Niente spot per i sindaci di Guido Tiberga

Niente spot per i sindaci Mercoledì si vota il disegno di legge sull'elezione diretta Niente spot per i sindaci «Meno spese uguale meno tangenti» ROMA. «Bene. Adesso, per far conoscere i candidati, non ci restano che le raccomandazioni». Marco Mignani, il creativo divenuto famoso con lo slogan della «Milano da bere», reagisce così al disegno di legge sull'elezione del sindaco presentato ieri dalla commissione Affari costituzionali. Se il testo dovesse passare così com'è, la rivoluzione copernicana del voto amministrativo sarà doppia: i cittadini potranno scegliere il sindaco personalmente, ma ai candidati sarà bloccato l'accesso alla pubblicità. Niente spot, niente inserzioni sui giornali, niente manifesti, se non sui tabelloni predisposti dai Comuni, con gli spazi uguali per tutti. «E' una delle due novità che dovrebbero garantire la trasparenza del voto - spiega il de Adriano Ciaffi, presidente della Commissione -. L'altro è l'obbligo della raccolta di firme anche per le forze già presenti in Parlamento: in questo modo saranno tutti sullo stesso livello, i grandi partiti e le associazioni spontanee tra cittadini; i candidati "ricchi", in grado di spendere molto nella campagna promozionale, e quelli più poveri, che possono contare solo sulle proprie forze». Il bavaglio pubblicitario era una delle proposte sostenute dal pds. «La corruzione si combatte anche così - conferma Franco Bassanini -. Solo una parte delle tangenti incassate dagli amministratori locali sotto accusa finiva nelle casse dei partiti, il resto serviva per coprire le spese di campagne elettorali. Rincorse a spot e pagine sui giornali in cui si presentavano facce, non idee. Il nuovo testo prevede norme precise suU'informazione elettorale: giornali e tv dovranno garantire, sulla base di regole fissate dal garante dell'editoria, la presentazione di tutti i candidati». Mignani ascolta le motivazioni dei politici, ma resta perplesso. «E' un salto nel Medio Evo dice -. Si priva la gente di un diritto fondamentale, quello di conoscere il prodotto che si deve comprare. I giornali li seguono in pochi, le tribune elettorali quasi nessuno: restano i comizi, ma la piazza tradizionale non è paragonabile alla piazza elettronica». n conflitto è aperto. In Parlamento - per motivi diversi - hanno già annunciato battaglia il movimento sociale, la Lega e Rifondazione, ma anche liberali e repubblicani. E i tre garanti del «Patto Segni», Pietro Scoppola, Paolo Barile e Franco Morganti, preparano un'intervento di censura che potrebbe creare una frattura interna a de e pds. Anche il mondo pubblicitario escluso da un business che negli ultimi anni era notevolmente cresciuto - è diviso. Annamaria Testa nuota controcorrente: «Con gli spot elettorali abbiamo davvero esagerato - dice -. Questo può essere l'inizio di un momento di crescita: se i partiti usassero la pubblicità in modo più continuativo, dicendo ad esempio quali sono le loro posizioni nei Consigli comunali, la gente capirebbe le differenze tra un gruppo e l'altro. E al momento del voto potrebbe conoscere i candidati senza doversi affidare agli slogan». «Ma così si finirebbe per fare pubblicità tutto l'anno, e poi smettere a ridosso delle elezioni, quando gli spot servono di più ribatte Silvano Guidone, direttore generale creativo della "Armando Testa" -. Per garantire la libertà di scelta della gente, la si mette in condizione di non conoscere le persone sulle quali è chiamata ad esprimersi. Mi stupisce soprattutto il divieto alla stampa locale: non è costosa, è accessibile a tutti i candidati, ma consente di spiegare progetti e programmi. E' un provvedimento demagogico, che favorisce in modo sfacciato i candidati già conosciuti al grande pubblico. Diremo basta ai sindaci sconosciuti, che spesso sono più bravi degli altri». La prima grande città che potrebbe essere chiamata alle urne con le nuove regole è Torino, dove la poltrona del primo cittadino, la repubblicana Giovanna Cattaneo scricchiola da qualche settimana. Signor sindaco, si può conquistare un municipio senza spot? «D'istinto risponderei no dice la Cattaneo -, che non saprei come fare per presentarmi agli elettori. Ma in fondo il provvedimento è giusto. E' l'unico sistema per fermare una bagarre destinata a premiare il candidato più ricco. Certo, serve uno spazio informativo garantito sui giornali e sulle tv locali». Queste ultime rischiano di vedersi sottrarre, insieme agli spot per le elezioni amministrative, una delle poche entrate straordinarie garantite. «Sarebbe una perdita economica di non poco conto», ammette Giulio Cesare Rattazzi, segretario di Terzo Polo, l'associazione che riunisce la maggior parte delle piccole emittenti. «Le tv locali italiane - spiega Rattazzi - hanno nel complesso lo stesso numero di dipendenti delle tre reti di Berlusconi. Ma possono contare soltanto sul 4,7 per cento della torta pubblicitaria. Le elezioni, per molti di noi, sono una boccata d'ossigeno. Nel futuro, se la legge sarà applicata correttamente, le cose dovrebbero cambiare. Tra l'altro, se dobbiamo garantire lo stesso spazio a ciascuno dei candidati, diventiamo a tutti gli effetti un servizio pubblico. Come la Bai. E allora perché non darci una fetta del canone?» Guido Tiberga

Luoghi citati: Milano, Roma, Terzo, Torino