La nostalgia dei chierici

La nostalgia dei chierici Gli uomini di cultura colpevoli di silenzio sull'Italia di oggi? Vattimo risponde ad Asor Rosa La nostalgia dei chierici Ruolo pericoloso, da non riprendere E se nella corruzione della politica, nella vergogna delle tangenti, ci fosse anche una colpa degli intellettuali? Non è proprio questo che vuol dire Alberto Asor Rosa nel suo articolo su «Il silenzio degli intellettuali» (l'Unità di ieri 30 settembre), ma una simile conclusione non è poi tanto lontana dalle sue premesse. Asor Rosa constata che, nel dibattito politico di questi ultimi mesi, e soprattutto di queste ultime settimane, proprio quando i sindacati dei lavoratori hanno ripreso potentemente la parola, gli intellettuali, una categoria che in altri tempi ha costituito una presenza rilevante e significativa nella vita politica italiana, tacciono quasi completamente. Le cause di questo silenzio sono «la grande deriva moderata» che caratterizza oggi l'intera società italiana, per cui molti studiosi, scrittori, pensatori si mostrano più sensibili e accomodanti verso l'ordine capitalistico; e il «vero e proprio spappolamento» del blocco culturale di sinistra che per un quarantennio ha caratterizzato la società italiana esercitandovi una diffusa egemonia. Con tutti i suoi difetti, dice Asor Rosa, la cultura di sinistra aveva almeno un merito: quello di far valere l'idea di una responsabilità politica degli intellettuali. Oggi tutto questo non c'è più, e ciò si riflette anche sulla formazione e la qualità del «personale politico» impegnato nei partiti che, sembra di capire, è più pragmaticamente legato alla prassi quotidiana e, anche quando non è corrotto, manca di grandi prospettive. Il silenzio degli intellettuali può dunque essere considerato, se non una causa determinante, certo un fattore dell'attuale decadenza della politica, e non un suo puro e semplice effetto collaterale. Quando si lamenta che la politica si allontana dall'etica ed è sempre più disponibile a ogni genere di compromessi per la ricerca dell'interesse privato di singoli o di gruppi, non si dovrebbe dimenticare che tutto ciò ha anche origine nell'assenza di significative motivazioni teoriche, ideologiche o filosofiche. Certo, non rimpiangiamo gli anni bui dell'egemonia culturale del marxismo, il dogmatismo degli intellettuali organici che fornivano coscienza di classe doc alla classe operaia seguendo i dettami del partito. Né le nefaste illusioni del socialismo scientifico. Non crediamo nemmeno, come Asor Rosa suggerisce nella conclusione del suo articolo, che oggi si tratti di ^costruire intorno alla classe operaia un'armatura flessibile e articolata», che rischia di essere solo una versione aggiornata, e un po' più fumosa, della famigerata coscienza di classe. Del resto, la stessa idea di un ruolo degli intellettuali nei confronti di chi intellettuale non è suona come un residuo pericoloso di altre epòche della nostra cultura, che appare difficile da accettare, anche se non si vede ancora chiaramente con che cosa possa essere sostituita. Che «gli intellettuali» tacciano, da questo punto di vista, non è dunque un gran male. E' vero però - e in questo senso Asor Rosa ha ragione - che, anche se non più nella forma dell'ideologia globale, rappresentata da una casta di mandarini autorizzati dal partito e mediante esso legati alla «classe», c'è bisogno, per la salvezza della politica e per la stessa buona salute della società civile, di una più visibile presenza pubblica di teorie, di una «filosofia della storia» che si assuma il rischio di individuare un filo conduttore di speranza e di emancipazione. I valori per i quali ci si può impegnare guardando oltre il puro tornaconto personale non sono mai «fatti», sono, per l'appunto, ideali, idee, teorie. Senza teorie di questo tipo non è mai esistita una sinistra, e forse non può esistere nemmeno una qualunque politica degna del nome, che non si riduca al puro rispecchiamento dell'economia, e cioè della legge del più forte. «Non rimpiangiamo gli anni bui dell'egemonia culturale marxista» ulturale del marxismo, l dogmatismo degli inellettuali organici che ornivano coscienza di lasse doc alla classe peraia seguendo i detami del partito. Né le nefaste illusioni del soialismo scientifico. Non rediamo nemmeno, come Asor Rosa suggerisce nella conclusione del uo articolo, che oggi si ratti di ^costruire intorno alla classe operaia un'armatura flessibile e articolata», che rischia di essere solo una verione aggiornata, e un po' più fumosa, della famigerata coscienza di lasse. Del resto, la stesa idea di un ruolo degli ntellettuali nei confroni di chi intellettuale non suona come un residuo pericoloso di altre epòhe della nostra cultura, he appare difficile da accettare, anche se non i vede ancora chiaramente con che cosa posa essere sostituita. da una casta di mandarini autorizzati dal partito e mediante esso legati alla «classe», c'è bisogno, per la salvezza della politica e per la stessa buona salute della società civile, di una più visibile presenza pubblica di teorie, di una «filosofia della storia» che si assuma il rischio di individuare un filo conduttore di speranza e di emancipazione. I valori per i quali ci si può impegnare guardando oltre il puro tornaconto personale non sono mai «fatti», sono, per l'appunto, ideali, idee, teorie. Senza teorie di questo tipo non è mai esistita una sinistra, e forse non può esistere nemmeno una qualunque politica degna del nome, che non si riduca al puro rispecchiamento dell'economia, e cioè della legge del più forte. 1 I il filosofo 10/ Gianni \. Vattimo richiama I'esigenza di ideali e teorie Alberto Asor Rosa accusa la cultura di silenzio in politica il filosofo Gianni Vattimo richiama I'esigenza di ideali e teorie Alberto Asor Rosa accusa la cultura di silenzio in politica

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