I ragazzi del ponte SFIDA MORTALE

I ragazzi del ponte SFIDA MORTALE Un salto davanti al treno: per gli adolescenti di Carlsbad (California) è «la vita». Per molti è la fine I ragazzi del ponte SFIDA MORTALE DCARLSBAD (California) URANTE l'estate ho letto su un giornale californiano la storia della La. Iguna di Carlsbad, dove bambini e adolescenti si buttano da un ponte un istante prima che arrivi il treno. Sono andato a vedere. Si viaggia verso Sud, da Los Angeles verso San Diego, in parte lungo l'autostrada 101, in parte lungo la costiera 1, che compare in molte storie, film e canzoni. Quando la 1 passa vicino al mare, vedete schiere di esemplari umani del più alto livello fisico impegnati in quella specie di lavoro senza fine che è il surfing. Sono tutti maschi (le ragazze hanno definitivamente abbandonato il surf alla fine degli Anni Sessanta). Sono tutti biondi, come se ci fosse una selezione razziale per questo tipo di attività, e di età imprecisabile, fra i dodici e i vent'anni, anche perché l'estremo equilibrio richiesto dal surfing esclude i più alti e tutti sembrano bambini. Non ci sono grida o risate. Seri come soldati impegnati a salvare la civiltà, i ragazzi del surfing continuano a tornare a riva sbattuti dal mare, con l'asse legato alla caviglia come un destino, e subito tornano in mare, ciascuno da solo, senza guardare o parlare. Vivono in baracche sulla riva del mare, in ostelli poveri, in motel d'autostrada. I più giovani sono ancora accampati presso il padre o la madre nelle casette sulle colline. Ma la loro muscolatura annuncia che di mestiere non fanno e non faranno mai niente altro che non sia andare e venire sulle onde violente dell'oceano. Per l'economia locale sono una mano d'opera a basso costo che lavora la notte (pompe di benzina, supermercati) quel tanto che basta per tornare la mattina dopo alla spiaggia. Il surfing è il loro unico impiego fisso, quasi nessuno finisce la scuola e quasi nessuno va a rintracciarli se non si presentano in classe, visto che non sono gang e nella loro solitudine (che finisce di colpo a trent'anni, o con la prima seria frattura) non fanno del male. La mattina in cui guidavo verso Carlsbad è accaduta una cosa strana. A cento metri dalla riva sono comparsi gruppi di balene, forse divise per famiglie, si vedevano i piccoli circondati dalle balene più grandi. Ho sentito alla radio che il clima relativamente freddo, per questa parte della costa, ha richiamato in California interi branchi di balene, un numero così alto non si era mai visto. Le balene giocavano, i piccoli saltavano, gli adulti scattavano avanti e si tuffavano, meno agili dei delfini, ma, a guardarli, altrettanto decisi a far festa. Questo non era che il lontano e indecifrabile scenario della natura. In primo piano, centinaia di piccoli atleti muscolosi tornavano a cercare le onde violente del mare senza un istante di riposo fra un «ride» e l'altro. Si sentivano i suoni di festa delle balene. Ma non le voci dei surfers. Carlsbad è dalla parte del mare, sulla destra dell'autostrada. E' una città fatta di molti villaggi di case basse e pulite, tutte uguali, senza fiori e senza segni di identità, costruite su una striscia di terra che si allunga sull'acqua e estende la costa. La base dei Marines è dalla parte opposta dell'autostrada, sulle colline, in mezzo si inserisce una laguna profonda sulla quale scorrono due ponti. Uno è quello dell'autostrada che va a Tijuana e in Messico. L'altro, lontano duecento metri e vicinissimo al mare, è quello della ferrovia, la linea di Santa Fe che collega San Diego a San Francisco. E' una ferrovia a un solo binario, su cui, tranne un treno passeggeri della sera, scorre soltanto traffico merci. Ma i treni merci sono frequenti, perché nonostante la rete di autostrade, il furore degli autocarri e i moltissimi «cargo» aerei, questa parte dell'America non ha mai abbandonato il trasporto per ferrovia. Sono treni lenti, lunghissimi (anche cinquanta vagoni) e, a causa del peso, impossibili da fermare. Il ponte è di legno, molto lungo e relativamente basso, perché la Jaguna pesca, quan¬ do c'è alta marea, non più di pochi metri. Il gioco - a cui si può assistere solo dall'autostrada - consiste in questo. I ragazzi, nuotando nella laguna, si aggrappano ai pali e si arrampicano sul ponte, che è molto stretto e non prevede alcuno spazio per camminare. Una volta arrivati in alto si issano in equilibrio sullo stretto parapetto di legno e aspettano. Sanno con esattezza gli orari e sanno se il treno è diretto a Sud o a Nord, per scegliere il luogo del salto. La mattina passano i treni diretti a Sud. Perciò i ragazzi in attesa si schierano sulla sponda più vicina al mare, voltandosi verso l'autostrada. Chi osserva la scena lateralmente ha l'impressione che il treno avanzi molto lentamente. In realtà viaggia sulle cinquanta miglia l'ora. I ragazzi sentono l'arrivo del treno (che per loro sbuca al¬ l'improvviso da una curva e da una galleria) nel tremore del ponte di legno. Pare che le regole siano solo tre. La prima è che non devi saltare fino a quando non vedi in faccia il manovratore. La seconda è che non si salta mai all'indietro, ci si getta in avanti, di fronte al treno che arriva. La terza è che devi saltare da un parapetto all'altro. E dal secondo parapetto non hai che una scelta, buttarti in mare. Sono circa dieci metri d'altezza, ma è importante sapere sempre le condizioni della marea. Se è bassa, sbatti. E' un gioco senza margini, perché il ponte è costruito in modo da non poter restare su uno o sull'altro dei parapetti di legno quando passa il treno, non c'è spazio. Mi hanno spiegato che è stato fatto di proposito dalla compagnia ferroviaria, dopo che si era diffusa la sfida del gioco. Intendevano impedirlo. Invece, restringendo lo spazio sul ponte, la sfida si è fatta infinitamente più invitante, perché mortale. I ragazzi (di solito tre per volta) sono costretti a saltare. Vince chi salta per ultimo, e sarebbe bollato dal disonore («chicken!») chi si buttasse all'indietro. Saltando avanti, però, bisogna cadere sull'altra sbarra del ponte. All'interno non c'è salvezza. E non c'è abbastanza rincorsa per saltare direttamente, oltre la seconda sbarra, nel mare. Perciò il gioco è di altissima acrobazia. Si aspetta in equilibrio, si cade restando in equilibrio (guai a ricadere all'indietro sui binari) e ci si butta subito nella laguna. Vince chi affronta il rischio estremo e salta per ultimo. Chi sono questi ragazzi? La polizia ne fa retate continue, li restituisce a genitori distratti o disperati. Nonostante l'ostacolo di diciassette diverse reti e bar- riere di filo spinato, i ragazzi si buttano nella laguna, raggiungono il ponte e si preparano al salto, ogni giorno. Smettono, dice lo sceriffo di Carlsbad, quando finisce l'adolescenza. Cominciano quando fisicamente sono in grado di farlo. Evidentemente si forma una autoselezione spietata. Le ferite, soprattutto nel salto e nella caduta, sono frequenti, frequente l'andare e venire per farsi dare dei punti al pronto soccorso e tornare qualche giorno dopo sul ponte. Gli incidenti mortali sono circa uno al mese, tanti, se si pensa che il numero di piccoli gladiatori non è grandissimo. Pochi, se si pensa alla gravità del pericolo. Nessuno sembra avere trovato una soluzione per la gara di salto mortale dal ponte di Carlsbad. Gli sfidanti vanno a scuola, ma non ci restano, vivono fino a quindici o sedici anni - la stessa vita «part-time» dei surfers. Stanno a casa e vanno a scuola solo il tempo in cui non sono impegnati nella loro fatica, che, a quanto pare, è la sola cosa che considerano «la vita», la sola prova che immaginano necessaria. Molti sono figli di militari della base di Camp Pendleton o delle basi di marina e di aviazione che sono appena più a Sud, verso San Diego. Oppure appartengono a giovani padri vagabondi che abitano sulla spiaggia, lavorano quando capita, scompaiono e ritornano senza avvertire i figli, e hanno fatto, quando erano giovani, la stessa vita. «Io gli ho sempre detto di saltare in tempo e di non fare lo stupido», ha detto la madre del più giovane dei gladiatori arrestati, un bambino undicenne. La donna appariva tranquilla, del tutto abituata al tipo di rischio che i suoi figli corrono ogni giorno. Ne ha tre, ha detto, nel «gruppo del ponte». Quando è stata stanata da una televisione locale, dopo che uno dei ragazzi si era ferito, ha detto placida: «I maschi sono fatti così, amano il pericolo. Anche il loro padre era così, tale e quale, anche se i ragazzi ormai non se lo ricordano più...». Sul ponte dell'autostrada, dove le macchine passano a 65 miglia l'ora (il massimo consentito in America) e il traffico è intensissimo, ci sono cartelli triangolari con la scritta: ((Attenzione, attraversamento bambini». Furio Colombo Si lanciano in tre, da un parapetto all'altro, quando arriva il locomotore Vince quello che si tuffa per ultimo Confida una madre senza scomporsi: «Glielo dico sempre, buttati in tempo» Sopra un'immagine di gioventù americana. A fianco un ragazzo con il surf: per molti è l'unica attività fissa prima dei trent'anni È fi Jà Una ragazza americana di colore. Nella foto grande il momento del lancio dal ponte sulla Laguna di Carlsbad

Persone citate: Furio Colombo, Pendleton