«Mamma, felice di lasciarti» di Foto Ap

«Mamma, felice di lasciarti» In Usa il giudice dà ragione al bambino: meglio se divorzia da quella donna. e nascono già altri episodi «Mamma, felice di lasciarti» Gregory vince, resta con i genitori adottivi WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Da ieri mattina, da quando si è svegliato nella casa dei suoi nuovi genitori, Gregory Kingsley si chiama Shawn Russ. Ha vinto, è felice e vuole una vita tutta nuova. Anche per questo, oltre al cognome, ha deciso di cambiare anche il nome. L'aveva detto, venerdì, mentre testimoniava e si vedeva appena la linea delle sue spalle spuntare dal bancone, che lui il nome Gregory l'ha «sempre odiato» e che avrebbe voluto chiamarsi Shawn. E forse aveva già capito allora di avere la vittoria in tasca, quando, dopo un'ora di testimonianza, il giudice Thomas Kirk, con aria paterna, lo ha rimandato al posto sussurrando piano: «Puoi andare, Shawn». Infatti, venerdì sera, al termine di due intense giornate di udienze, il giudice Kirk si è pronunciato con serena fermezza: «Gregory, da questo momento, tu sei il figlio dei signori Russ». Rachel, la madre da cui Gregory ha voluto «divorziare», non era in aula. «Non sta bene», l'ha giustificata uno dei suoi avvocati, il corpulento nero Harry Morali II. Anche Rachel, probabilmente, aveva intuito quale sarebbe stata la conclusione del processo. Aveva singhiozzato per due giorni seduta al suo posto in aula, mentre ascoltava quel bambino, dopotutto il «suo» bambino, dire che non la considerava più «la mamma» e mentre i testimoni sfilavano per confermare che lei, Rachel, è un'alcolizzata, una drogata, una prostituta e un lesbica, che non si è mai presa cura dei bambini. Così Rachel ha voluto risparmiarsi la mazzata finale. «Io credo sulla base di prove chiare e convincenti, quasi oltre ogni ragionevole dubbio in questo caso - ha dichiarato il giudice Kirk, pronunciando la sentenza - che questo bambino è stato abbandonato e trascurato da Rachel Kingsley e che è sicuramente nel suo miglior interesse che i diritti di maternità di questa donna nei suoi confronti siano immediatamente rescissi». Gregory si è girato immediatamente verso Lizabeth Russ, la sua nuova mamma, e un enorme sorriso si è dipinto sul suo volto paffuto. Una gioia finalmente infantile ha spazzato via dai suoi occhi l'espressione determinata che avevano durante il processo. Poi Gregory si è buttato tra le braccia della bionda Lizabeth, che lo accarezzava e ripeteva: «Sono felice, sono felice». Attorno, gli otto nuovi fratelli di Gregory, ragazzi e ragazze tra i 21 e i 4 anni, facevano salti di gioia. «Hei, fratello», si è rivolto Gregory a uno di loro, John. Infine è rispuntato dal mucchio con in testa un cappello da baseball blu elettrico con su scritto «Shawn Russ» e addosso una felpa dello stesso colore, che aveva stampato sulla schiena il numero «9». Era il regalo fatto al nono figlio dei Russ dall'avvocatessa Jerri Blair, che Gregory stesso - primo bambino nella storia giudiziaria americana - aveva personalmente ingaggiato. «Papà» George guardava orgoglioso e commosso. Adesso, in tutti e 50 gli Stati, avvocati e giudici si interrogano sulle conseguenze di questo caso, che ha visto un bambino di 12 anni avviare in prima persona una causa di separazione dalla propria madre e Ha vinto. A poca distanza dall'aula giudiziaria dell'Orange Country, Stato dello Florida, altra gente di legge, nello studio di legale di Jane Carey, l'avvocatessa di colore che aveva assunto la difesa di Rachel, si svolgeva un'altra scena. Morali, il secondo della Carey, recriminava che «Rachel avrebbe dovuto essere giudicata per come vive oggi, non per come ha vissuto in passato» e ha annunciato un disperato ricorso in appello. Rachel, piangendo, mugolava: «Voglio solo che Gregory sappia che lo amo tanto, che sarà il benvenuto a casa ogni volta che lo vorrà. Sarà sempre mio figlio. Tutto quello che volevo era una possibilità di stare con lui». Ormai è troppo tardi. Gregory le avrebbe perdonato tutto, la vita squallida, i pochi vestiti, il cibo mediocre, quegli uomini in casa, la solitudine delle tante serate in cui «mamma usciva a ballare». Ma non le ha mai perdonato di aver rotto per due volte la promessa di non mandarlo più in giro per orfanotrofi, di avercelo lasciato anche per un anno e mezzo senza farsi viva, senza una telefonata o una cartolina né per Natale né per il compleanno. «Pensavo solo che si fosse dimenticata di me, che non le interessassi», ha detto alla sbarra, confessando che, negli ultimi due anni, anche lui si era dimenticato che faccia avesse sua madre. Rachel, naturalmente, ha avuto i suoi problemi. Sua madre morì quando aveva 9 anni. A 17 anni lasciò la scuola per sposare un alcolizzato, Ralph Kingsley, che la mise incinta a ripetizione per tre volte e poi la abbandonò, portandole via Gregory per 5 orrendi anni vissuti tra i barboni. «Datele un po' di tregua - ha detto al processo il padre di Rachel, Jimmy Mawwell Sutton. - Anche lei ha subito abbastanza abusi, sapete?». Rachel, cameriera e prostituta occasionale dalla personalità volatile, è semplicemente una che non ce la fa, una che, con tre bambini, ha tentato il suicidio perché si era messa con una ragazza che l'aveva poi lasciata. Che anche adesso non sembra in grado di allevare gli altri due figli che le sono rimasti. Jeremiah, 11 anni, ha dei problemi neurologici. Quando è salito alla sbarra e il giudice gli ha detto di alza- re la mano destra per il giuramento, lui ha alzato la sinistra. Rachel dice che, adesso, si è messa a posto. Ma il suo nuovo compagno, Steven Hack, già condannato per rapina e droga, l'altra settimana l'ha tirata giù dalle scale, rompendole la testa e un braccio. Zachariah, il piccolo, ha chiamato la polizia. Lei, in tribunale con un braccio ingessato, ha detto al giudice Kirk che era caduta per le scale perché aveva inciampato su un gatto. Non sapeva neppure che, ai poliziotti, Ste- ve aveva confessato: «Sì, ho menato quella puttana». «Questa donna ha mentito anche in questa aula», ha concluso il giudice Kirk. Strana storia. Da una parte, una derelitta ai margini della società, difesa da avvocati neri, a battersi per i repubblicani «valori della famiglia» e per proteggere la sua unità contro «il materialismo» di bambini che possono scegliersi da soli i genitori e salire la scala sociale. Dall'altra una regolare famiglia benestante, bianca e mormone, a sostenere il diritto dei bambini di agire da soli per tutelare la propria «felicità», la bandiera «liberal» di Hillary Clinton. Intanto, mentre l'America discute sulle conseguenze della sentenza di Orlando e Hollywood prepara un film, un altro bambino di 12 anni, nel Mississippi, ha fatto causa ai genitori per «divorziare» da loro e essere adottato dalla famiglia a cui è stato affidato. Paolo Passarini Ha cambiato anche il nome La sconfitta piange «Io l'aspetterò» A fianco Gregory, ora diventato Shawn, abbraccia la madre adottiva. Al centro il ragazzo stringe la mano al giudice che gli ha dato ragione nella causa di divorzio contro la madre Rachel (a sinistra) scoppiata in lacrime dopo il verdetto [FOTO AP]

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