Primo passo, Bossi marcia su Roma di Fabio Martini

Primo passo, Bossi marcia su Roma Il leader della Lega al battesimo della capitale, ad applaudirlo in un teatro 250 persone Primo passo, Bossi marcia su Roma «I ladroni non sono i cittadini romani ma ipolitici» Il piano: «Prima conquisteremo il Centro e poi il Sud» ROMA. Fra qualche minuto, si sa, arriverà Bossi, ma in via Savonarola - una viuzza del Trionfale, quartiere popolare della Roma umbertina - c'è 1' indifferenza di sempre, quattro persone in finestra e una ventina di curiosi. La sora Maria, affacciata al primo piano, è scettica: «Ma che è venu- > a fa' questo?». Ed eccolo finalmente il capo della Lega: i passanti buttano un occhio e nulla di più, ma in compenso c'è una folla di fotografi, cineoperatori, fonici, radio e telegiornalisti accorsi tutti per immortalare l'evento: il primo passo della marcia su Roma di Umberto Bossi. E sono così tanti che il povero Bossi, pallido e spettinato, non riesce proprio ad entrare nel teatrino del comizio. Spinte e gomitate non bastano: Bossi non fa un passo avanti. Ai leghisti romaneschi non resta che un'arma. Cominciano ad applaudire (così, finalmente, arriva il primo applauso) e ad urlare come ossessi: «Bossi, Bossi, Bossi!». E sull'onda Bossi, finalmente, entra. Nella mini-sala - 210 poltroncine - ci sono 210 fans seduti e altri 30 in piedi. Appena vedono il capo scattano come un solo uomo e l'ingegner Pietro De Laurentis («Liberale da 25 anni...»), caccia l'urlo che può diventare un programma: «Bossi a Roma, era ora! Bossi, Bossi, Bossi!». In questa sequenza che dura quattro minuti, dalle 18,44 alle 18,48, c'è tutta la storia della prima tappa della marcia su Roma di Umberto Bossi. La città eterna, la città che in 2000 anni ha visto e digerito tutto e il contrario di tutto, per ora nicchia. C'è ancora indifferenza, sono venuti in 250 ad ascoltare il primo vero comizio di Bossi a Roma, ma è vera anche un'altra cosa: inseguito con golosità da da tutti i media, il senatùr sfonda, trascina, convince anche le platee più ostili. Ieri pomeriggio, l'uomo che per anni si è riempito la bocca di «Roma ladrona», è stato così convincente da farsi applaudire da una platea di romani, viterbesi, reatini e ciociari con gli stessi slogan che entusiasmano il popolo lumbard. Con uno in più, studiato per l'occasione: «La Roma ladrona contro la quale gridiamo da Milano è quella dei politici, non quella dei cittadini!». E, con la consueta trasparenza del suo parlar chiaro e duro, Bossi ha anche raccontato il programma della Lega nord dei prossimi mesi: «De Mita tenterà di fare una legge elettorale per fregarci e proprio per questo dobbiamo attaccare il Centro». Bossi ha in mente un piano e lo spiega senza perifrasi: «Inutile andare subito al Sud, chi lavora lì per molto dovrà ballare da solo e noi non abbiamo i miliardi dei partiti». E allora? E allora visto che la Lega si sta allargando a macchia d'olio, dal Nord al Centro Nord, ecco l'annuncio: «Dobbiamo essere realisti e concentreremo i prossimi sforzi sul centro Italia, dalle Marche agli Abruzzi». E nella patria della Lega? Bossi non usa mezze misure: «Moltiplicheremo per cinque le 516 sedi che abbiamo!». La gente lo guarda estasiata. Nelle poltroncine della saletta congressi «Don Guanella» c'è una platea molto composita. C'è una signora con una scollatura generosissima («So' macellare e Bossi me piace»), ma anche foulard, papillon, signori distinti. I giovani? Pochissimi, una trentina, ma agguerrii, armati come sono di mini-registratori per portarsi a casa la cassetta con il discorso. E tanta, tantissima rabbia. Tanta voglia di applaudire. Tanta vo¬ glia che la marcia su Roma riesca. E così, quando Bossi guarda la platea e dice: «Siamo duecento....», schiocca un urlo curioso: «Siamo bastanti!». In novanta minuti di comizio, Bossi ne ha per tutti. «Se il 5 aprile non avesse vinto la Lega, Di Pietro sarebbe andato a spaccare le pietre in Sardegna»; a Scalfaro ha rimproverato «di aver lasciato passare un decreto che sposta le elezioni e trasformato un commissario in podestà»; e ancora: «domani per votare dovremo mandare i carabinieri a piazza del Gesù?». I duecento guardano il capo e applaudono di continuo. In prima fila c'è il signor Antonio Amitrano, art director, basco blu in testa. Quando Bossi parla di «separazione», Amitrano urla: «Dividiamo l'Italia in due!». E quando Bossi dice che la Lega è europeista, Amitrano urla di nuovo: «Europa!». Fabio Martini