Zamorani: i partiti ora sono alla fame

Zamorani: i partiti ora sono alla fame L'ex dirigente dell'Ili sotto accusa rivela come funzionava la macchina delle mazzette Zamorani: i partiti ora sono alla fame Dopo gli scandali non ricevono più «fondi neri» DA BERNABEI A PRANDINI i j ROMA I L piccolo Virgilio di TangenBfi topoli che ha accompagnato i giudici milanesi su sentieri peraltro da loro già conosciuti a menadito è dunque un mitomane? Un agente provocatore? O, Dio ce ne scampi, un Savonarola bruciato dal sacro fuoco del pentimento dopo aver peccato? Ah, saperlo. Conosciamo Alberto Mario Zamorani da un'eternità, da quando il suo dominus Ettore Bernabei, uno degli uomini più potenti d'Italia, lo incaricò neanche trentenne di seguire una questione delicata. Il quotidiano comunista di Roma «Paese Sera» era venuto in possesso della registrazione di una telefonata tra l'auto di Bernabei, da poco passato dalla Rai all'Italstat, e quella di Giuseppe Bartolomei, allora autorevole presidente dei senatori democristiani. Si parlava di questioni di potere che oggi farebbero sorridere, ma che allora erano alquanto imbarazzanti. Zamorani tamponò, fece quel che poteva e offrì il petto a una mandria imbufalita di giornalisti comunisti, che lo trattavano come se Bernabei fosse lui. Son passati quasi vent'anni. Bernabei, reduce dai fondi neri dell'Iri, si balocca a piazza Navona con la sua casa cinematografica d'ispirazione cattolica, la «Lux». E Zamorani, segnato da 61 giorni di prigione, incassa una raffica di smentite dai segretari amministrativi di tutti i principali partiti e una querela dall'ex ministro dei Lavori Pubblici Giovanni Prandini. Il 4 agosto scorso, ancora detenuto, Zamorani aveva detto ai giudici milanesi di Mani Pulite che pds, pri, psdi, psi e de da vent'anni prendono tangenti sub-istituzionali sugli appalti stradali dell'Anas. Stefanini, Santoro, Ciampaglia, Balzamo e Citaristi, uscito il verbale la settimana scorsa, hanno smentito come un sol uomo. E Prandini ha messo in campo, come d'abitudine, l'avvocato D'Ercole. Ma allora Zamorani è matto? 0 sa quel che dice? Data l'antica consuetudine, abbiamo provato a chiederglielo. Ne è uscito un piccolo affresco inquietante, che cercheremo di riprodurre fedelmente. La fenomenologia della tangente. Le smentite. «Poveretti, i partiti si ostinano», dice Zamorani. «Io ho delineato ai giudici di Milano un quadro generale del quale loro erano perfettamente al corrente. Chiedevano conferme su cose che sapevano già benissimo. Perciò le smentite dei segretari amministrativi o dei responsabili economici hanno fiato corto. E' la prova che non hanno capito di far parte di un sistema ormai finito. Potevano aggiungere una riga nei loro comunicati proprio per dire questo: soldi o no, ora il sistema è finito». Prandini. E' più cattivo: minaccia querele. «Tutti gli imputati che sono stati querelati da quelli di Tangentopoli - si rassicura Zamorani - sono stati controquerelati d'ufficio dai giudici». Di Pietro, Colombo e Davigo controquereleranno anche l'ex ministro Prandini, accusato di aver favorito imprese amiche nelle trattative private per opere pubbliche? «Sì, penso che possa capitare. Credo che ciò che io ho detto ai giudici il 4 agosto sia ormai ampiamente provato». Che co- s'ha detto il Virgilio di Tangentopoli? Che negli ultimi quattro anni «c'erano sempre meno gare al ribasso e sempre più trattative private del ministro dei Lavori pubblici. Trasparenti come a Oxford? Lo vedremo, ma io mi permetto di dubitarne». I moralizzatori. Col cuore in gola chiediamo a Zamorani, che ci sbeffeggia un po', se è mai possibile che tutti sapessero, che anche La Malfa e Occhetto non ignorassero che sugli appalti stradali dell'Anas ci fosse una tangente predeterminata per i loro partiti. Risponde sicuro: «Chiunque contasse qualcosa nel sistema politico italiano non poteva ignorare che se un'impresa o una cooperativa amica venivano inserite nel Cartello, comunque avrebbero pagato. Hanno sempre saputo tutto di questo sistema tutti i segretari dei partiti e tutti i ministri. Qui sbagliano La Malfa e Occhetto: pensano di poter approfittare di una situazione più compromessa della de e del psi. Pensano di poter dire: quelli sono peggio di noi. Ma sbagliano se adottano la logica "mors tua, vita mea" perché loro hanno le stesse responsabilità morali: devono dichiararle e puntare a regole nuove per mandare avanti il Paese». Pro Citaristi. La denuncia di Zamorani nei confronti di tutti i principali partiti non sarà una cortesia resa al segretario amministrativo della de, che è il più compromesso? Risponde Zamorani: «Conosco Citaristi soltanto in modo formale, non ho mai avuto la tessera della de, non ne ho mai avuto bisogno. Mio nonno fu uno dei fondatori del partito popolare di don Sturzo. Comunque non posso pensare che un sistema di sostegno dei partiti così esteso potesse far capo a un solo punto di raccordo. Per crederlo avrei dovuto vivere a Oxford o in un altro pianeta». Bisogna sapere che quando l'ex vicedirettore generale dell'Italstat parla di Oxford, ironizza sulle dichiarazioni dell'ex ministro dei Lavori pubblici Prandini, il quale, smentendolo, ha sostenuto che durante la sua gestione gli appalti sono stati cristallini come potrebbero essere, per l'appunto, a Oxford. Il Cartello. Ma c'era un Cartello: «Duecentododici imprese, non una di più né una di meno - racconta Zamorani - che si spartivano tutti gli appalti, quando non litigavano, e che pagavano i partiti in modo sub-istituzionale. I pagamenti non erano cioè legati all'ottenimento di singoli appalti di lavori, ma erano versamenti annuali regolari, che prescindevano dalle singole gare. All'Anas si pagavano tutti dall'usciere in su. Era un accordo generale, che funzionava a Milano, come a Roma, come a Brindisi. La politica consentiva alle imprese di organizzare il mercato e le imprese consentivano ai partiti di mantenere i propri apparati. Questo valeva per le grandi opere pubbliche, ma anche per tutti gli altri appalti, le forniture, i servizi». La Cupola. Un'unica Cupola, come per la mafia? «Tante cupolette locali e un'enorme Cupola nazionale - ricostruisce Zamorani - che funzionava per le strade, ma anche, poniamo, per gli ospe¬ dali. Finché il sistema non è giunto alla libanizzazione totale, la Jugoslavia, al tutti contro tutti. Fino al 1988 finché ci sono stati Bernabei e l'Italstat, che svolgevano un ruolo di regolazione del mercato nei confronti di tutte le imprese, il sistema ha funzionato senza smagliature. L'Italstat varava grandi programmi di opere pubbliche, li spiegava al mondo politico, li faceva approvare dal Parlamento, li finanziava. Bernabei aveva inventato il sistema e lo ha fatto funzionare per un ventennio. Poi è arrivato il Libano. Hanno voluto affacciarsi sul mercato anche aziende senza la necessaria potenzialità, magari in stato preagonico, che avevano bisogno di una commessa qualunque pur di sopravvivere e non portare i libri in tribunale. Sono arrivati i ribassi d'asta del 40 o 50 per cento e un'opera di collusione e corruzione diffusa per recuperare gli sconti d'asta eccessivi attraverso le varianti, gli aggiornamenti prezzi e quant'altro. Così il sistema di finanziamento della politica da parte delle imprese ha avuto una caduta di tono, lo posso dire? uno svaccamelo. Il rapporto imprese-amministrazione-politica è diventato sempre meno trasparente». Il malloppo. Qual era la posta in gioco, secondo Zamorani? «Non i 5 mila miliardi l'anno di cui si ciancia - risponde - ma 1500 miliardi, una somma comunque dieci volte superiore a quella che i partiti riscuotono come finanziamento pubblico. Questo è il reale ammontare della supplenza delle imprese rispetto alle necessità della politica». Partiti in fallimento. «Il risultato di Tangentopoli è che oggi, ottobre 1992, ì partiti sono alla canna del gas. Da giugno non ricevono più i finanziamenti occulti o in chiaro cui erano abituati da lustri e sui quali avevano modulato i propri apparati. Non resta che ridurre gli apparati, muovere il volontariato, ridurre geograficamente i collegi elettorali, perché in un collegio grande come una regione una qualsiasi campagna elettorale costa più di un miliardo. Insomma, i partiti devono vivere con un decimo delle risorse sulle quali hanno contato fino ad oggi». Bernabei. Rimpianti per Bernabei? chiediamo all'ex pupillo. «Il sistema Bernabei - risponde ha avuto effetti positivi per il Paese, gli ha dato una dotazione infrastnitturale europea. Edifici postali, centri di servizio finanziari, ospedali. Tutte infrastrutture che il Paese, purtroppo, non sa gestire. Ma Bernabei è un caso particolare, aveva un peso politico che andava ben al di là del suo ruolo all'Italstat. Era la politica in persona, era il grande consigliere non di un singolo leader o di una corrente, ma di tutta la de. Anche De Mita ha avuto in lui un grande alleato, fin dall'elezione a segretario». Chiediamo a Zamo¬ rani se è vero che il suo ex capo abbia investito nell'elezione di De Mita parte dei fondi neri dell'Ili. Ci guarda allibito e sconsolato, come se bestemmiassimo. Ma ci racconta con dovizia di dettagli come dal 1964 in poi l'Italstrade e la Scai, società del gruppo Italstat, formarono quei fondi fuori bilancio per centinaia di miliardi e come Gherardo Colombo, giudice di Mani Pulite, ne abbia recuperati circa 200. Neanche i ministri faceva Bernabei? «Come no! Quelli delle Poste e Telecomuncazioni, da Togni in poi. Quelli dei Lavori pubblici, invece erano sempre suoi nemici, Nicolazzi, Ferri, Travaglini, Prandini». Noi cattolici. Zamorani va a messa tutte le domeniche, auspica che i corrotti diano segni concreti di ravvedimento e ha chiamato a garante di questa volontà l'arcivescovo di Milano, il cardinal Martini. Che senso ha questa chiamata, dopo le dichiarazioni della parlamentare leghista Irene Pivetti, la quale ha accusato l'arcivescovo di non essere poi del tutto estraneo alla Tangentopoli meneghina? Zamorani riflette, maledice il momento in cui ci ha incontrati, ma non si sottrae: «Io sono cattolico, ma non mi meraviglierei e soprattutto non avrei più rimorsi, se si scoprisse, come avvenne per i fondi neri dell'Iri, che c'è stato l'impiego di contributi per la costruzione di chiese». Zamorani non lo dirà neanche sotto tortura, ma noi che lo conosciamo sospettiamo che ai giudici di Mani Pulite andrà giustificato anche qualche contributo impiegato in opere di religione. Come cambiare. «Bisogna prendere atto di quel che è successo per poter cambiare. L'ha fatto soltanto Craxi, ma alla sua dichiarazione di responsabilità, nulla è seguito. Anzi. Ora spero in Amato e Martelli. E in Martinazzoli, Segni e Bodrato. Loro possono cambiare questo modo di far politica, che ha fatto tanti scempi e tante vittime». Coriolano. Dei luoghi di Tangentopoli secondo il rito romano Zamorani ha rifiutato di parlare persino con i giudici di Mani Pulite, ma non ha potuto fare a meno di citare Coriolano, il Savini all'amatriciana nei pressi di Porta Pia e del ministero dei Lavori pubblici, dove di siglavano tanti patti di fronte a un piatto di fettuccine. Altro che l'Harry's Bar, dove una busta passò nelle mani di un ministro, ma la cucina è mefitica. Zamorani non ci va più: ha perso la poltrona di amministratore delegato di Metropolis, ma studia con ardore le clausole che il commissario delle Ferrovie dello Stato Lorenzo Necci ha imposto alle imprese per evitare che siano versati contributi politici sulle opere già aggiudicate dalle imprese che lavorano per l'Alta velocità. Dov'è l'Ance? «Sì, ho subito l'onta della prigione e ho capito gli errori che ho commesso. Ma adesso voglio svolgere una funzione di stimolo per cambiare questo sistema malato. Certo non basto io. Si devono impegnare i grandi manager come Romiti e Necci. E finalmente si deve impegnare il vertice dell'Associazione costruttori: prenda atto l'Ance della triste realtà e la archivi. S'impegni, però, a cambiare per domani. Non bastano i ministri e i segretari dei partiti. Per cambiare il sistema bisogna che ci credano anche gli imprenditori». Alberto Staterà