già, Pannella. Lui sintetizza le ire dei due Ferrara, prendendosela sia con Radi sia con Intini, «un tandem - li irride - di una bellezza unica, quasi artistica». I due interessati, naturalmente, non si riconoscono nel ritratto. Intini arriva a dire che «l'attuale assetto della Rai si basa sul nulla», perché «nulla è rimasto di quei presupposti, monopolio Rai ed esistenza nel Paese di tre aree politiche egemoni (cattolica, laico-socialista, comunista) su cui si fondava la legge del '76». Adesso tutti vogliono cambiarla. Ma in attesa di riforme che in Italia non sono mai velocissime, c'è il problema del consiglio di amministrazione, il governo della Rai scaduto ormai da due anni: sostituirlo subito, applicando in maniera nuova (cioè non lottizzatoria) le regole vecchie, o prorogarlo ancora, aspettando una nuova legge? Il vicepresidente Paissan è l'alfiere della prima scelta: «Se mi propongono nomi diversi, tipo Romano Prodi, perché non dovrei votarli?». Pds e pri spingono per un comitato di garanti, cinque-sette persone, non i sedici consiglieri previsti oggi da una legge che assegna rigidamente i posti, dodici alla maggioranza e quattro all'opposizione. Enrico Manca, ex presidente della Rai, pensa invece a una «leggina» ad hoc da portare rapidamente in Parlamento. E Radi? Il presidente ascolta tutti e non esclude nulla. Una cosa importante però la dice: «Io vorrei superare la lottizzazione, alla quale sono contrario». E sorride a Paissan, il vicepresidente votato dall'opposizione. Massimo Gramellini Qui a fianco: la de Silvia Costa Nella foto a sinistra: il de Luciano Radi nominato presidente della Commissione di vigilanza

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