Tra Fidelio e gli U2

Tra Fidelio e gli U2 Tra Fidelio e gli U2 Vlad: io difendo quel figlio della Rivoluzione Ferrerò: l'abbiamo consumato come champagne ERENTORIO, Roman Il Vlad scatta: «Beethoven non deve discolparsi di I j un bel niente. La sacraliz- 1 * Izazione dell'arte sarebbe anzi un merito, sennonché era già iniziata con l'ultimo Bach. Accidenti, L'Arte della fuga, le grandi geometrie bachiane, la Messa in si minore, che cosa sono se non arte sacrale? Con Beethoven, figlio della Rivoluzione francese, entra l'ideologia della libertà, la consapevolezza di un impegno umano di fratellanza». La musica colta è sfuggita al confronto con la modernità? «Al contrario: si è sempre confrontata con la modernità, e mai come oggi». Assai più conciliante Gianandrea Gavazzeni: «Ho sempre prediletto il Beethoven materico, impastato di umanità; il Beethoven segreto, quello delle 33 Variazioni su un valzer di Diabelli, degli ultimi quartetti, di quel grande trattato sulla libertà che è Fidelio. Amo meno il Beethoven che pretende di riformare l'umanità, e soprattutto i suoi interpreti ascetici e metafisici. Il pubblico della musica "colta"? Ha perfettamente ragione Baric¬ co quando dice che un giovane che preferisce Chopin agli U2 non è di per sé motivo di consolazione per la società». La musica non agisce sul comportamento morale: «Si è buoni, cattivi, mascalzoni od onesti indipendentemente dalle proprie frequentazioni musicali e dalla cultura». Si indigna Goffredo Petrassi: «Chiedere a Beethoven di discolparsi? Si discolpi Baricco, piuttosto. La sacralità della musica, ovvero un senso altissimo della musica concepita come necessità di espressione umana, comincia semmai con Monteverdi. La musica è dunque la grande musica, che non ha bisogno di essere definita con l'odioso aggettivo di classica: l'altra musica è quella popolar-leggera, che risponde a esigenze di consumo». Gelido e lapidario Luciano Berio: «Il problema è mal posto. Non vale la pena di discuterlo». Lorenzo Ferrerò ammette che si tende a consumare la musica classica più per consolarsi che per interrogarsi: «Siamo noi, pubblico, che dobbiamo discolparci di avere consumato Beethoven come un prodotto affine alle pellicce e allo champagne (mentre facciamo equivalere la musica leggera alla pizza e alla birra). Il mondo intorno a Beethoven cambiava ed esprimeva nuove esigenze, lui ha risposto magnificamente e ha cambiato la musica. Il punto è che oggi non vengono abbastanza verificati i meriti di superiorità attribuiti alla musica classica: su questo sono d'accordo con Baricco». Il musicologo Harvey Sachs distingue: «Certo, ^Beethoven è un punto di rottura. Con lui la musica incomincia a complicarsi a livello tecnico. Ma anche lui cercava di avvicinare il pubblico alla sua musica, anche se poi dava del cretino a quelli che non la capivano. E' vero, fino alla fine deU'800 il pubblico ha avuto pochi problemi di comprensione, mentre oggi trova difficile capire la musica contemporanea. Ma credo che molti compositori stiano facendo un esame di coscienza per riavvicinarsi all'ascoltatore». Gli appassionati di musica classica sono autorizzati a sentirsi migliori? «Come gusto musicale certamente, non come esseri umani!». Gli fa eco Paolo Gallarati: «Forse il pubblico delle sale da concerto ragiona un po' di più: come chi legge letteratura rispetto a chi legge i fumetti. Con Beethoven la musica ha acquistato un ruolo molto elevato: molto positivo. Il rischio che ha corso chi è venuto dopo di lui? Intellet tualizzarla un po' troppo». «Credo di essere migliore di un ascoltatore generico di un con certo rock - sbotta Leonardo Pinzauti -. E non credo di essere ridicolo come certi intellettuali che si fanno vedere sbracati tra le folle urlanti. Beethoven? Ha aggiunto molto alla musica, non l'ha mica impoverita: la considerava un veicolo di idee». Il confronto tra classica e leggera non esiste: «Perché fare una questione estetica di un fatto sociale? Se avessi un figlio, sarei più contento che comprendesse Chopin (difficile da capire nonostante le apparenze), piuttosto che gli U2 (che capiscono in tanti)». Maria Chiara Bonazzi Roman Vlad. E' perentorio: «Beethoven non ha nulla di cui discolparsi». A sinistra, Luciano Berio: «Non vale la pena di discuterne»