L'antiproibizionismo cambia partito

 L'antiproibizionismo cambia partito »EuosMNlfi.o Il direttore del Sabato: Ci stiamo accorgendo che la legge è inadeguata e pericolosa» L'antiproibizionismo cambia partito Seduce il mondo cattolico, spaventa la sinistra LM Antiproibizionismo ™ cambia pelle: seduce il I mondo cattolico e non fa dormire tranquillo il popolo della sinistra. A leggere i segnali che arrivano dall'Italia che lotta contro la droga sembra proprio che sia così. Da tre settimane il «Sabato», settimanale cattolico, ospita inchieste, interviste e dibattiti con un filo comune: la legge Jervolino-Vassalli sulle tossicodipendenze è insufficiente e dannosa, l'equazione drogatocarcerato è da correggere, se non da eliminare. E ancora: Benedetto Nicotra, presidente de della Commissione Giustizia, dichiara di «schierarsi con gli antiproibizionisti». E Don Antonio Mazzi, trent'anni di esperienza nella lotta contro le tossicodipendenze, fondatore della comunità milanese Exodus impugna il piccone e ammette che molte cose, nella legge Jervolino, non vanno. Il dubbio percorre anche la sinistra. Ma è un dubbio che va controcorrente, che finisce per rovesciare le parti. Basta sfogliare «il manifesto» delle scorse settimane: il quotidiano comunista ospita lettere piene di perplessità, di timori sull'opportunità di legalizzare lo spinello. E' la voce di alcuni lettori, (oltre a quella, autorevole di Laura Conti, marxista di stretta osservanza) che dice sì alla «repressione» e no alla liberalizzazione. «In effetti il dibattito sta cambiando pelle - osserva il sociologo Luigi Manconi, antiproibizionista convinto, autore del libro "Legalizzare la droga. Una ragionevole proposta di sperimentazione" - e il dubbio sta rodendo il mondo cattolico. Da un anno giro per l'Italia a parlare di questo mio libro e su questi temi il muro si sta sgretolando, anche dal mondo conservatore». Alessandro Banfi, direttore de «Il Sabato», predica prudenza, invita a non schematizzare: «Si sta costruendo un piccolo sentiero dice - che non porta certo tutto il mondo cattolico sulle posizioni antiproibizioniste. Ma alcuni segnali vanno letti proprio in una direzione ben precisa: la legge Jervolino-Vassalli non accontenta più il volontariato, chi è in prima linea per aiutare i giovani. Ci si sta drammaticamente accorgendo che per effetto di questa legge quindicimila ragazzi sono in carcere». E allora? Banfi non vuole fare previsioni. «Il primo successo è quello di aver dato la possibilità a due mondi di incontrarsi, di aver trovato un contatto per cambiare modo di agire sul problema delle tossicodipendenze. Certo ci sono, da parte cattolica, alcune ragioni storico-morali che puntellano la legge Jervolino: la morale cattolica trova in quella legge una sua giustificazione, cioè che drogarsi è illecito. Ma quando si conta il numero di chi è finito in carcere...». Pierluigi Sullo, vicedirettore del «manifesto», invita anche lui, ma dall'altra sponda, a non schematizzare. «Queste lettere - dice sono lo specchio dei nostri nuovi lettori, di quelli che abbiamo ac- quistato dopo la svolta di Occhetto. "Vecchi" comunisti che hanno cominciato a seguirci, marxisti autentici da sempre convinti che la droga sia una fuga dalla libertà e dunque un po' spaventati dai nostri discorsi, spaventati da questa parola legalizzare, sedotti dall'idea che occorra "disssuadere", non favorire». Poi aggiunge: «Ma non credo che la sinistra stia facendo retromarcia, anzi: il mondo che rappresentiamo è da sempre antiproìbizionista». «Senza dimenticare - aggiunge Marco Taradash, leader dell'antiproibizionismo - che questa battaglia contro la punibilità del drogato ha una matrice più radicale, liberale e libertaria. Quindi è ovvio che sia da destra sia da sinistra esistano dubbi, perplessità. Un dato di fatto è certo: il panorama sta cambiando, con noi comincia¬ no a marciare quelli che fino a poco tempo fa erano i rivali». Don Mazzi, uno dei pionieri della battaglia alla droga, spera in una terza via, pensa che la legge della punizione sia indegna e che la controlegge della liberalizzazione sia altrettanto pericolosa. «Il punto di partenza - dice - è certo una legge che non va, che non può più soddisfarci, che è crollata per colpa dell'inefficienza dello Stato. Il punto di arrivo sono quei ragazzi che "marcisco no" in carcere. Ecco, il carcere avrebbe dovuto avere il ruolo che nell'ospedale ha il centro di riani mazione: pochissimi giorni di degenza obbligata per salvare il paziente dalla morte. Poi subito in corsia, per migliorare, guarire Invece il carcere è rimasto tale, una punizione e basta. Quindi non serve, è pericoloso. Ma non vorrei restituire ai giovani una società marcia, senza sogni ed ideali: legalizzare completamente la droga significa non essere più in grado di offrire una spe ranza, un qualcosa di positivo». Luigi Stigliano Alcuni lettori del «manifesto» temono invece la liberalizzazione degli stupefacenti Sopra Alessandro Banfi, direttore del Sabato Sopra Don Mazzi

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