Il Nobel approda ai Caraibi Vince Walcott, poeta nero

Il Nobel approda ai Caraibi Vince Walcott, poeta nero Il premio per la letteratura a un autore di origini africane, esploratore di miti del Centro America Il Nobel approda ai Caraibi Vince Walcott, poeta nero STOCCOLMA 0N0 soltanto un negro rosso che ama il mare»: è il commento di Derek Walcott quando gli hanno detto che aveva vinto il premio Nobel per la letteratura 1992. Walcott, che ha 62 anni e risiede a Trinidad, è nato nell'isola di Santa Lucia, nei Caraibi. La sua poesia si richiama alla patria caraibica, alla lingua inglese e all'origine africana. LAccademia di Svezia sintetizza questa complessità culturale, fatta di ritmo calipso e di mareggiate oceaniche: il premio (sei milioni e mezzo di corone, circa un miliardo e mezzo di lire) gli è stato assegnato, si legge nella motivazione, «per un opera poetica d'intensa luminosità, sostenuta da una visione storica maturata attraverso un impegno multiculturale». Con lui, per la prima volta in 91 anni, il Nobel è andato ai Caraibi: proprio nel 500° anniversario dell'approdo di Cristoforo Colombo in quelle terre. La scelta ha sorpreso gli ambienti letterari internazionali (per l'Italia il candidato al premio era Mario Luzi), ma non quelli svedesi: in questi giorni, a Stoccolma, si sta rappresentando L'ultimo carnevale, opera di cui l'autore ha curato la regia. Alla «prima», tra il pubblico, erano presenti molti membri dell'Accademia. [f. m.j "T^Tl T. LUCIA, nei Caraibi (o L ' Indie Occidentali, se« condo l'etichetta appo1 j sta dagli Inglesi), nella SJJ cui piccola capitale, Castries, Derek Walcott è nato il 23 gennaio 1930, rappresenta un caso limite di rimescolamento etnico. Scoperta e appropriata dagli Spagnoli, fu poi conquistata dai Francesi, cui succedettero gli Inglesi. Walcott, discendente di schiavi africani ma con qualche ascendenza inglese, lo ha confessato con secca incisività. «Da quell'illegittimo che sono, qualcosa mi provoca quando vedo la parola Ashanti (un popolo del Ghana, ndr) con la parola Warwickshire, che entrambe, separatamente, dichiarano le radici dei miei nonni. Entrambe battezzano questo bastardo né fiero né vergognoso, questo ibrido, questo Indiano Occidentale». Si comprende agevolmente, così, la complessità della formazione culturale, non meno dei dilemmi esistenziali, di Walcott, educato in scuole inglesi, con una solida preparazione, nella storia, l'arte e la letteratura europea, ma profondamente legato alla eredità africana e popolare caraibica; di I conseguenza, la sua frequentazione con i grandi classici inglesi, specie i poeti me¬ tafisici e Milton, accanto al legame diretto con la cultura popolare dei Caraibi, a St. Lucia, città la cui maggioranza è di neri africani cattolici, che parlano un dialetto francofono, mentre Walcott, in parte bianco, metodista, ha scelto recisamente l'inglese. Nella sua poesia spesso «alta» si inseriscono allora gli apporti dialettali: il conflitto solo apparente - ha spiegato Walcott - la «drammatica ambivalenza», rende più forte la poesia. Robinson e Venerdì Ecco allora che la poesia di Walcott, dalle prime poesie del '48 al cruciale In a Green Night {In una verde notte, '62) esprime allo stesso tempo l'ambiguità e l'alienazione del discendente di popoli colonizzati e uno sforzo tormentoso di riconciliazione. L'esperienza individuale si trasforma in presa di coscienza collettiva, percorsa da movenze allegoriche e simboliche. Pensiamo ai titoli: The Castaway (Il naufrago, del '65), The Gulf(l\ golfo, '69). «La vera, aspra estetica del Nuovo Mondo - ha scritto ancora Walcott - non spiega né perdona la storia». Ne esplora, se mai, i miti, ed ecco ricorrente la drammatica endiade Robinson Crusoe-Venerdì, nella quale il secondo riflette l'isolamento, la separazione dalla società, dalle altre razze, dallo stesso Dio. In Venerdì, Walcott si identifica, nella sua sofferenza quasi religiosa, onde il gioco di parole su «Good Friday» che significa in inglese sia «il buon Venerdì», sia «il venerdì santo». Dio e gli inglesi, specularmente, richiedono riverenza, loro i «padroni», ma nel suo ri- scatto Venerdì assume la parte del Cristo. E come Robinson impone a Venerdì la sua lingua e come prima parola, appunto, Master, padrone, lo schiavo rovescerà il rapporto conquistandosi a sua volta la propria parola, un nuovo discorso. Una simile, feconda ambiguità diviene più complessa nel canone della poesia di Walcott, alla ricerca progressiva di un linguaggio nel quale il rifiuto, persino la maledizione, non postulano mai la negatività del distacco, ma se mai allargano i oven. « TO FORTI) I confini della visione. Per questo, in una composizione ormai proverbiale, Walcott chiamerà per cognome i poeti inglesi che pure lo hanno influenzato, e per nome i poeti ispanici del Sud America, Pablo (Neruda), Cesar (Vallejo), Octavio (Paz), spiriti fratelli. Il risentimento non esclude la compassione. «La poesia del Nuovo Mondo - insiste Walcott - non finge l'innocenza. Piuttosto, come i suoi frutti, il suo sapore è una mistura di acido e di dolce». Si tratta di reinventare un Eden, ma le mele del nuovo paradiso terrestre contengono l'aspro delle esperien¬ ze. L'amore, la creazione di una rinnovata forma di coscienza, un rapporto confortante, consolante, con il luogo e il paesaggio - fondamentali nella poesia spesso visuale di Walcott - racchiudono un'importanza decisiva in società nelle quali il rischio dell'alienazione e dell'isolamento deriva da decenni di schiavitù, di spoliazione anche culturale, di imposizione colonialistica. La risposta di Walcott non si esaurisce nella denuncia o nella protesta, ma al contrario esige l'affermazione di una cultura diversa, alternativa ma non necessariamente antagonistica, ricca di fermenti e di nutrimenti disparati e capace di un nuovo immaginario e di un nuovo linguaggio. Ma Walcott è anche un prolifico e originale autore teatrale, con una trentina di testi all'attivo, fino al recente Last Carnival, l'ultimo carnevale, ove nella festa, così centrale nella cultura caraibica, l'elemento ludico e quello drammatico si saldano. Ti-Jean and His Brothers (To-Jean e i suoi fratelli, del '58) porta in scena il diavolo della tradizione popolare caraibica, in una lotta senza fine tra il bene e il male in cui il Diavolo non è mai del tutto personificato né del tutto sconfitto; parallelamente, la commedia contiene un'allegoria storico-politica, con il Diavolo che si incarna nella figura di un piantatore bianco, in una chiave che riconduce al folklore di St. Lucia. Un'antica leggenda sostanzia Malcochon, del '59, mentre in The Joker of Seville (Il burlatore di Siviglia, del '78), coniuga motivi indigeni con lo stereotipo classico spagnolo del Don Giovanni. Il sogno di un contadino In Dream on Monkey Mountain (Sogno sulla montagna della scimmia, del '67) un povero e degradato contadino sogna di essere il re di un'Africa riunificata, e diviene il simbolo stesso del potere dell'immaginario e della poesia: «Da tutta quella pena / la bellezza è il nostro guadagno». Proprio nel Dream la figura di Cristo nella cultura popolare locale, Makak, insieme nuova versione di Don Chisciotte, realizza in sé il senso stesso dell'opera di Walcott, della sua visione, della sua conquista che si contrappone alla conquista e alla cultura egemone dei colonizzatori. Il Cristo del nuovo mondo, avverte Walcott, «deve affrontare la realtà. Deve andare al mercato ogni sabato per guadagnarsi da vivere». Claudio Gorlier Discende da una tribù africana, gli Ashanti, ma ha anche sangue inglese. Tra i suoi ispiratori Pablo Neruda e Octavio Paz «Sono un bastardo un ibrido, un Indiano Occidentale» A fianco, Derek Walcott. L'isola dove è nato, St. Lucia, ha una maggioranza di neri africani cattolici che parlano un dialetto francofono, mentre Walcott ha scelto l'inglese. A destra, lo scrittore a New York. Walcott, che 948-1984]». | delphi. . arne, la sabbia, ; 'amore di fiori arne te, rma Pubblichiamo una poesia di Derek Walcott, che compare in «Collected Poems [1948-1984]». | L'opera uscirà l'anno prossimo da Adelphi. EPILOGHI Le cose non esplodono: vengon meno, sbiadiscono, . come il sole sbiadisce dalla carne, come la schiuma asciuga nella sabbia, ; anche il fulmineo lampo dell'amore non ha un epilogo tonante, muore invece con un suono di fiori che sbiadiscono come fa la carne sotto la pietra pomice sudante, tutto concorre a dare una forma finché restiamo soli col silenzio i che circonda la testa di Beethoven. « [TRADUZIONE DI GILBERTO FORTI) I