Pedullà: amo la trasgressione ma dico no alle parolacce Tv

Pedullà: amo la trasgressione ma dico no alle parolacce Tv Pedullà: amo la trasgressione ma dico no alle parolacce Tv LA RICETTA PEL PRESIDENTE WROMA ALTER Pedullà è un uomo che ragiona alla svelta e parla con lentezza ponderata. Qualche volta un po' snervante. Ha il titolo e l'aspetto del professore. E' un uomo pignolo che ride volentieri e dice di amare la trasgressione, anzi di essere un trasgressivo nato. Quando ci salutiamo, dopo una chiacchierata durata tre ore di cui quel che segue è una ridottissima sintesi, mi dice: «Vorrei che fosse chiaro che io non sono un pentito: ero e resto un socialista, ero e resto favorevole a tutto quello che rompe lo schema conservativo, ero e resto dell'idea che la Rai non deve dar via proprio nulla, ero e resto favorevole al sistema misto pubblico e privato, tant'è vero che alcuni programmi che la Rai non può fare, mi piacerebbe vederli sulle private. Ciò detto, io sono schierato totalmente con questa azienda, contrario sia alle vendite che alle svendite, e pronto a battermi per una nuova grande riforma del sistema radiotelevisivo. I tempi sono maturi, arriverà un nuovo consiglio d'Amministrazione e il Parlamento sarà obbligato a dire con chiarezza che cosa intende fare, quali sono le fonti d'approvvigionamento e tutto il resto». Lei quindi non si è dimesso? «E' tutto il Consiglio che è scaduto, presidente compreso. Intanto siamo costretti a restare e mandare avanti l'azienda». Disbrigo di affari correnti? «Neanche tanto correnti: siamo semmai in un momento eccezionale e dobbiamo sbrigare affari eccezionali. Io resto, come tutti, nella pienezza dei poteri». Che ne pensa dei programmi ad alto tasso di turpiloquio e turpitudini? «Nessun moralismo: penso che producano assuefazione, banalizzazione e degrado». Parliamo di soldi. La Rai arranca, il piatto piange, il canone resta bloccato e così il tetto pubblicitario. «Infatti il Parlamento deve stabilire con chiarezza le nuove regole. Noi oggi non siamo in grado di andare in pareggio nel 93, questo è evidente». Perché si sta sfegatando in difesa della televisione pubblica, visto che la qualità della prima rete è rovinosa, quella della seconda melensa e quella della terza gioiosamente partigiana? «Perché prima di tutto non sono d'accordo con il suo giudizio, e in secondo luogo perché il patrimonio di questa azienda è il frutto di un lavoro generazionale ed è un patrimonio di tutti. Lei non vorrebbe neppure i privati in partecipazione, le famose holdings? «Preferirei di no, grazie». E dal governo cosa vi aspettate, cosa si aspetta lei che resta in carica come presidente e che con molta probabilità sarà confermato dal nuovo Consiglio? «Quello che farà il nuovo Consiglio, staremo a vedere. Intanto qui è tempo di avviare una riforma di fatto, nelle cose; occorrono provvedimenti urgenti». In pratica, quattrini. «I quattrini servono per produrre il servizio pubblico e per non essere condannati ad andare in rosso. Ma il governo e il Parlamento devono decidere in che modo la Rai potrà trovare il denaro che le occorre: se con un aumento del canone, uno della pubblicità, o entrambi». Quante volte le telefonano Craxi e Intini? «Ci crederà? Mai. Non mi telefonano mai da via del Corso». E che è successo? ((Ah, non lo so. Né ho idea di quanto telefonassero al mio precedessore. Sta di fatto che io ho accettato di sedere a questa scrivania a condizione di poter essere autonomo. Qui, dei partiti non vuole sentir parlare più nessuno». E anche lei si è allineato? «No. Sono un patriota del mio partito: la mia prima tessera del psi l'ho presa a 15 anni, ne sono fiero. Ma quest'azienda non sopporta più intrusioni di nessuno». Ed è per questo che lei ha strizzato l'occhio alle ribellioni interne nei tg? «Io ho detto: bene, c'è movimen- .o, c'è contestazione, c'è vita. Non si tratta di condividere tutto e dire bene bravo a chiunque». Lei si trova di fronte la questione Leghe. Non è uno scherzo. Come l'affronterà? «Secondo il metodo più lineare: attraversando il fenomeno. Entrare dentro, mostrare e capire tutto, non barare, non censurare e non applaudire neppure: la Rai vede, riferisce, dà spazio, ed esce dall'altra parte essendo sempre la Rai». Quanto durerà questa fase di Consiglio vacante? «Non lo so: ci vorrà il tempo necessario alle forze politiche per raggiungere accordi, equilibri». Che farà dei telegiornali asserviti alle segreterie? «I giornalisti sono in tutto 1500: tanti quanti ne bastano per fornire un servizio completo, su tutto e nell'arco delle 24 ore». La cosiddetta appartenenza? «Mi sembra che siano i giornalisti per primi a rifiutarla. Non pretendo di fare io la mosca cocchiera, ma è importante dare ai gior¬ nalisti la prova di avere nel Consiglio d'amministrazione e in me un alleato». La sua avversione ai privati è un po' vetero-socialista. «No. I privati che hanno tentato di fare televisione si sono tutti rotti le ossa, salvo Berlusconi. Dunque privato non è sinonimo di successo. La Rai è sinonimo di successo, per quanto sia in crisi. Ma ci sono programmi che credo tocchi proprio ai privati fare, e che io guardo con piacere». In breve: il terzo polo si può fare segando una rete a voi e una a Berlusconi. Lei non vuole. Perché? «Perché il terzo polo si può fare benissimo egualmente usando le frequenze delle tre pay-tv, le varie Tele-più. Sono tre reti, ci si faccia il terzo polo». Desidera essere riconfermato? «Questo non è un lavoro che si possa fare così, per rappresentanza e piacere del titolo: ha senso farlo, ed è bello farlo, se esistono garanzie di vitalità. Pensi a questo: l'azienda Rai fattura 4000 miliardi e sa qual è il suo capitale sociale?. Soltanto 120 miliardi. Se la Rai va sotto di 70 miliardi deve portare i libri in tribunale». Lei è stato un amministratore critico della gestione precedente. Perché? «Ho creduto doveroso in 15 anni votare talvolta contro i bilanci e a favore di una riforma vera». Che cosa farebbe dell'azienda se potesse? «Quello che abbiamo già cominciato a fare e che svilupperemo: portare il mondo esterno dentro la Rai e fare della Rai lo specchio vivente della società». Parole. «Non creda. Si tratta di dare voce a una quantità enorme di luoghi e persone che producono idee, cultura, intelligenza, spettacolo, e che oggi non esistono, sono tagliati fuori». E perché sono rimasti tagliati fuori? «Per la logica della merce che produce pubblicità, e della pubblicità che produce televisione in sintonia con la pubblicità. La pubblicità ci vuole e va bene. Ma il servizio pubblico deve marciare con le sue gambe, le sue idee, la sua filosofia. Quella del più imponente luogo di scambio di cultura». Cultura è parola che annoia. «Prima di tutto diciamo che il problema è migliorare la qualità della cultura televisiva. E poi non nego che per deformazione professionale uri po' di cultura, con la iniziale maiuscola, non farebbe male alla televisione». Che pensa della trasmissione di Ferrara? «L'ultima non mi è piaciuta». E' contro la tv gridata? «No: la temperatura alta, il messaggio forte vanno bene. Ma senza volgarità». La scandalizza Paolo Rossi che dice "cazzo" a tutto spiano? «La parolaccia non mi fa né caldo né freddo, però in tv mi dà disagio e mi comunica il sospetto di un'operazione un po' di contrabbando. Paolo Rossi è bravissimo, può farne a meno». Paolo frizzanti «Questa Rai non si vende né si svende Il Parlamento ci deve dire con chiarezza dove cercare le risorse finanziarie» «Paolo Rossi? Non gli serve il turpiloquio» £*iiiiiìiii rasgressione arolacce Tv Giuliano Ferrara ed Enrico Manca Nella foto grande: Walter Pedullà Sotto: Paolo Rossi

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