Alla scoperta di Ziveri un realista realizzato

Alla scoperta di Ziveri un realista realizzato A Modena 3 7 olii, disegni e incisioni Alla scoperta di Ziveri un realista realizzato AMODENA LLA Palazzina dei Giardini della Galleria Civica, fino al 29 novembre, 137 olii e una sezione di grafica ricca e bella tracciano la storia del romano Alberto Ziveri (1908-1990) solitaria ma forte, densa, umorosa di sensi e intelligenze del reale. Longhi lo definì il «realista più realizzato» alla Biennale del 1956, annotazione tanto più significativa se si tiene conto dell'amore longhiano per Guttuso. E guardiamo allora al numero 1 in mostra, l'Autoritratto 1929, anni ventuno: nulla più che una buona prova di accademismo moderno; ma anche una compatta fiducia nel reificare se stesso attraverso modellazione e costruzione di pittura, pennellata su pennellata, impasto su impasto, lume su lume. Appena un anno dopo, Rosina: l'occhio e la mente di colpo spalancati, il rosso terracotta di Modigliani e Scipione, il neroviola livido di Scipione e Mafai; ma permane e permarrà sempre il dipingere per costruire, per rendere tangibile, e dunque lo star lontano dalla stilizzazione o dal fantastico espressionista ed onirico. Persino quando egli accetta lo spirito di gruppo della seconda scuola romana, e dunque il modello mitizzante di Cagli seguito dai giovani Afro e Guttuso (il grande Battesimo del 1934, Masaccio rivisto su Piero della Francesca; mentre il parallelo Compianto per un giovane morto, di cui sono in mostra disegni che non a caso sembrano bassorilievi, è in catalogo ma non è stato concesso da Roma), permane in lui uno spirito costruttivo alla Picasso «rosa» e già albeggia un'attenzione alla sonda analitica gettata sul reale quotidiano e «popolare» da Fausto Pirandello. In quello stesso 1934, stilismo per stilismo, il pittore sembra però piuttosto preferire l'aura sospesa, metafisica e magica, ma ribaltata in letteraria e antieroica ironia sulla «realtà borghese», che Cavalli e Capogrossi hanno ereditato da Guidi. Ne nascono con fascino i pastellosi verdi e azzurri e i rosa d'aurora di Composizione e La famiglia Castellucci, che con effetto straniante accoglie il visitatore entrando nella palazzina: sembra di leggere con l'occhio una delle pagine del primo Gadda, solo trasposto dai quartieri buoni milanesi ad una terrazza romana. Ma segue subito la svolta decisiva, preannunciata già nel 1935 da Ragazzi che lottano, in cui analoghi rapporti «tonali» si affocano in realtà di violenza, sudore, carnoso volume, densità di spazio e di lume. Nel Podi Rle solqsapev 1940, presentando alla Galleria di Roma se stesso e cinque compagni (Fazzini, Guttuso, Montanari, Tamburi e Ziveri), Virgilio Guzzi mette in campo il termine che avrà decennali fortune in ogni campo e linguaggio: «nuovo realismo». In quel contesto, esso ha un suono vero e profondo soprat- tutto rispetto a Ziveri, pur in presenza del Guttuso già autore della Fuga dall'Etna: perché in Ziveri, a sua volta già autore della Rissa, non in mostra, e delle Pollarole (o Lotta di popolane, come il gran quadro viene indicato da D'Amico nell'introduzione al catalogo Nuova Alfa), il neorealismo è intessuto, intriso di cultura non solo pittorica; e, sul piano pittorico, è nuovo e classico insieme. ' Emerge, certo, l'attenzione a Fausto Pirandello; ma ciò significa anche tradurre in tangibile visione la già forte sostanza visiva della torbida e torpida realtà letteraria romana di Moravia; con più carnale estroversione rispetto a Pirandello. Carni femminili sudate, enfatizzate alla veneziana, alla rubensiana, alla Courbet, afo- I ne delli opper o, Hopper sita rossobrune d'interno. Pirandello e Guttuso, e persino il De Chirico dei grandi nudi, portati e soffocati in casini di terz'ordine popolati da scimmiette portate dai reduci d'Abissinia; ma d'altro lato, frutto del gran viaggio nei musei d'Europa nel 1937, anche Rembrandt, anche Goya. In questo neorealismo al museo, di eccezionale densità pittorica, Ziveri è unico, straordinario, precocissimo. Ed è unico anche in sottigliezze: di fronte a Donna che si trucca, a Interno, soprattutto a Modella nello studio non posso non pensare a uno Ziveri conscio di quanto e come Rembrandt si sia italicamente ingaglioffito nel grande Giuseppe Maria Crespi. E non è allora strano che a sua volta Ziveri ingaglioffisca e postribolizzi in Giuditta e Oloferne e in Danae gli esercizi neocinquecenteschi e neoseicenteschi della precedente generazione romana nei primi Anni 20. Fra gli Anni 50 e 70, il realismo nudo, vero, solitario di Ziveri trasportò nelle strade notturne e sui tram di Roma o tutt'al più nel metrò parigino le solitudini collettive di Hopper, quando pochi, o nessuno, sapeva chi fosse Hopper; d'altronde, pochi sapevano anche di Ziveri. Marco Rosei Portò nelle strade notturne di Roma, sui tram, nei bordelli le solitudini collettive di Hopper quando pochi, o nessuno, sapevano ancora chi fosse Hopper ■A Un dipinto di Alberto Ziveri esposto a Modena: «Allo specchio» ( 1953)

Luoghi citati: Abissinia, Cagli, Europa, Modena, Roma