VITE FULMINATE

VITE FULMINATE VITE FULMINATE Erri De Luca racconta una generazione perduta •N uomo solo dorme su una poltrona a ¥1 dondolo, in una casa di campagna, ha rinunciato a mangiare, non è più in grado di alzarsi per accendere nel camino la legna Hi rimasta. Sta lasciandosi visibilmente morire. Ma un fulmine che sventra la porta lo richiama alla coscienza. Ricorda il se stesso bambino, quando una febbre maligna gli spense tutti i desideri, facendolo spettatore ritroso della vita. A partire dalla scuola, dove le zuffe dei compagni prefiguravano le competizioni più aspre della maturità. Fino alla sua precoce condizione di orfano, erede di quelle quattro mura e del lavoro nei campi. La casa è costruita con pietre vulcaniche e l'uomo si sente catturato dalla sua vita minerale, dalla quale sembrano sprigionarsi i segni e le sillabe di un remoto alfabeto, una promessa indistinta di armonia e di pace. Conoscendo Erri De Luca, frequentatore assiduo della Genesi e dei profeti biblici della parola creatrice e della parola disattesa - non restiamo troppo sorpresi dalla singolarità 'del suo personaggio, marchiato dalla febbre e avvertito dai fulmini. Un silenzio biblico Il suo silenzio, la sua rinuncia nascono certo dallo sconforto, dilatano lo straziato interrogativo di Mandelstam messo ad epigrafe del libro («Mia età, mia belva, chi potrà - guardarti dentro gli occhi - e saldare col suo sangue - le vertebre di due secoli?») ma sembrano ubbidire anche a una chiamata. D'altra parte, proprio il distacco, il risparmio delle emozioni ai limiti dell'assenza lo rendono prezioso confidente per gli amici del tempo di scuola che, anche più avanti negli anni, vengono a fargli visita nella casa di lava. E sono queste figure che si ridestano in lui nel sopore riscosso dal fulmine. A loro si rivolge con un tu che, per quanto affettuoso e discreto, non concede tregua alla verità: un tu interrogativo che forse soltanto adesso, a giochi fatti, viene pronunciato, mentre allora si ritraeva nella pura dimensione dell'ascolto. Un secolo maledetto Il primo a farsi vivo è il compagno di scuola diventato terrorista. Ha faticato in lavori umili, ha conosciuto il volto della miseria fisica e morale, ha saldato questa sua esperienza con le letture dalle quali scopre che «il Novecento era diventato un secolo antico, pieno di maledizioni». Passa di qui il ricorso alla violenza, alla prima pietra scagliata, un gesto che contiene il seme dell'assassinio. «Costretto» ad ammazzare un amico tossicodipendente che potrebbe tradirlo, ha lasciato la lotta armata e adesso continua a ripetere che nessuna ragione riesce a dare conto di una vita stroncata, a placare l'occhio segreto di un uomo ucciso che non cessa di guardarti e metterti a nudo: nella miseria, nell'abissale inadeguatezza davanti a un semplice alveare che «cava una goccia di miele da un giorno di fiori» e ubbidisce a una «volontà inesorabile di eseguire», a una regola commovente che solo l'uomo sembra capace di infrangere. Sono pagine molto belle queste di De Luca, tra le poche davvero significative, sul piano creativo, che abbiano trattato di quegli anni perversi. Il secondo amico è portatore di una testimonianza diversa, non inquinata dalle tentazioni del nichilismo. E' un missionario che è stato in Africa, sperimentando frustrazioni e fallimenti, ma ha superato il rischio dell'abiura. Si conforta al pensiero che Dio stesso, crean¬ do l'universo, ha accettato il limite e da allora lotta inutilmente per liberarsene, seguendo una misura di ira e compassione che ci sarà chiara soltanto alla fine dei tempi. Più vicino all'uomo della casa di pietra è il terzo ospite: un essere va-' gabondo che non si priva di nessuna gioia della vita senza lasciarsene catturare. Ma non ha nulla da spartire con l'incostanza, lo rivela quando finisce in carcere per una falsa accusa. La sua leggerezza è la fedeltà di uno spirito libero che anche tra le mura della prigione riesce ad essere se stesso, e non rinuncia ad arricchirsi con la compagnia dei detenuti, con la varietà e imprevedibilità dei comportamenti umani. Quasi un viaggio a passo di danza nei sottosuoli della coscienza. A ben vedere, queste tre «vite» sono accomunate dall'esperienza del dolore patito e inferto, sono le antenne che il protagonista di De Luca, chiocciola immurata, ha proiettato nel mondo in un timido gesto di amore. «Io sono un soffio sopra le macerie», conclude il misantropo. Ma è un soffio vivificante-di libertà, di compassione, di religione creaturale - che percorre gli interstizi di questo insolito romanzo: una cantata in presenza della morte, dove le parole affannate dei nostri giorni non rinunciano a confrontarsi con gli sbiaditi ma possenti geroglifici aldilà del tempo. Lorenzo Mondo Erri De Luca Aceto, arcobaleno Feltrinelli pp. II7.L 19.000 In «Aceto, arcobaleno» un terrorista, un missionario, uno spirito libero Lo scrittore Erri De Luca. A sinistra: «Maddalenapentita» di Georges De La Tour (pari.)

Persone citate: De Luca, De Luca Aceto, Georges De, Lorenzo Mondo, Mandelstam, Vite

Luoghi citati: Africa