I tory rivogliono Maggie di Paolo Patruno

I tory rivogliono Maggie Allarmante sondaggio, il partito a un passo dalla scissione I tory rivogliono Maggie A Brighton il calvario di Major LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Gli antieuropeisti hanno dichiarato guerra aperta a Major, accendendo fin dall'apertura il Congresso del partito conservatore a Brighton, nella speranza di bloccare l'approvazione di Maastricht. E la neobaronessa Thatcher, la cui ombra incombeva ieri sulla platea dei delegati, alla vigilia del suo arrivo nella cittadina sulla Manica ha lanciato un severo attacco al suo successore, penalizzato da tutti i sondaggi popolari favorevoli al ritorno al governo della «dama di ferro», largamente preferita al «premier della svalutazione e della svendita dell'Inghilterra a un'Europa germanizzata». E' stata una brutta giornata per Major, un esordio sfortunato per il giovane premier, che sperava almeno in un caloroso ringraziamento per aver guidato a primavera il partito a un'insperata vittoria elettorale, la quarta consecutiva, contro i laboristi. Invece, il primo ministro ha dovuto assistere dalla tribuna al rumoroso fuoco d'artificio dei suoi oppositori guidato dagli ex ministri della Thatcher, Norman Tebbit e Kenneth Baker. Ha dovuto ingoiare l'insulto dei sondaggi sui tabloid popolari che gli preferiscono (48 a 28) l'inossidabile Thatcher, la quale ha trovato un elisir di eterna giovinezza politica nella crociata antieuropeista. Margaret Thatcher ha ammesso, da Madrid, che «era stato un errore entrare nello Sme, con quell'irrealistico rapporto di cambio con il marco» suggerito dall'allora Cancelliere John Major. E dalla tribuna di Brighton, il suo «fedelissimo» Tebbit ha riscosso un'ovazione quando ha provocatoriamente chiesto ai congressisti: «Volete diventare cittadini di un'Europa unita?» riscuotendo un sonoro coro di «no». Lord Tebbit ha infiammato il dibattito accusando il governo di «trovarsi in gravissime difficoltà», perché deve fronteggiare diffuse richieste di dimissioni del cancelliere Lamont che mirano a indebolire il prestigio dello stesso primo ministro: «La politica del governo deve risanare anzitutto la nostra economia, deve preservare i nostri diritti su queste isole, decidere sui nostri problemi, difendere i nostri interessi». Tebbit ha riscosso, con la sua eloquenza di stampo nazionalistico, una lunghissima ovazione. Gli hanno poi dato manforte il suo ex collega al governo Baker, insieme con i leader degli «euro-scettici» in Parlamento, Teddy Taylor e Bill Cash, che si sono scagliati prima contro «il super-Stato politico» ventilato dietro un'Europa unita, poi contro «il centralismo burocratico di Bruxelles», quindi contro «l'invadenza della Commissione Europea», reclamando infine «un referendum in difesa della libertà del nostro Paese». Terreo, affiancato dall'anzia¬ no Ted Heath - l'ex premier che vent'anni fa portò l'Inghilterra in Europa e ripescato tra i maggiorenti del partito dopo un lungo esilio nell'era thatcheriana Major ha liquidato sprezzantemente le critiche come «bolle di sapone» e ha annunciato che non cederà «nemmeno d'un pollice». Major parlerà soltanto domani, ma ieri è toccato al suo fido ministro degli Esteri, Hurd, spuntare le armi agli avversari nell'arena ribollente di Brighton. Molto abilmente, Hurd ha smontato le critiche, affermando che il governo, come la maggioranza del partito, «non vuole affatto un super-Stato, un'Europa centralizzata, ma non desidera nemmeno che l'Inghilterra sia tagliata fuori dalle decisioni che incideranno sulla sicurezza e la prosperità dell'Europa di domani». Il ministro degli Esteri ha concluso il suo intervento invitando perciò i congressisti a non spaccare il partito, a non mortificare il governo «con uno spettacolo di profonde divisioni sull'Europa». Il suo appello è stato accolto, almeno in parte. Perché con una larghissima maggioranza di 7 a 1, il Congresso ha approvato con termini molto generici la politica europea di Major. Ma in serata è stato approvato anche un emendamento degli euro-scettici che impegna il governo inglese ad accompagnare il Trattato di Maastricht con «un processo di riforme tendenti a por fine alle interferenze di Bruxelles». E' facile prevedere che la rumorosa crociata degli antieuropeisti sia destinata a continuare con una dura guerriglia anche in Parlamento. Paolo Patruno Su John Major l'ombra minacciosa di Margaret Thatcher