Il lavoro di routine nemico dei diabetici

Il lavoro di routine nemico dei diabetici MEDICINA Il lavoro di routine nemico dei diabetici IL diabetico ed il cardiopatico al lavoro sono stati due dei temi del 55° congresso nazionale della Società italiana di medicina del lavoro ed igiene industriale (comitato di presidenza G. Giuliano ca'edratico di Firenze, e G. F. Rubino, L. Pettinati e G. Scansetti, cattedratici di Torino), svoltosi nei giorni scorsi a Torino. Ci sono in Italia quasi due milioni di diabetici, alcuni bisognosi, altri no, di terapia insulinica e questo numero è in progressivo aumento. Il diabetico ha diritto al lavoro, non possono esserci discriminazioni per questa categoria tranne nel caso di complicazioni invalidanti, come dice la legge del 1987 che detta le norme da seguire e le «Disposizioni per la prevenzione e la cura del diabete». Ciò nonostante molti problemi sussistono ancora, anche perché vi sono parecchie discriminazioni ingiustificate nei confronti del diabetico, e in qualche caso anche del cardiopatico. Vaste indagini in vari settori di attività sono state svolte dalla scuola torinese di medicina del lavoro, per esempio su ventimila lavoratori del settore terziario, operai, impiegati, telefonisti, tecnici, ed altre nei comparti industria gomma, chimica, fibre. Allo stato attuale delle ricerche, non v'è dubbio che il tipo di lavoro può influire in senso negativo, gli operai hanno maggiori problemi degli impiegati, e le condizioni di lavoro dovrebbero tenerne conto. In effetti esse sono nettamente migliorate per tutti per quanto riguarda la fatica, la presenza di tossici chimici, il rumore, l'illuminazione, ma non per altri aspetti riguardanti specificamente i diabetici. Per esempio l'attività muscolare ha un effetto favorevole, ma il diabetico non dovrebbe essere soggetto a questo proposito a richieste elevate ed improvvise. Lo sforzo fisico, tanto più se discontinuo, va evitato. E qui sorge la questione dei lavori a turno e del lavoro notturno, possibili cause di scompenso del ricambio, e sconsigliabili. Il diabetico ha in complesso una buona adattabilità a molti generi di lavoro, però ve ne sono di non convenienti al diabetico con insulina: essenzialmente la rotazione su turni (che incide anche sulla regolarità dei pasti e dei controlli sanitari), la guida professionale, i lavori ad altezza dal suolo. Il diabetico senza insulina, salvo la rotazione su turni, non ha particolari limitazioni. Dicevamo che le condizioni di lavoro sono migliorate per alcuni aspetti ma non 1 per altri. L'evoluzione tec] nologica del lavoro è soven¬ te fonte di stress: a parte i turni ecco la sovrastimolazione dei lavori a cottimo o a catena, oppure all'opposto la sottostimolazione del lavoro automatizzato, delle attività ripetitive e della conseguente noia. E gli stress, tutti concordano su questo, sono nocivi. Detto questo limitatamente alle cose essenziali è evidente l'importanza delle strutture sanitarie aziendali, tanto dal punto di vista terapeutico quanto preventivo. Basti pensare per esempio alla mensa, che deve garantire al diabetico una dieta adeguata. Al congresso numerose anche le relazioni sul cardiopatico al lavoro. Si intendono per cardiopatie i vizi valvolari congeniti o acquisiti, la malattia coronarica con o senza precedenti di infarto, le aritmie, le alterazioni del miocardio (il muscolo cardiaco), infine l'ipertensione. Anche qui vaste indagini della scuola torinese di medicina del lavoro, per esempio su impiegati ed operai di 28 aziende di Torino e provincia. Poco più del 7% dei lavoratori erano cardiopatici. L'ipertensione è l'affezione più frequente, seguono i vizi valvolari e la malattia coronarica. Un rilievo: fumatori di sigarette erano circa la metà dei maschi, le fumatrici salgono all'81%. La cardiopatia non è motivo frequente di cambiamento delle mansioni, ma per chi ha avuto un infarto è opportuno evitare esposizioni al freddo, al caldo, ai rumori, ai carichi pesanti e la rotazione su turni. Per quanto riguarda il portatore di pacemaker in genere si ha una riduzione dell'impegno occupazionale, tuttavia l'applicazione del pacemaker determina di solito un miglioramento dell'efficienza fisica. L'impiego lavorativo di questi soggetti può essere visto con ottimismo. D'altronde l'ottimismo per i cardiopatici può essere generale poiché da un'inchiesta risulta un reinserimento lavorativo nel 95% dei coronarici e nel 75% degli affetti da infarto, dimostrante che la terapia ed il trattamento riabilitativo permettono il recupero d'una gran parte dei soggetti. Quanto ai trapiantati del cuore (la relazione è stata tenuta da un gruppo di ricercatori di Bergamo), su 108 operati da almeno 6 mesi il 66% ha ripreso un'attività lavorativa, il che dimostra un buon recupero funzionale. E di costerò oltre la metà ritorna alla mansione precedente, semmai con limitazioni nello sforzo e soprattutto negli orari. Devono però trascorrere almeno 6-12 mesi dall'intervento. Ulrico di Aichelburg 'rg |

Persone citate: Scansetti, Ulrico Di Aichelburg

Luoghi citati: Bergamo, Firenze, Italia, Torino