PIO XII fra i motori e suor Pasqualina di Antonio Spinosa

PIO XII fra i motori e suor Pasqualina Il ritorno di papa Pacelli: escono due libri, in anteprima alcune pagine di Antonio Spinosa PIO XII fra i motori e suor Pasqualina Papa Pacelli toma al centro dell'attenzione. Sul Pontefice che ha governato la Chiesa dal 1939 al '58 è da poco uscito Pio XII, la politica in ginocchio del vaticanista Enrico Nassi (Camunia): un ritratto ricco di aneddoti, che non trascura l'analisi storico-politica. E fra qualche giorno sarà in libreria Pio XII. L'ultimo papa, di Antonio Spinosa (Mondadori). Giornalista e biografo di successo, Spinosa giudica Pacelli «l'ultimo papa» interamente romano, con l'aspirazione a una Chiesa unita e forte come un impero. Del suo libro pubblichiamo in anteprima una scelta di brani. Un pontefice da 120 all'ora La figura severa di Pio XII, il gesto misurato, l'incedere solenne apparivano in stridente contrasto con la passione che egli nutriva per la velocità. In automobile voleva che l'autista premesse a tavoletta il pedale dell'acceleratore. La sua grossa macchina nera, con la targa SCV 1, sfrecciava nelle strade di Roma e raggiungeva Castel Gandolfo in un lampo. SCV: Stato della Città del Vaticano, che i romani traducevano: Se Cristo Vedesse, considerando troppo lussuose l'automobile e la vita del pontefice. All'interno di ognuna delle sue automobili, alla destra del tronetto in velluto cremisi, egli aveva a disposizione un quadro di comandi con otto, bottoni con le scritte che corrispondevano ad altrettanti ordini per l'autista, «avanti», «indietro», «adagio», «forte», «destra», «sinistra», «ferma», «Vaticano». Il tasto preferito era il «forte», per cui l'autista doveva spesso superare anche i centoventi chilometri orari con evidente soddisfazione del papa, il quale aveva fatto di una parola - «Presto!», «Presto!» - il suo motto quotidiano. Né, quando era ancora cardinale negli anni di Nuvolari, un incidente lo aveva indotto a rinunciare alla velocità, o meglio all'incalzante desiderio di fare ognora presto. L'autista da lui stimolato premeva sempre più l'acceleratore della macchina e a una curva, per una brusca frenata, Pacelli, urtando contro il sedile anteriore, vide andare in frantumi le lenti dei suoi occhiali. Una croce mandata da Dio Tra i familiari di Pacelli cresceva l'insofferenza per il ruolo sempre più assoluto che suor Pasqualina svolgeva accanto al papa. All'inizio, quando don Eugenio era tornato in Germania, l'avevano riguardata con simpatia, ma poi a poco a poco le cose erano cambiate e ormai non potevano più sopportarla. La giudicavano invadente e dispotica, e quindi con sufficienza avevano comincia- to a chiamarla «virgo potens». Si dicevano convinti che don Eugenio non avrebbe voluto averla con sé a Roma avendo cessato di stimarla, e che in suo luogo avrebbe desiderato Elisabetta, Bettina, la sorella minore cui era particolarmente affezionato (...). [Suor Lehnert] entrò in Vaticano, e fu più che mai vicina a Pacelli. Riusciva sempre a imporre la propria volontà, anche col sostegno della lobby dei gesuiti tedeschi suoi connazionali di cui Pacelli si era da sempre attorniato, a cominciare da padre Leiber. Del resto don Eugenio aveva in grande considerazione la Compagnia di Gesù per la sua organizzazione e la sua efficienza. Diceva che i gesuiti erano i più fedeli: «Lo sperimento in ogni cosa. Sono sempre pronti!». Suor Pasqualina era scaltra, energica, dinamica e dotata di grande abilita manovriera. Si comportava sagacemente con lo stesso pontefice il quale infatti non riusciva a liberarsene. E quando tentava di farlo, lei sapeva come difendersi, a chi appoggiarsi e a quali argo- menti appellarsi, non esclusa la minaccia che al suo eventuale allontanamento sarebbe potuto seguire uno scandalo. Tra i familiari del papa si osservava che lui, essendo impressionabilissimo, non riusciva a tenerle testa, per cui la suora continuava a farla da padrona ed era perfino diventata un'influente consigliera del papa. Le accuse e le insinuazioni non avevano più termine. Il contrasto si fece particolarmente aspro quando, in occasione d'una malattia di Pacelli, una polmonite, suor Pasqualina si oppose a un consulto pre¬ tendendo che a visitarlo fosse soltanto l'archiatra, il professor Riccardo Galeazzi Lisi, suo protetto (...). Suor Pasqualina si intrometteva in tutte le vicende della casa apostolica, non escluse le più delicate. Né le più futili. Spesso il vicedirettore dell'«Osservatore Romano» Cesidio Lolli si recava dal pontefice con le bozze dei discorsi o per concordare qualche articolo. In genere egli era accolto nello studio del pontefice, nel suo appartamento privato. Ma un giorno il papa lo ricevette nel salottino attiguo allo studio, e gli disse: «C'è una novità. Dobbiamo incontrarci in questo salottino. Bisogna avere pazienza. Lei vede che qui a terra ci sono i tappeti, mentre nel mio studio c'è un parquet lucidato a cera. Ebbene, Madre Pasqualina dice che lei lascia l'impronta delle scarpe su quel parquet. Perciò vediamoci qui». La suora era ognora presente perfino agli incontri del pontefice coi parenti, i quali scalpitavano non sentendosi liberi di parlargli nemmeno nelle riunioni familiari. Quelle riunioni si verificavano per altro assai raramente - a Pasqua, a Natale - e si supponeva che ciò avvenisse anche a causa delle interferenze della Lehnert. Sempre più irritata, Bettina era arrivata alla conclusione che quella suora costituisse per il papa una vera croce, una croce che egli accoglieva dalle mani di Dio come un mezzo di santificazione. «Non lascerò il Vaticano» Un progetto originario dei nazisti prevedeva che a Roma dovessero cadere nella rete ottomila ebrei, ma alle milleduecento persone catturate il 16 ottobre non se ne aggiunsero subito altre. Il Reichsfùhrer SS Himmler, dopo la démarche di monsignor Hudal, ordinava fin dal giorno 17 la sospensione dei rastrellamenti. Ma ciò non evitò l'inumana deportazione, senza ritorno, degli israeliti già fatti prigionieri. Il papa agiva dietro le quinte. La sua prudente condotta era suggerita dal timore d'un'invasione del Vaticano da parte tedesca e dall'esigenza di agire in difesa delle vite umane in pericolo senza esporre loro e se stesso a rappresaglie certe e annunciate. Per di più i tedeschi, sulla base di un piano preparato da Martin Bormann, avevano rinnovato le minacce di deportarlo o in un monastero del Wartburg o nel Liechtenstein, e sembrava che stessero segretamente scavando un tunnel sotto il palazzo apostolico per poterlo rapire di sorpresa. «Certo», diceva il papa, «potrebbero deportarmi. Ma dovranno legarmi mani e piedi. E poi non avranno fatto prigioniero Pio XII, ma semplicemente il cardinale Pacelli». Monsignor Pietro Palazzini testimoniava che il papa aveva preparato una lettera di dimissioni con la quale rinunciava al soglio pontificio, all'atto del suo eventuale arresto. C'era però in Vaticano chi preparava un contropiano con il proposito di indurre il papa a rifugiarsi in una villa sulla costa di San Felice Circeo e di qui, a bordo di una nave spagnola, condurlo nella penisola iberica e affidarlo alla protezione di Francisco Franco. L'ingegner Enrico Galeazzi, ideatore del progetto, aveva il pieno appoggio di suor Pasqualina, la quale anzi volle fare un sopralluogo. Mentre si inerpicava sulla stradina a picco sul mare per raggiungere la villa, che apparteneva all'ingegnere, scivolò slogandosi un piede. Era ancora claudicante quando, con trepidazione, mise al corrente il pontefice del loro progetto. Il «no» di Pacelli fu immediato e netto. Non ammetteva repliche. Pacelli confermò il suo diniego al maestro di Camera, Arborio Mella di Sant'Elia: «Non lascerò il Vaticano. Sono stato messo sul seggio di Pietro per volere di Dio, e non sarò io a scenderne!» (...). Fin dalle prime persecuzioni e deportazioni, che già si erano verificate in altri luoghi d'Europa, il papa aveva assunto quella prudenziale linea di condotta in base alla quale ufficialmente taceva, ma riservatamente operava in favore degli infelici che erano caduti nelle mani dei nazisti o ne erano minacciati. Mentre per i prigionieri di guerra la Croce Rossa poteva agire in base a una convenzione internazionale, per gli ebrei non sussisteva alcuna forma di difesa. Quindi, al di là d'una collaborazione che si stabilì fra Croce Rossa e Vaticano, un più aperto sostegno di un'alta autorità come quella della Chiesa si sarebbe potuto rivelare oltremodo utile all'alleviamento delle loro pene. Tutto ciò poteva naturalmente valere se non fosse gravata sul Vaticano la minaccia delle rappresaglie, e nel caso che fossero prevalse su Pio XII considerazioni unicamente evangeliche e non si fosse dato alcun peso all'eventualità che la vendetta di Hitler e dei suoi complici avrebbe travolto ogni azione della Chiesa vanificandola e aprendo capitoli ancor più dolorosi. Antonio Spinosa Nell'auto otto tasti per dare gli ordini. Il favorito: «Forte» La sorella Bettina e la famiglia uniti contro l'intrusa tedesca: era la detestata «virgo potens» Una linea prudente sidle persecuzioni contro gli ebrei PIO XII fra i motori e suor Pasqualina Nella foto grande Pio Xil impartisce la benedizione Urbi et Orbi. Qui a fianco suor Pasqualina; sopra Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri e poi ambasciatore presso la Santa Sede; a destra l'archiatra Riccardo Galeazzi Lisi

Luoghi citati: Castel Gandolfo, Città Del Vaticano, Europa, Germania, Roma, San Felice Circeo