Segni e dc, separati in casa di Fabio Martini

Segni e dc, separati in casa Sull'elezione dei sindaci le posizioni sembrano meno distanti Segni e dc, separati in casa Martinazzoli: ma il dialogo continua ROMA. L'enigma si scioglie alle sei della sera. I cronisti finalmente depistati, nel chiuso del suo studio privato, Martinazzoli guarda negli occhi Segni e gli annuncia: «Caro Mario, io stasera parto per Brescia e quindi sabato non sarò all'assemblea dei Popolari per la riforma. Meglio così». Mino Fermo Martinazzoli e Mariotto Segni si conoscono da anni, si stimano e si rincontreranno presto. Ma ieri sera, in una ex camera d'albergo riattata a studio nei pressi del Pantheon, i due si sono finalmente parlati a quattr'occhi e alla fine sono riusciti a trovare un'intesa, qualcosa che somiglia ad un patto: per i prossimi mesi tra i due sarà separazione consensuale. Ognuno lavorerà sul suo fronte, Martinazzoli nella de, mentre Segni, restando democristiano, coltiverà il rinascente popolarismo, il fronte referendario e in primavera si tireranno le reti. Ecco perché Martinazzoli, in extremis e a differenza di quanto annunciato, ha deciso di disertare la kermesse di Segni: non vuole rubargli la scena, non vuole rovinargli la festa, anche se si aspetta - e lo ha fatto capire - che dal Palaeur Mariotto pronunci con la voce convinta un «buon lavoro Mino» che sarà di aiuto al nuovo segretario. E così, all'insegna di questo patto di mutua assistenza a distanza, è saltata anche un'ipotesi eia- morosa su cui avevano lavorato in gran segreto le diplomazie dei due fronti: un saluto di Martinazzoli all'assemblea dei Popolari. Un'intesa di fondo tra i due, che ha permesso a Martinazzoli di commentare così l'incontro di ieri: «Il dialogo continua». Ma anche Martinazzoli ha i suoi grattacapi. Gli uomini delle tessere, il ventre molle della de sta digerendo controvoglia la sua candidatura, al punto che una vicesegreteria unica a Segni avrebbe provocato una crisi di rigetto: anche per questo, due sere fa in una riunione a porte chiuse della sinistra, il segretario in pectore ha stroncato tutte le voci: «Il problema non è quello di offrire una vicesegreteria a Segni - ha detto Martinazzoli - come pare che qualcuno abbia detto. Bisogna piuttosto chiarire se Segni è d'accordo con la de sugli aspetti fondamentali. Che senso avrebbe affidargli un incarico di partito e poi trovarlo in contrasto con noi sulla riforma elettorale?». Ma Segni non va perso di vista e così, la de acefala di questi giorni, è capace anche di correzioni repentine sulla delicata materia elettorale. E' accaduto ieri nella commissione Affari costituzionali: il capogruppo de Soddu si è espresso a favore del voto disgiunto per sindaco e Consiglio comunale, ovvero la possibilità di un voto per il sindaco e uno per una lista che gli si oppone. Una posizione che riawicina la de a Segni, fautore del voto su schede separate. Ieri Martinazzoli si è visto anche con Andreotti e due sere fa, oltreché ai suoi amici della sinistra, ha parlato all'assemblema dei senatori de. Martinazzoli ha usato un linguaggio duro e impegnativo: «I gruppi parlamentari dovranno abbandonare il sistema di distribuzione della cariche basato sulla divisione tra correnti». Ancora più radicale il discorso sul partito: per superare le incrostazioni del tesseramento tradizionale ha ipotizzato un «tesseramento in piazza, con l'adesione di chi vuole ad un manifesto politico-programmatico», in modo da aprire una sorta di fase costituente in vista del futuro congresso. E proprio sulla data del congresso potrebbe esserci la novità, qualcosa che potrebbe essere spacciata come "i pieni poteri al segretario": a termine di statuto, un segretario de eletto dal consiglio nazionale anziché direttamente dalla platea congressuale, deve convocare il congresso entro sei mesi. Martedì prossimo Martinazzoli potrebbe ricevere dal parlamentino de un mandato più lungo. Fabio Martini

Luoghi citati: Brescia, Roma