«Ho visto Di Pietro»

«Ho visto Di Pietro» «Ho visto Di Pietro» La stretta di mano del futuro segretario ROMA. «Sì, ci vorrà energia, ci vorrà uno sforzo molto grande di volontà e di passione. Ne sono consapevole e anche un po' spaventato. Ma questo è il momento in cui le cose vanno fatte, vanno fatte bene e con decisione». Mino Martinazzoli mi prende sottobraccio dopo la fine dell'assalto delle televisioni. Ancora una volta sottobraccio fra Sant'Andrea della Valle e l'Argentina, come ai tempi in cui era presidente della commissione Inquirente durante l'affare Lockheed. Sui selciati sconnessi di una Roma sciroccale, siamo diretti al Senato, dopo essere usciti dall'Arel, l'ufficio studi nel quale Mino Martinazzoli, ormai segretario generale della democrazia cristiana in pectore. Gli chiedo: «Oggi lei ha visto il giudice Di Pietro. Lo ha visto per caso, durante un incontro culturale. Però è un fatto: il giudice delle mani pulite che stringe la mano all'uomo che incarna e presta il suo volto alla politica pulita. E' proprio un caso?». Martinazzoli cammina eretto, smagrito, elegante, con un portamento laicamente principesco, da uomo morale. Risponde: «Mi ha fatto piacere incontrare Di Pietro L'incontro era casuale, ma è stato gradevole». Chiedo: e anche significativo? Ha un valore simbolico? Risponde: «Certamente gradevole». Resterà a Roma? «L'indispensabile. Appena posso parto per Brescia: non ho ancora visto il Brescia in serie A». Un tempo lei mi raccontava della sua perplessità per il passaggio alla politica, si considerava un mitteleuropeo in libera uscita, con il Tractatus logicophilosophicus di Wittgenstein sotto braccio. «Sì, dice Martinazzoli, ricordo benissimo quei tempi. Erano anche quelli tempi duri, cupi, difficili. Allora era lo scandalo Lockheed, oggi una situazione grave come quella che dobbiamo affrontare». Era quello che le chiedevo: lei è un uomo retto, schivo, taciturno, di opinioni nette. Ma è anche mite e civile. Non le sembra che per guidare un partito come la de nel naufragio della Repubblica occorra anche una dose di aggressività, di piglio deciso? «Sì, occorre. Ma non soltanto nella de. Noi dobbiamo fare la nostra parte, ma anche gli altri partiti devono fare la loro. Questa non è una situazione che si possa raddrizzare con un colpo di bacchetta magica». Una collega di un'agenzia interviene: senatore, le agenzie dicono che anche Gava è d'accordo, l'investitura è fatta. Martinazzoli sorride con una faccia da gatto romano: «Ah sì? Lei mi dà una notizia». Chiediamo: non sarebbe il caso, come ho sentito dire da autorevoli suoi colleghi, di sbrigarsi e chiudere questa faccenda in due giorni? Perché aspettare dieci giorni ancora? Martinazzoli allarga le braccia, come dire: non dipende certo da me. Arriviamo al Senato, sono le 20,20, i suoi lo circondano e lo trascinano oltre la soglia.

Luoghi citati: Argentina, Brescia, Roma