Il romanzo di Piazza del Gesù Sedici personaggi in cerca d'autore

Il romanzo di Piazza del Gesù Sedici personaggi in cerca d'autore I SEGRETARI DELLA DC Il romanzo di Piazza del Gesù Sedici personaggi in cerca d'autore ROMA E Gasperi? Beh, l'avevano rieletto segretario nel settembre del 1953, quando ormai era vecchio e malato. Diceva: «In fondo, siamo tutti servi inutili». Ed è una frase bellissima, per cominciare. Soprattutto se si considera che il suo successore, Amintore Fanfani, appena entrato a piazza del Gesù (luglio 1954) si fece installare un campanello elettrico con il quale convocava, come se fosse un cameriere, il suo vice, che poi era anche la sua vittima: Mariano Rumor. Che, anche lui, s'insediò al vertice della de nel 1964. E fa effetto il vuoto di emozioni, di ricordi. Mentre al contrario, vista con gli occhi di oggi, l'ascesa di Moro, avvenuta nel 1959, si tira appresso una quantità di insoliti particolari, a cominciare dall'usciere di piazza del Gesù che non lo conosce e non vuol farlo entrare («Ma io sono Moro», «E allora?»). Il vincitore della Domus Mariae, luogo fatale dove la de si sbarazzò di Fanfani, ha ispirato straordinarie descrizioni: «L'uomo suggerisce un'impressione di calma e forte volontà così Indro Montanelli -. Ma, appena è in piedi, cerca d'istinto qualcosa a cui appoggiarsi». E lascia nella memoria, quel giovane Moro, spezzoni che rimangono impressi per carica drammatica: «Non accetto con gioia - sono le sue prime parole -. Ho sempre tremato davanti alle responsabilità, ho sempre tremato e credo di tremare particolarmente ora, sebbene non abbia il coraggio...». Che mica si elegge ogni anno, il segretario della de, come dire l'uomo politico più potente d'Italia. E allora ogni volta che succede, ogni nome, ogni personaggio che arriva (o che torna) a piazza del Gesù è quasi un altro capitolo di un romanzo in cui, da quarantanni a questa parte, è entrato davvero di tutto. Materia nobile e meno nobile. Gli sputi e i calci, per dire, distribuiti nel patio di Palazzo Sturzo dai tifosi fanfaniani ai notabili dorotei che avevano appena destituito il leader aretino (torrido luglio del 1975). A rileggere le celeberrime cronache di Giampaolo Pansa c'è un Bisaglia che fa tre passi, si ferma, ci ripensa, torna indietro e prende per il bavero uno screanzato fanfaniano. Oppure la folle corsa notturna dell'ignoto demitiano che nel 1982 espugna la stanza degli alto- parlanti al Palasport e per celebrare la vittoria di Ciriaco mette su la marcia trionfale dell'Aida. E poi il pugnale donato da un inconsapevole Re Feisal d'Arabia ad Andreotti proprio nei giorni in cui Moro e il professore si stanno mettendo d'accordo ai suoi danni a Palazzo Giustiniani (1973). E dire che i due cavalli di razza avevano cominciato a tramare e a preparare il «Fanfani 2, la vendetta» proprio al matrimonio della figlia Marilena. E così, alla lunga, rischiano di accavallarsi e confondersi, i ricordi anche bizzarri di questa specie di ordalia del potere che è l'elezione di un nuovo segretario de. La rivolta degli autisti che si attaccarono ai clacson è del 1975, prima che Moro (e le circostanze) inventassero la soluzione Zaccagnini. Il quale in quelle ore stava telefonando alla moglie, a Ravenna: «Sai che cosa capita qui? Vogliono farmi segretario della de. Secondo me sono un poco matti. Vedremo». E chi si ricorda più, a ritroso, dell'orrido neologismo «assiemaggio»? Dev'essere il 1973. Ma chi «assiemava» chi? «Dorotei» invece è del 1959: felice sintesi di Vittorio Orefice per indicare «quelli che si riunivano al convento» di certe suore (quelli che fregarono Fanfani). Parole, oggetti, rumori, perfino meteorologia, ricoveri all'ospedale, morte: anche que- sto succede quando la de cambia leader. Il temporale che fa andare in tilt l'impianto elettrico del Palasport, in pieno scrutinio Forlani-Zaccagnini, è del 1976. Proprio il congresso ir; cui, festeggiando l'elezione di Zac, l'onorevole Vito Napoli cade dal palco e si rompe due dita. Palco sul quale, ma è la seconda volta di Arnaldo (1989), muore d'infarto il segretario di Vincenzo Scotti. Piovono garofani bianchi mentre Forlani pronuncia minacciosi proverbi arabi («Pulisci davanti alla tua casa, e tutta la città sarà pulita»), Cirino Pomicino e Sbardella - che allora non si azzannavano - improvvisano una specie di danza di tripudio e alla fine risultano consumati 450 litri di caffè e 3,5 quintali di banane. Di questo ipotetico romanzo l'elezione di Forlani rappresenta il sedicesimo capitolo. Martinazzoli, di cui peraltro non si conoscono particolari frenesie scaramantiche, sarebbe il numero 17. Prima o poi, del resto, ci si sarebbe arrivati. E però, a questo punto, è difficile far finta di niente, negare che perfino l'irrazionale, con il suo più classico armamentario di veggenti e amuleti, abbia fatto anch'esso capolino. Un corno rosso, con nastrino «di vera puttana», cioè il massimo di auspicio per il Sud, risulta pervenuto dalla Calabria a Riccardo Misasi nel quadro dell'operazione De Mita. «Sarà dura, ma Ciriaco ce la farà»: questa incoraggiante previsione viene invece da Torino. L'ha raccolta, un po' per scherzo e un po' sul serio, il banchiere demitiano Gianni Zandano da tale signorina Pirlollo, com'è ovvio dotata di poteri extrasensoriali. Per il resto c'è da chiedersi cosa non è stato tirato in ballo nella saga ormai quasi quarantennale che ha titolo «come si fa un segretario de». Pressioni vaticane, americane e dell'Eni ai tempi di Enrico Mattei, naturalmente, in varie occasioni. Qualcosa di poco chiaro deve essere avvenuto nel 1964, al congresso della Pergola (scontro dorotei-Fanfani sul centrosinistra). Le cronache ci regalano la descrizione di Segni che in piena notte scatta giù dal letto in mutande e cerca, con Moro, di rappattumare la situazione. Altri fanno capire che invece la situazione fu rappattumata niente di meno che dai servizi segreti della Germania (Ovest). La dietrologia più diffusa e duratura riguarda comunque il modo in cui, nel fatidico 1954, Fanfani si sarebbe appropriato dell'eredità degasperiana. Più in dettaglio, qui la leggenda nera si biforca in due tronconi. Chi fa capire che il leader aretino utilizzò - e certo le date un po' fanno pensare - la morte di Wilma Montesi e quello scandalo che colpì con Piccioni (e Spataro) la vecchia guardia popolare. Chi, ed è la seconda scuola dietrologia, punta l'indice sulla spregiudicatezza con cui Fanfani, in una piazza del Gesù drappeggiata a lutto, seppe enfatizzare una famosa lettera d'investitura («Guai se il tuo sforzo fallisse!») scrittagli qualche giorno prima di morire da De Gasperi. Non si sapeva, allora (ma Fanfani sì), che di lettere di De Gasperi al neosegretario ne esistevano due. E l'ultima era decisamente meno lusinghiera. Cosa non si fa per quella poltrona. Del resto un trionfale, ridicolo «Come De Gasperi!», con punto esclamativo e à nove colonne, fu il titolo con cui l'Adige, diretto da Flaminio Piccoli, accolse il traguardo raggiunto dal suo direttore nel 1969. Come De Gasperi! Ma con la piccola differenza che l'infausta elezione di «Flam» avvenne - caso unico - con 87 schede bianche, 5 nulle e appena 85 sì. Gli andò meglio nel 1980, congresso del preambolo. Quando, con impercettibili movimenti, Piccoli centrò il bersaglio spostandosi dall'estrema destra della sinistra all'estrema sinistra del'.i destra («Pensare - ha scritte Gianfranco Piazzesi - che le chiamavano lo scemo del villaggio») E infatti è ricca di sottilissimi intrecci e incomprensibili alchimie, la saga segretariale. Che al dunque, cioè superata l'algebra dei voti, sfuma in una dimensione bizzarra, paradossale. Per cui alla fine conta più l'assenza che la presenza. Nel 1959 il futuro segretario Moro non vota contro Fanfani. Dieci anni dopo Forlani, che sta lì lì per farcela, quasi sparisce, comunque si nasconde. DonatCattin piomba a casa, gli apre la porta Alessandro Forlani, 10 anni: «C'è papà?». «Non lo so». '<Ma allora hai già imparato la lezione». Nel 1975, sempre contro Fanfani, non può votare Zaccagnini, che è presidente del Consiglio nazionale: e anche per questa sua carica apparentemente neutrale riesce. Appena eletto promette che, una volta superato il difficile momento, è pronto a lasciare il posto ad altri. Resiste cinque anni. Confermando una tradizione che è anche di omissioni e dissimulazioni. Per cui il segretario che si dice provvisorio è in realtà assai longevo, e quello che sembra più tremebondo - e qui viene in mente Zoli che impietosito batte una mano sulle spalle di Moro appena eletto: «Fatti coraggio anche tu, ragazzo!» - finisce per risultare il più coraggioso. Anche senza concessioni all'occhio: fino a una decina di anni fa è un libro quasi privo di immagini, quello che sta per riaprirsi con Martinazzoli. E' l'elezione diretta da parte del congresso a spostare l'attenzione sullo scenario in cui avviene. Il tempo delle grandiose corride al Palasport, già sede di concerti rock e incontri di boxe (e le cellette in cui De Mita e Forlani attendono la proclamazione sono le stesse che di norma ospitano pugili e cantanti). Aria di megashow congressuale. In cielo elicotteri e aerei leggeri, in terra gli ingorghi delle macchine e dei pullman. Ai parcheggi bande di topi d'auto al lavoro. Ai cancelli la distribuzione dei pacchetti d'inviti. Sulle gradinate le tifoserie, anche con striscioni (memorabile un «Nusco saluta il suo grande uomo»). In platea le risse, i fischi e le risposte dei fischiati. «Ho fatto la campagna elettorale del 1948. E se avessi avuto paura dei fischi - pausa - voi non sareste qui!»: questo è uno splendido Fanfani 1982. Applausi, infine. Tanti, troppi, nevrotici. 20 minuti per Martinazzoli, tre anni fa. E allora 21 per Andreotti, il giorno dopo. E 25 - tiè! - per la replica di De Mita, il terzo giorno. Con il presidente che suonava inutilmente il campanello: «Basta, il record lo avete battuto... De Mita se n'è andato a casa... Volete capirlo o no?». Filippo Ceccarelli t Fanfani fece installare un campanello per convocare il suo vice Rumor Il primo giorno di Moro? L'usciere non lo fece entrare A sinistra Alcide De Gasperi rieletto segretario nel 1953 e (in basso) Amintore Fanfani eletto nel 1954 A destra Mariano Rumor prima vice di Fanfani poi, nel 1969, leader della de In basso a destra Aldo Moro segretario nel '59 Mino Martinazzoli (foto grande) futuro leader della de A sinistra Flaminio Piccoli segretario nel 1969 A sinistra Benigno Zaccagnini prima di essere eletto, nel '75, chiamò la moglie «Questi sono pazzi»

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