Nuove minacce di morte a Di Pietro di S. Mar.

Nuove minacce di morte a Di Pietro Telefonata anonima ai carabinieri preannuncia un'autobomba per il magistrato Nuove minacce di morte a Di Pietro Et partiti premono sugli inquisiti per tangenti: tacete MILANO. Minacce di morte al giudice Di Pietro. Si tratta di indiscrezioni emerse ieri dagli uomini che fanno da scorta al magistrato. Nei giorni scorsi, una caserma dei carabinieri avrebbe ricevuto una telefonata anonima che preannunciava un attentato contro il giudice dell'inchiesta mani pulite. Si parla di un'autobomba: lo stesso sistema usato dalla mafia per uccidere Paolo Borsellino. E ci sono altri riscontri: qualche sera fa, la macchina di servizio che stava portando Di Pietro da Milano a Curno, il paese dove il giudice risiede, è stata pedinata da un'auto. I poliziotti di scorta hanno tentato di bloccare i sospetti, ma questi sono riusciti a fuggire dopo un lungo eseguimento. In questi giorni, inoltre, Di Pietro non ha a disposizione la solita vettura blindata, ferma da un meccanico dopo un piccolo incidente. Di metodi mafiosi ha parlato anche il segretario del msi Giancarlo Fini. «Ci sono inquisiti e arrestati che non collaborano con la giustizia perchè i partiti hanno promesso aiuto e protezione in cambio del loro silenzio», ha detto il leader missino durante un comizio a Monza. Il procuratore capo del tribunale di Monza, Antonino Cusumano, non ha smentito: «Abbiamo delle difficoltà ambientali ha detto -. Le accuse di Fini? Esistono motivi più che fondati, circostanze di cui non si è riusciti finora a trovare la prova, altrimenti sarebbero perseguibili come reato». Intanto l'inchiesta prosegue sul fronte romano. Ieri ha confessato Luigi Pallottini, socialista, fino all'altra sera presidente dell'Atac di Roma, l'ente che governa tutti gli autobus della capitale d'Italia. E' accusato di aver intascato circa un miliardo di tangenti. Concussione il reato contestatogli, ma i suoi legali dicono che invece «si potrebbe ravvisare solo il reato di violazione della legge sul finanziamento ai partiti». Perché, spiegano, «gli accordi erano stati presi prima della sua nomina alla presidenza dell'Atac». Gli «accordi» erano per l'appunto le tangenti che la Socimi, società fornitrice di autobus, doveva pagare in percentuale fissa: 3 per cento fino all'89 e 4,5 per cento dal '90 in poi (anche per le bustarelle esiste l'inflazione). E a che titolo intascava le tangenti? «Il mio era un ruolo istituzionale», avrebbe risposto Pallottini. Cioè a dire che doveva intascare e poi consegnare al partito. Con la confessione di Pallottini comincia a sgretolarsi anche il «fronte romano» dell'inchiesta. Quel fronte che sembrava compatto nel negare ogni addebito (lo ha fatto ancora ieri il de France De Simoni, presidente dell'Acotral) e nel richiedere lo spostamento dell'inchiesta alla procura romana. Comprensibile quindi il sorriso del pm Di Pietro quando esce dal carcere e dice: «Siamo soddisfatti degli interrogatori». Che riprenderanno lunedì con Alberto Poggiani, ex segretario anuiiinistrativo dell'Acotral, che ha chiesto un rinvio. [s. mar.]

Luoghi citati: Curno, Italia, Milano, Monza, Roma