«Tutti i segretari della mia vita»

«Tutti i segretari della mia vita» DA DE GASPERI A MARTINAZZDLI «Io mi sono tenuto sempre alla larga, adesso Mino dovrà lavorare come un commissario» «Tutti i segretari della mia vita» Andreotti racconta 45 anni con i leader de ROMA OGLI giallini, grafia minuta: come dire? andreottiana. Giudizi lievi, quasi innocui, ma le sue piume celano spille al curaro. Eccolo lì, nel suo studio al Senato, secondo piano di palazzo Giustiniani, scrivania non grande, tappezzeria dorata, una stanza ampia, un piccolo tavolo a lato colmo di libri e carte. Sui fogli giallini della sua elegante carta intestata ha scritto di suo pugno alcuni appunti, piccoli flash di memoria su quasi mezzo secolo di storia de, attraverso i pontefici segretari della de prima di Mino Martinazzoli. Sono le 18,30, Roma è già immersa nel buio e Andreotti emerge dalla penombra, illuminato dalla luce di un abat-jour. Indossa un cardigan blu, ha una cravatta vivace, persino audace, ma di splendido disegno. Sorride. Comincia a leggere gli appunti che ha già preparato come uno studente diligente. Anche il tono di voce di quest'uomo, che più d'ogni altro ha governato in questo secolo (e non è detto che abbia finito), è quello di un liceale un po' scanzonato che cerca di cavarsela con piccole frasi fatte. Infatti declama: «Piccioni. Uomo di pensiero e di indirizzo...». Alt. Fermo là, diavolo d'un uomo. Ma come «uomo di pensiero e di indirizzo», quel poveraccio di Piccioni, che fu fatto fuori da Amintore Fanfani, ministro dell' Interno, grazie alla torbida vicenda di Wilma Montesi, la ragazza «ritrovata morta sulla sabbia di Torvajanica...», ricorda? Ma certo che ricorda. Ricorda tutto. Però preferisce la memoria lieve al piccone pneumatico. Altrimenti non sarebbe Andreotti. A proposito, senatore, come mai proprio lei non è stato mai segretario della democrazia cristiana? «Me ne sono tenuto alla larga. Ho un tal dolce ricordo dell'epoca beata in cui fui presiderete della federazione .cattolica dell'Università, da essermi convinto che quell'esperienza bastava». Lei fu il delfino del padre fondatore della de, Alcide De Gasperi. Come andò? «Andò così. Io non l'avevo mai visto e non sapevo chi era. Lui invece mi aveva notato come presidente dei cattolici universitari. Un giorno, me ne stavo nella biblioteca vaticana a rovistare fra le carte della Marina pontificia per stendere un certo lavoretto sulla navigazione, quando mi si parò davanti questo sconosciuto che mi apostrofò così: ma lei, non ha proprio niente di meglio che fare che cincischiare fra le barche papali? Mi indispettì: ma chi è, ma che vuole questo tizio? Lo trattai freddamente. Se andò. Qualche giorno dopo Spataro mi disse: vieni, De Gasperi ti vuol conoscere. E così andammo nel suo studio, capii chi era quel tizio che mi aveva affrontato in biblioteca e, insomma, lì cominciò tutto quel che poi seguì...». Lì nacque Andreotti politico. «Di De Gasperi non è neppure il caso di parlare. E' tutto nella storia. Invece di Piccioni devo dire che era un bel tipo: voleva sapere qual era l'ultimo film che avevi visto, l'ultimo libro... sembrava che la politica non lo interessasse, che fosse lì per caso». E invece? «Fu un buon segretario. Era un cristiano scettico. Detestava il correntismo. Fu in qualche modo il padre del 18 aprile, ma non si montò la testa..». Lei nelle correnti, se così si può dire, ci sguazzava. «Le correnti, tramontata l'epoca d'oro e irripetibile di De Gasperi, avevano lo scopo di produrre idee e azioni politiche». Chi è stato, secondo lei, il più grande segretario della de? «Direi Guido Gonella. Era un cattolico a[_24.caratL, evitò le lusinghe del mondo accademico pur avendo tutti i titoli per entrarvi, fju un antifascjst^ vero che si tronco la carrièra pur di non iscriversi al pnf». Come considera oggi Aldo Moro segretario de? ((Aveva il senso del partito. Era intransigente, anche insofferente. Come avversario di Fanfani nella corsa per il varo del centrosinistra si improvvisò campione della formula che aveva avversato. Ispirandomi allo slogan di un detersivo, io gli dissi: credevo che il centro-sinistra di Fanfani fosse un vero centro-sinistra, finché non ho visto il tuo». Lei non amava il carattere di Moro, vero? «Forse era meno duttile di me. Ricordo che quando Zaccagnini fu nominato per acclamazione segretario del partito, con un congresso all'americana e i consiglieri in piedi che cantavano "Bella ciao" invece di "Biancofiore", Moro che era accanto a me soffriva, friggeva. Odiava queste cose, aveva un senso geloso del partito». Ecco: Zaccagnini perseguitato dal nomignolo, «l'onesto Zac», che sembrava dargli un po' dello sciocco in un mondo di ladroni... «Povero Zaccagnini. Aveva un grande fascino: me lo ricordo reggente della Fuci di Ravenna, era uno che quando saliva sul podio si faceva ascoltare indipendentemente da quel che diceva». Era un uomo di pura rappresentanza? «Era capace di tenere alta la bandiera in un momento terribile come fu quello della tragedia di Moro. Se il partito tenne, fu merito suo. E non bisogna dimenticare che eravamo tutti dell'idea di mandarlo al Quirinale, al posto che sarebbe stato poi di Pertini...». E perché non lo faceste? «Perché proprio lui non ne volle sapere...». A proposito di sfascio, senatore Andreotti: che ne dice di quello che abbiamo sotto i piedi e davanti agli occhi? «Dico che c'è in giro molta eccitazione in più, molta agitazione». Non sosterrà che tutto va bene madama la marchesa... «No, questo no. Ma dico che non siamo neppure di fronte alla catastrofe che si vuol far credere. L'industria produce e va bene, l'Italia sta in piedi». Ma senatore, il panorama è quello dell'apocalisse... «Inutile polemizzare con gli apocalittici. Io dico una cosa semplicissima: e cioè che non è possibile che di colpo, da un giorno all'altro, tutto è andato a catafascio. Ci sono difficoltà, gravi dif¬ ficoltà, non sono mica cieco, ma non siamo affatto alla catastrofe...». Eppure avete scelto come segretario Martinazzoli, proprio per segnalare l'emergenza assoluta. O non è vero? «Certamente. Martinazzoli va alla guida di un partito che ha bisogno di cure energiche Io sono il primo a sostenerlo. credo che tutti quanti dobbiamo dargli la possibilità di lavorai e cerne se fosse un commissario». Lei, al suo posto, lo farebbe il commissario della de, avendo dietro le spalle Gava, Forlani e De Mita col fucile spianato? «Io non sono al suo posto e non ho mai fatto nulla per trovarmici. Martinazzoli gode di un grande vantaggio, che è anche parte del suo patrimonio, del suo prestigio: è un uomo al di fuori delle correnti..». Ma non aveva appena detto che le correnti in fondo sono una buona cosa? «No, ho detto che ci fu una fase storica in cui le correnti ebbero un grande ruolo politico, tant'è che dobbiamo alle correnti democristiane se ci fu una riforma agraria e una legge per il Mezzogiorno. Adesso le correnti e i particolarismi devono sparire...». Nella de? Sparire il particolarismo? Sparire le correnti? «La situazione della de richiede una cura da commissario: o lo capiscono tutti, oppure quelli che non lo capiscono farebbero meglio a levare le tende». Si sentono voci di crisi del governo Amato. Lei le avverte? «Io spero che non accada nulla di simile perché Amato sta lavorando benissimo». Le sembra un buon governo, quello di Amato? «Forse si dovevano evitare troppi ministri di prima nomina: non era l'ora degli esperimenti e magari bisognava implorare Guido Carli anche in ginocchio affinché rimanesse. Ormai è fatta». Torniamo ai segretari storici della de? «Chi resta?». De Mita. «Ciriaco è stato un segretario autoritario. Non è una critica, sarà anche una virtù la sua, ma è autoritario. E poi, curiosa sorte la sua: antesignano del centro-sinistra, fu un fautore dell'apertura ai socialisti. E poi gli è toccato di diventare il loro più duro avversario». Non le è simpatico, vero? ((Al contrario. E' uno degli uomini più preziosi che abbiamo. Sarà nella fase delle riforme istituzionali che De Mita darà il meglio di sé, e già lo sta dando». Fanfani. «L'organizzazione. L'apparato. La settimana della donna, la settimana del pescatore, la settimana... Era una cosa ferrea il partito nelle sue mani». Lei non è per le gestioni ferree, invece, vero? «Dipende dai momenti. Adesso è il momento della massima unità e quindi della massima autodisciplina. Ma i de sono liberi viandanti, per loro natura; è bene che sia così in tempi normali». Lei è stato un liberissimo viandante. «Dio mio, hanno cercato qualche volta di farmi qualche sgambetto, ma in politica è così: Mariano Rumor nelle sue memorie racconta candidamente come furono truccate le votazioni che mi mandarono in minoranza». Che tipo era Rumor? «Incarnava un Veneto oggi scomparso. Io temo la crisi della de veneta più di quella lombarda». Piccoli. «Flaminio Piccoli, da bravo trentino, puntava sul collegamento internazionale dei democristiani: fu una bella mossa, da sviluppare nell'Europa del futuro». Abbiamo ancora Giuseppe Cappi, Paolo Emilio Taviani, Arnaldo Forlani... «Lo so, ma si tratta di tutte eccellenti persone e uomini di valore. Io purtroppo devo salutarla, ma le regalo i miei appunti». Riprenderemo il filo della memoria della de? «Volentieri. Adesso lasciamo lavorare Martinazzoli. Gli tocca un lavoro non soltanto contro le correnti, ma controcorrente». Paolo Guzzanti «Il più grande di tutti fu Guido Gonella un cattolico a 24 carati. Moro, un intransigente» «Zaccagnini aveva tanto fascino Si faceva ascoltare indipendentemente da ciò che diceva. De Mita è stato un autoritario» Giulio Andreotti (nella foto grande) Sopra, Alcide De Gasperi Benigno Zaccagnini (a destra) Amintore Fanfani (nella foto a sinistra) Guido Gonella (a sinistra) «Un antifascista vero che si troncò la carriera pur di non iscriversi al pnf» «La vera forza di Fanfani? L'organizzazione. Nelle sue mani il partito era una cosa ferrea. Rumor incarnava un Veneto oggi scomparso» Mariano Rumor (foto sopra] A destra Aldo Moro

Luoghi citati: Europa, Italia, Ravenna, Roma, Veneto