ECO l'Europa nasce a Babele di Umberto Eco

ECO l'Europa nasce a Babele Lo scrittore da Parigi: la ricerca di una lingua comune è assurda, il futuro dell'unione è poliglotta ECO l'Europa nasce a Babele SPARICI ABATO prossimo Umberto Eco inaugurerà una serie di lezioni al Collège de 1 France. Fra i temi, anche la nascente Europa: quali speranze? quali rischi? e quale lingua? Lo scrittore risponde in questa intervista. «La ricerca di una lingua perfetta nella storia della cultura europea»: è il tema che lei ha scelto per la sua lezione inaugurale al Collègede France. Non è una gargantuesca utopia ricalcata su una ricerca del Graal? «Lei ha detto: "utopia", "gargantuesca" e "ricerca del Graal": è una ricerca del Graal; è un'utopia; è gargantuesca perché in tre anni di lavoro su questo argomento mi sono reso conto di quanto sia enorme il numero di persone che, come Descartes, Mersenne, Bacone, si sono occupate di questo problema. Gargantuesco e rabelesiano come idea di progetto bizzarro, delirante. Per abbracciare davvero tutto, dieci saggi dovrebbero lavorare vent'anni per fare quaranta volumi... Man mano che procedo, anch'io, che sono collezionista di libri antichi, scopro testi del tutto sconosciuti o che sono stati menzionati, poniamo, una volta da Leibniz, un'altra da un altro tale: una quantità». E che cosa significa questo per l'Europa che non ha smesso di lacerarsi sognando di unirsi? «Vuol dire che la storia dell'Europa, attraversata da spaccature, guerre, divisioni, tentativi di ristabilire lo Stato, è costantemente accompagnata da questa ricerca punteggiata da possibili sommovimenti politici. Per esempio: Postel. Postel sogna la riscoperta dell'ebreo originale perfetto per permettere la concordia universale religiosa e politica sotto il re di Francia. E ben si vede qui l'elemento nazionalista, l'elemento concordatario della pace universale - fino a Nicolas de Cues - per mettere d'accordo gli ebrei, i musulmani e i cristiani. «I membri di Rosacroce cercano una lingua magica - il che va ad intrecciarsi con la lingua degli uccelli, la lingua naturale di Jacob Bòhme; ma, sotto, c'è la pace universale, che è la pace fra cattolici e protestanti. Sotto la Convenzione, c'è la lingua perfetta repubblicana di Delormel per la concordia laica dell'Illuminismo: questo tema attraversa sempre la storia europea. E' un'utopia perché non c'è lingua perfetta, e tutta la ricerca è affascinante». Una ricerca del Graal, dunque, votata alla sconfitta? «Sì. E' un Graal perché è una ricerca impossibile. Certo, ed è l'altro tema che mi interessa, questa ricerca, in ognuno dei suoi episodi, fallisce ma produce ciò che gli inglesi chiamano "effetti collaterali"; la lingua di Lullo fallisce come lingua della concordia religiosa, ma fa nascere tutte le combinazioni, fino al computer. La lingua di Wilkins fallisce come lingua universale, ma produce tutte le nuove classificazioni delle scienze naturali. La lingua di Leibniz fallisce, ma produce la logica formale contemporanea...». Rimane quindi sempre una piccola eredità... «In ogni attività quotidiana oggi, che facciamo dell'algebra o che giochiamo con il calcolatore, approfittiamo effettivamente di certe eredità della ricerca di una lingua perfetta. E per un linguista, uno studioso di semantica è ancora più affascinante, indagando le ragioni per le quali le lingue perfette non hanno funzionato, scoprire perché le lingue naturali sono come sono». Una lingua per tutti sarebbe una unificazione. Per lei una è un ideale? «No. Anche se si può pensare che un giorno il Parlamento europeo opti per il francese, o l'inglese, o l'esperanto, sarebbe sempre una lingua ausiliaria - utile per alcune cose, ma non per il resto della vita... Ogni ricerca di lingua perfetta partiva sempre dalla de¬ scrizione dei difetti della lingua naturale». Se lei persegue questo progetto, se si pone questo problema, non ò in fin dei conti perché in italia si nasce con due lingue: quella ufficiale, standardizzata, la toscana, e la lingua della propria regione? «Sì, la lingua di Dante nasce come risposta alla ricerca di una lingua perfetta. All'inizio Dante discute soltanto sulla lingua di Adamo, su quali sono le sue caratteristiche; poi prende questa decisione davvero meravigliosa: la lingua perfetta sarà la sua, quella che inventa per il suo uso poetico e che, in seguito, diventa lingua nazionale. La nascita della lingua italiana, dunque, appare davvero come effetto di una grande ricerca sulla lingua perfetta...». Ed è diventata artificialmente nazionale... «Se vogliamo, l'italiano soffre di essere nato dal progetto di una lingua perfetta. L'inglese, al contrario, nasceva imperfetto e, in seguito, la gente ragionava per conto suo, faceva evolvere la lingua. Da qui, in Italia, tutte le lamentele sugli uomini politici che parlano una lingua incomprensibile... L'italiano è stato ed è rimasto una lingua da laboratorio. Cercando una lingua perfetta, Dante inventa il suo italiano; poiché l'Italia non è unificata in quanto nazione, l'italiano non di¬ venta mai la lingua parlata da tutti, ma rimane soltanto la lingua degli scrittori. Ed è così che ancor oggi parliamo la lingua degli scrittori senza che essa si sia evoluta. Non c'è stato quel passaggio fra la lingua di Chaucer, la lingua di Shakespeare, la lingua di Jean de Meung, la lingua di Rabelais, la lingua di Scarron e la lingua di Hugo. Tant'è che Manzoni parlava ancora l'italiano di Dante». E secondo lei è un bene o un male? «E' un male! L'italiano ha avuto la sua unificazione standard con la televisione. Non dimentichiamo che, non più di un centinaio d'anni fa, Vittorio Emanuele, che unificava l'Italia, dopo la battaglia di San Martino disse ai suoi ufficiali: "Aujourd'hui, nous avons donne aux Autrichens une belle raclée" (oggi abbiamo dato agli austriaci una bella batosta, ndt). E lo disse in francese. Perché parlava francese con la moglie e con i suoi ufficiali; in dialetto con i suoi soldati. E in italiano, forse, con Garibaldi...». In Francia, hi Inghilterra, in America, si assiste a un impoverimento del linguaggio. «L'impoverimento del linguaggio ha diverse facce. Io sono fra quanti pensano che una lingua, essendo un organismo vivente, riesce sempre ad arricchirsi e a sopravvivere, a resistere a ogni "imbarbarimento", a produrre poesie, ecc. E' evidente che a New York, dove si trovano portoricani, indiani, pakistani, ecc., tutte queste persone impongono al resto della comunità un linguaggio semplice, di due o tremila parole, dalle costruzioni facili. E' senz'altro un fenomeno che avviene negli Stati Uniti, non direi che avvenga già in Europa. Non sono di quelli che si scandalizzano quando le nuove generazioni parlano il loro gergo standard, perché la lingua è così forte da aver sempre la meglio. «Resta quella che i sociolinguisti hanno chiamato la divisione sociale dei linguaggi. Evidentemente, un professore d'università ha una lingua più ricca di un taxista; Richelieu aveva ima lingua più ricca di quella dei suoi contadini. La divisione sociale del linguaggio è sempre esistita. E poi questo non implica il concetto di impoverimento-arricchimento: l'inglese è senza dubbio la lingua più ricca lessicalmente e, per la divisione sociale dei linguaggi, il taxista di New York non conosce che una piccolissima parte di questo lessico. Ma la ricchezza della lingua inglese non è in discussione: sopravvive attraverso la letteratura. Penso quindi che nessuna rivoluzione tecnologica possa tradire una lingua. E' una paura troppo forte tra i francesi». L'Italia - molteplici lingue e ricerca d'unità - non è una sorta di microcosmo dell'Europa attuale? «Direi di no perché l'Italia ha la sua lingua, e questo è tutto. Al contrario, l'Europa, nella mia storia, cerca ima lingua unificata. Senza raggiungerla. Ancora vent'anni fa si era inclini a pensare che quattro o cinque lingue fondamentali potevano bastare ai popoli europei. E quel che noi vediamo, dopo il crollo dell'impero sovietico, è una moltiplicazione di lingue regionali: nell'ex Jugoslavia, nell'ex Unione Sovietica... Ma ciò darà forza anche alle altre lingue minoritarie, il basco, il catalano, il bretone...». Ma è un bene, non un male! «Certo. L'Europa deve dunque trovare una unità politica al di sopra di questo grande frazionamento linguistico, ben più grande che nel 1950. Rispetto a questo, il problema della lingua universale diventa secondario. Ciò può servire a decidere quale lingua-veicolo utilizzare: l'inglese, lo spagnolo o l'esperanto. Sarà un problema tecnico da risolvere. Ma il problema dell'Europa è di andare verso il polilinguismo; si devono porre le nostre speranze in una Europa poliglotta. Il problema dell'Europa è trovare una unità politica attraverso il poliglottismo... Anche se si decide che al Parlamento europeo si parli l'esperanto e che negli aeroporti si parli l'esperanto. Ma la vera unità dell'Europa è questo poliglottismo... «In Italia il problema non è lo stesso perché l'Italia, con la sua diversità di dialetti, di tradizioni, ha edificato in un italiano standard la sua lingua nazionale. L'Italia non è la Jugoslavia, i Paesi baltici. Nessuno pensa - neppure le leghe separatiste - che si debba parlare il milanese a Milano. Le differenze linguistiche sono, tutto sommato, ridotte... L'Italia ha divisioni economiche, ha divisioni etniche coperte in apparenza dal fatto che questo italiano standard, lingua nazionale, nessuno vuole abbandonarlo. L'Europa no. L'Europa deve prendere a modello non l'Italia, ma la Svizzera. Cioè una comunità polilinguistica». Jean-Noél Schifano Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa» Dante inventò Vitaliano perfetto e la tv creò gli standard. Beato inglese, nato imperfetto Dante: per fare poesia inventò la lingua che tutti usiamo. Nella foto in basso: Umberto Eco Alessandro Manzoni: «Parlava ancora l'italiano di Dante» Dante inventò Vitaliano perfetto e la tv creò gli standard. Beato inglese, nato imperfetto Dante: per fare poesia inventò la lingua che tutti usiamo. Nella foto in basso: Umberto Eco