Tu chiamale se vuoi CANZONI di Marinella Venegoni

Tu chiamale se vuoi CANZONI Acquasparta: a lezione da Mogol nella prima scuola per giovani cantautori Tu chiamale se vuoi CANZONI ACQUAS'ARTA DAL NOSTD INVIATO Giulio Rajetti (Mogol, insomma) e Gino Pad non hanno molte cose in cornine, al di là di un civile, reciproco, rispetto. S'interrompono a vienda, ma sempre cortesementt il primo seguendo il filo d'unapassione didattica minuziosa, i secondo strappandosi a ondate al cuore i segreti della creativitàSono due modelli, due ego furibndi, la convivenza sprizza frnsioni trattenute. Li ascoltano senza respirare dieci allievi, sete ragazzi e tre ragazze fra i 2' e ì 30 anni aspiranti autori di parole per canzoni; nessuno i raccomandato, li ha scelti Mopl («con il criterio della sensibile») fra 70 o 80 che gli hanno maidato testi. Una maestra d'asià di Ascoli Piceno, un rappresenante, un avvocato siciliano eh non vuol fare l'avvocato, un lisoccupato di Reggio Calabria 6e gli altri 9 guardano persino coi invidia, come il massimo dell':off» possibile; ci sono cantautor in pectore, uno che ha già dehttato a Sanremo, Gatto Panciri, simbolo dei mille che lavoano nel mondo della musica e he avrebbero un bisogno dispeato di imparare quel mestiere he - pensa un po' - già fanno. Il órso, per autori di testi, s'è inaiato venerdì scorso, nel primogiorno di vita del Cet, la Scuola ti musica (leggera? popolare?) faldata da Mogol, che ci ha investìo dentro buona parte delle roydties guadagnate in un'esistena di successi, fra «Al di là», «M ritorni in mente», «La canzone él sole», «Il mio canto libero», o«Se stiamo insieme». Davanti a testo traballante di un allieve Paoli entra subito in tema: «Leparole bisogna amarle veramente come le donne. Ogni parola è ui tema, e ne presuppone un'alta da sposare». Lo incalza Mopl: «Il testo è come un'opera l'arte, deve prendere un taglio e seguirlo armonicamente». Roli si sbottona: «Per me la cossjpiù difficile è trovare la frase eie dia metrica e taglio. Se trovo soltanto alla fine un endecasillabo giusto, allora butto via metrica e musica, e rifaccio tutto su quella scansione». Più tardi Mogol si fa sottile: «Il problema, come in tutti i fatti d'arte, è poi di poter offrire più letture di alcune frasi. Purché l'emozione arrivi». Gli occhi sono sbarrati, le orecchie apertissime. Ah, vecchio zio Dylan. Nella sede provvisoria di Palazzo Cesi ad Acquasparta in Umbria, sotto bellissimi soffitti a cassettoni del Cinquecento, il duetto prezioso fra il padrone di casa Mogol e 0 professore per un giorno Paoli occupa l'intero pomeriggio. I dieci fortunati (che spendono per questo corso 5 milioni tutto compreso) dormono a palazzo in stanzette con tv e tendine di lino ricamato, pranzano e cenano con i Maestri in un caldo ed elegante salone. Già si sono acclimatati al turbinio di emozioni di questi primi quattro giorni di scuola mai vista, mai sentita nel Paese dove tutti nascono già dalla culla cantanti ed autori. Giovedì sera, ancora spaesati all'arrivo, il grande padre Mogol li aveva raccolti intorno al caminetto e giù la prima botta: «Essere per scrivere». L'uomo più cantato d'Italia sulle musiche di Battisti (e non solo) riepiloga per noi: «Per essere au- tori, bisogna prima essere uomini. Ho parlato loro della tecnica dell'approccio, dell'angoscia davanti al foglio bianco. Gli ho detto che il fatto creativo è come l'atto sessuale: ci vuole distacco, naturalezza, tensione per captare ciò che dice la musica e saltare su uno stato d'animo». «Capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi emozioni», ha scritto un tempo il Poeta. I ragazzi raccontano che quella conversazione inattesa è stata uno shock: «Nemmeno ci conoscevamo fra noi, Mogol è entrato subito in argomento. Che carisma. Un san¬ tone. Sconvolgente». Addio elementari, avrà pensato la maestra di Milano che è venuta qui senza dire nulla ai parenti. Emblematicamente, il primo lavoro di un allievo esaminato e corretto in gruppo nella prima lezione era intitolato «A Tenco». Lo scheletro nell'armadio della musica leggera. «Nessuno si senta suscettibile - ha avvertito subito Giulio Mogol - se le cose che ha scritto non vanno: la suscettibilità è automatica, ma per imparare ci vuo¬ le la molla dell'umiltà». Si scopre che uno dei primi esperimenti pedagogici di Mogol è stato con (l'oggi divo) Zucchero: «All'epoca di "Donne", quando non sapeva che strada prendere, la Polygram me lo ha mandato. 4/5 mesi una volta la settimana; per lui è stata una sofferenza perché era già formato». Sofferenza dev'esser stata anche per la casa discografica; si dice in giro che in questo corso pilota avesse investito all'epoca 30 milioni di lire; ampiamente riguadagnati, però, con le vendite successive di dischi. Nel salone cinquecentesco, il testo della cavia rassegnata resta a lungo proiettato sulla parete. Intorno, i discorsi dei Maestri si dilatano sempre più. Gino Paoli fa distinzione tra testo di canzone e poesia: un discorso che nella storia della canzone d'autore ha riempito volumi. «La poesia è come un film porno dissacra allegro Paoli - te la devi leggere da solo. La canzone no, è fatta di 3-4 stimoli emozionali: vi sfido a ricordare un testo inte¬ ro, fanno presa solo i punti più forti. Se mi dicono che sono un poeta, è come se mi dicessero che sono un farmacista: è un altro mestiere». Mogol sente il dovere di puntualizzare, di far riflettere i giovani virgulti: «Ma attenti, si può far poesia con qualunque emozione. Bisogna usare le parole che sanno fare clic». Come si creano i titoli delle canzoni? Chiede qualcuno. Gino Paoli: «Spesso viene fuori da solo. A me li ha sempre fatti qualcun altro: quando ho scritto "Il cielo in una stanza" ero con Tenco a Milano alla pensione del Corso, c'era un mio amico, Franco Franchi che non è il comico. L'ha sentita, ha detto: questa è "Il cielo in una stanza". E così è stato». Magari sarà troppo per il rappresentante e la maestra d'asilo, per l'avvocato e il disoccupato, questo impatto con la storia vivente della musica italiana. Qualcuno confessa che gli sembra di guardare il Maurizio Costanzo Show, altri trattengono i pensieri in sguardi sempre più lunghi. Qualcuno confessa di esser pronto a incidere un disco e gli viene caldamente consigliato di aspettare. Non si potrebbe fare un distaccamento del Cet in ogni casa discografica? E' buio a Palazzo Cesi quando esce il discorso della verità, quello che gl'intellettuali classici stentano a condividere e che da sempre divide la società. «La canzone è un oggetto d'arte con una straordinaria dignità sociale perché, a differenza delle altre arti, appartiene a tutti e non è soltanto subita», il professor Paoli dice prima di andarsene. Arriveranno nei giorni successivi Oscar Avogadro e Mario Lavezzi, gli allievi torneranno a casa con la cartella piena di compiti. In futuro, Morandi, Dalla, Bigazzi, tantissimi altri, verranno ognuno ad insegnare in un corso diverso. Sotto la supervisione di Mogol. Quello che ha scritto: tu chiamale se vuoi emozioni. Marinella Venegoni Cer Giulio Rapetti in arte Mogol e Gino Paoli due super professori per i dieci allievi di Acquasparta Paoli: bisogna anare le parole cone una donna. Lapoesia è simile aun film porno: la devi eggere da solo

Luoghi citati: Acquasparta, Ascoli Piceno, Italia, Milano, Reggio Calabria, Sanremo, Umbria