Vip in passerella con Mario

Vip in passerella con Mario Vip in passerella con Mario Da Ayala alla Vanoni, tattismipalco L'ANIMA DEI POPOLARI QROMA UANTO scompiglio, sul palco dei Vip del Palaeur. Gli ospiti eccellenti della festa di Mario Segni, dapprima relegati negli spalti laterali, si affrettano a conquistare un posticino sotto le luci della ribalta. Ecco che arriva Silvia Costa, poi i liberali Alfredo Biondi ed Egidio Sterpa, poi il costituzionalista Andrea Manzella, già Richelieu di De Mita, seguito da Alberto Michelini, l'anchorman che piace oltre Tevere, a ruota Giuseppe Zamberletti e Ornella Vanoni. Lì a lato freme la delegazione pri, ma basta un cenno di Giorgio La Malfa e subito ha inizio la traversata repubblicana verso il centro della scena, con il segretario seguito da Enzo Bianco e Giuseppe Ayala. Resta dov'era, sornione e distaccato, Marco Pannella. Accolto da un'autentica ovazione, seconda soltanto a quella tributata al giudice Ayala, il leader radicale non sembra perfettamente a suo agio nella'kermesse dei «popolari per la Riforma». Guarda con malcelato fastidio quell'ostentata marcia nelle prossimità di Segni e dedica al trasferimento dei vip una battuta sferzante: «Sono restato nei posti che l'organizzazione aveva previsto per gli ospiti amici. Del resto è naturale la ressa del "piatto ricco mi ci ficco" nei momenti dei trionfi, mentre sono solito essere accanto agli amici nei momenti di difficoltà». Sì, questo è il giorno del trionfo per Mariotto Segni. Cortesi, garbati e disciplinati, i «popolari» assiepati in platea o schiacciati in galleria sembrano tanti campioni di una sobrietà e di un lindore davvero rari nei grandi happening autenticamente popolari. Domina su tutto un azzurrino tenue ed elegante. A basso volume si diffondono le note rilassanti della musica new age. Prevale la discrezione soft anche negli striscioni, pungenti ma senza sgangheratezze. «Noi sardi, voi sordi», recita uno, omaggio al leader. E un altro, riecheggiante un De Gregori d'annata: «L'Italia derubata e colpita al cuore. L'Italia che non muore». E poi tante, tantissime bandiere tricolori, tanto per far dispetto a Bossi. I popolari non danno nemmeno in escandescenze per l'onnipresente Gianfranco Funari. E fa quasi impressione, in tanta anglosassone compostezza, captare una voce dal sen fuggita del telepredicatore: «Segni non è più discutibile, oramai è soltanto seguibile». Le impeccabili hostess del convegno, celestiali anch'esse, ascoltano inorridite i proclami di Funari. Popolari sì, ma per la Riforma, mica per la sintassi zoppicante. E poi ci sono gli ospiti illustri da curare. C'è Gianni Rivera, appartato e singolarmente imbronciato. I volti noti della tv, da Giovanni Minoli ad Alessandro Curzi. I democristiani Agnisti, Fracanzani, Pàggio, Rognoni, Mastella, Garavaglia e D'Onofrio, amico di Cossiga. In alto e quasi invisibili quelli del pds: il neo capo ufficio stampa di Occhetto Massimo De Angelis, Paola Gaiotti De Biase e Giulia Rodano. Non c'è Augusto Barbera, che vorrebbe lo strappo di Segni dalla de. Non ci sono socialisti e socialdemocratici. Un Verde: Gianni Mattioli. E compare anche Gustavo Selva, non senza qualche malumore tra i seguaci della prima ora di Mario Segni. Tutti a non perdersi una sillaba di Segni e di chi lo ha prece- duto sul podio. Attentissimi, i popolari del Palaeur. Fai che l'oratore distrattamente si allontani dal microfono e subito qualcuno invoca a squarciagola «voce!». Sensibili a pronti a cogliere la minima sfumatura. Se Franco Monaco spende qualche parola di pace per Martinazzoli, subito parte il mormorio di disapprovazione. Se Gianclaudio Bressa, sindaco di Belluno, si lancia in un'ardita metafora sul comune impegno riformatore di «costruttori, architetto e muratori», i popolari colgono al volo che ogni riferimento alla simbologia massonica è rigorosamente vietato e tutti insieme commentano l'infortunio con un brusìo di disapprovazione. Applaudono però con calore e con passione quando Segni sferza la de, quella antica ma anche quella di Martinazzoli. «Fuori, fuori», invoca qualcuno, come se serpeggiasse una voglia matta di rompere finalmente con lo Scudo crociato. «Quello che mi colpisce è che l'intento di Segni è stato interpretato dalla sala al di là dei suoi intendimenti», commenta lo storico Pietro Scoppola che ben conosce gli «intendimenti» del leader. Segni, immobile, aspetta che l'applauso scemi. Forse rimpiangendo le popolari arene democristiane, un «popolare» isolato reclama a gran voce di mandare la de dove non si può dire. Viene immediatamente zittito. Eccome se contano, le buone maniere, tra i «popolari» del Palaeur. Pierluigi Battista C'è anche Pannella applauditissimo che però si defila «Sento odore di "piatto ricco mi ci ficco"» A sinistra Gianni Rivera Qui accanto Gianfranco Funari In basso Ornella Vanoni

Luoghi citati: Belluno, Italia