In trappola uno dei killer di Borsellino

In trappola uno dei killer di Borsellino Gli inquirenti mantengono il segreto sul nome per non compromettere le indagini In trappola uno dei killer di Borsellino Avrebbe 23 anni, è in carcere a Caltanissetta I giudici: «Le indagini sono a una svolta» CALTANISSETTA NOSTRO SERVIZIO Un giovane palermitano di 23 anni, fortemente sospettato di essere uno degli assassini del giudice Paolo Borsellino e di cinque dei sei poliziotti della scorta massacrati in via D'Amelio, è in prigione. Gli investigatori della squadra mobile di Palermo sono sicuri di aver individuato senza errore uno degli spietati componenti il commando mafioso che organizzò l'attentato e fece saltare decine di chili di esplosivo in una Fiat 126 portata nella strada poche ore prima dell'attentato. Per il momento si sa pochissimo e l'identità del giovane forse sarà rivelata soltanto stamattina, anche se il nome è circolato ugualmente ieri sera. Siamo in una fase delicatissima, sono ore molto importanti, di grande tensione, a giudicare anche dal movimento che ieri, per tutto il giorno, c'è stato nel palazzo di giustizia di Caltanissetta, dove in procura viene diretta l'inchiesta. Gli inquirenti hanno preferito scegliere il riserbo probabilmente per guadagnare ancora un po' di tempo prima di far sapere ai mafiosi quel che, dopo lunghe indagini, la polizia è riuscita ad apprendere. E poi si dice che questo prezioso filone dell'inchiesta non sia completamente esaurito perché gli inquirenti sperano, a quanto pare, di bloccare un altro giovane. Non ha voluto dir niente il procuratore Giovanni Tinebra, che è anche responsabile della locale Dda, la direzione distrettuale antimafia, ed è contemporaneamente titolare dell'inchiesta sull'uccisione di Giovanni Falcone, Un'immagine di via D'Amelio sconquassata dall'esplosione che costò la vita al giudice Borsellino e agli uomini della sua scorta della moglie e di tre agenti della scorta nella strage di Capaci il 23 maggio. Ai giornalisti che l'hanno pressato, Tinebra ha chiesto qualche ora di tempo. Infine, nel tardo pomeriggio un portavoce della procura della Repubblica ha rimandato tutti a stamattina alle 9. E mentre il giudice per le indagini preliminari Sebastiano Bongiorno riconosceva che «l'indagine è in una fase molto intensa» e aggiungeva che «forse è prossima ad una svolta», il questore di Caltanissetta Vittorio Vasquez che sulla mafia sa parecchio perché anni fa diresse la sezione omicidi della squadra mobile palermitana ha invitato i cronisti «ad andare leggeri: attenzione a non far circolare il nome perché sarebbe una violazione del segreto istruttorio». Stanno intrecciandosi un'infinità di notizie sulla cui fondatezza, totale o parziale, for¬ se è meglio avere riserve. Insomma tutto fa immaginare che la prudenza non sia eccessiva almeno per quanto riguarda il ruolo effettivo svolto dall'arrestato. Secondo alcuni, infatti, potrebbe trattarsi tutto sommato di una pedina secondaria, ad esempio di uno dei «picciotti» che avrebbero agito da supporto ai mafiosi incaricati di «far saltare tutto» in via D'Amelio il 19 luglio appena il giudice Borsellino fosse giunto con l'auto blindata per andare a trovare la madre. Già dal mese scorso la squadra mobile era sulle piste di alcuni pregiudicati, non considerati finora veri e propri mafiosi, ma dei quali i boss si sarebbero serviti per l'esecuzione della strage. Gli investigatori del vicequestore Arnaldo La Barbera erano risaliti a Luciano e Roberti Valenti, zio e nipote di 28 e 20 anni, e al loro amico Salvatore Candura di 31, so¬ spettati di aver fornito la 126 poi imbottita di esplosivo e fatta saltare in aria con un radiocomando secondo la più che collaudata tecnica che nove anni fa a Palermo fu eseguita anche per eliminare il giudice Rocco Chinnici (il capo di Falcone e Borsellino) e la sua scorta. L'utilitaria apparterrebbe ad una parente dei Valenti. A zio e nipote ed a Candura la polizia era risalita durante un'indagine su uno stupro. Cinzia, una vetrinista di 26 anni, li aveva denunciati, sostenendo che l'avevano violentata e rapinata di 100 mila lire dopo essersi fatti invitare nel suo alloggio e dopo averla drogata. Può darsi che uno dei Valenti o Candura, messo alle strette con interrogatori interminabili in carcere, abbia finito per chiamare in causa il giovane che ora è balzato al centro dell'inchiesta. Ma si parla anche della confidenza di un La nuova pista potrebbe portare all'arresto di un altro giovane mafioso «pentito» e non si può nemmeno escludere .che al giovane la polizia sia arrivata nel prosieguo degli accertamenti successivi all'arresto dei tre che per adesso, comunque, sono accusati «soltanto» di violenza carnale e rapina. Sta di fatto che ieri pomeriggio il vicequestore La Barbera è piombato nel palazzo di giustizia di Caltanissetta, presidiato dai carabinieri e dai soldati, e con passi veloci ha guadagnato lo studio del procuratore Tinebra per un lungo scambio di informazioni, che è stato messo naturalmente in relazione con l'identificazione del giovane che sarebbe rinchiuso nel carcere «Malaspina» qui a Caltanissetta. Al termine neanche La Barbera, a dire il vero assai poco loquace su quasi tutti i «casi» a lui affidati, ha voluto aprir bocca. Antonio Ravidà

Luoghi citati: Caltanissetta, Capaci, Falcone, Palermo