Prezzolini, maledetto bastian contrario di Giuseppe Prezzolini

Prezzolini, maledetto bastian contrario Lugano, mostra sul fondatore della «Voce» Prezzolini, maledetto bastian contrario CRISEPPE Prezzolini testimone della sua epoca» (1882-1982). E' la prima grande mostra bio-bibliografica dedicata al fondatore della Voce, che —I sfiorò il secolo di vita. Si inaugura oggi a Lugano, nella Biblioteca cantonale che accoglie il grosso dell'archivio Prezzo- lini, insieme ai documenti provenienti dal Gabinetto Vieusseux di Firenze e dalla «Italian Academy of Advanced Studios» in America della Columbia University di New York. Anticipiamo una parte della prolusione che pronuncerà nel pomeriggio di oggi Giovanni Spadolini. I L 15 ottobre 1971, Prezzolini mi scriveva da Lugano: «Io pubblicai un solo articolo nel Corriere della Sera prima che tu ne fossi il direttore. Sotto Albertini, il 7 settembre 1921. Potresti farmelo fotocopiare a mie spese?». Rispondendogli pochi giorni dopo, e inviandogli la fotocopia del giornale (l'articolo era dell'11 settembre e riguardava «la gioventù italiana dopo la guerra», moti di contestazione, il nuovo tipo di studente, abbandono degli ideali socialisti: allora usavano sottotitoli esplicativi nelle aperture di terza pagina, non ancora gli elzeviri calligrafici degli Anni Trenta), assicuravo Prezzolini che «per quanto l'autonomia amministrativa del direttore del Corriere sia modesta, è ancora tale da acconsentire il dono delle fotocopie ai vecchi amici come te». Lettera emblematica, quella del Prezzolini del '71, di un certo retroterra dei diffidii rapporti col Corriere albertiniano, sessanta o cinquant'anni prima. L'esperienza della Voce passata senza che il grande giornale milanese la registrasse con l'attenzione che pur meritava la ricchezza dei filoni culturali o intellettuali individuati o scoperti dalla rivista fiorentina. Un certo distacco fra i motivi di aggiornamento o di rinnovamento culturali dell'Italia del primo Novecento e quella terza pagina dell'organo lombardo, chiusa in una sua certa visione della cultura, più letteraria che politica, più di evasione che di dibattito ideologico (...). Prezzolini giudicato ancora nel 1909, l'anno in cui pubblicava da Ricciardi la bella e penetrante biografia di Croce, da uno dei corri spondenti di Albertini, cioè da Andrea Torre, «un libellista in decente». Una riserva e quasi una pregiudiziale opposta a tutti coloro che, da Prezzolini a Salve mini, collaboravano, attraverso la Voce o l'Unità o le similiari esperienze di avanguardia cultu rale, ad una certa opera di spro vincializzazione della cultura, di apertura ai fermenti e alle inquietudini di oltre frontiera. Prezzolini non dimenticava nulla. La sua memoria aveva del prodigioso. Ma era una memoria che correva sul filo dei suoi epi stolari, che quasi si identificava con l'archivio vivente della sua complessa storia intellettuale. A metà del '69 gli avevo mandato un mio volume che comprende va un ampio ritratto di Albertini (quando ero arrivato al Corriere, un anno e mezzo prima, era quasi obbligatorio tacere il nome del grande direttore, per un osse quio ipocrita alla proprietà del tempo, e ricordo che ruppi quel la coltre di paura, che durava dal periodo post-Borsa, incaricando Montanelli di dedicare quasi una pagina all'edizione in quattro vo lumi dell'epistolario albertiniano, voluta da Arnoldo Mondadori). E Prezzolini, puntuto e po lemico, mi rispondeva, sempre da Lugano: «Scoprire nell'Alber tini un fondo protestante è una bella trovata: però col mio male detto istinto di bastian contrario ti ricordo che il Corriere non prò testò quando il fascismo devastò la redazione Ae\XAvanti'. E lo scrissi all'Albertini, più tardi, di cendogli, non mi ricordo più con quali parole, che non bisognava poi lamentarsi delle offese al Corriere» In effetti il quarto volume dell'epistolario albertiniano conteneva quella lettera, non a Luigi, ma ad Alberto, il fratello che esercitava la funzione di direttore già da due anni, esattamente il 3 novembre 1922. «Io sento insieme con voi tutto il dolore per il modo come si sono svolte queste giornate, sento offesa che si è recata e si reca alla libertà, la quale non sarà così presto sanata». E' un giudizio sul Corriere (con preghiera esplicita di leggerlo al maggior fratello) che riassumeva quella posizione di odio-amore, quel complesso e tormentato e sinuoso rapporto che caratterizzò un'intera generazione: «E il Corriere è stato per molti di noi troppe volte un amico con il quale si discuteva, o un amico di maggiore età alla cui prudenza ci si ribellava, e sempre una persona con la quale faceva pia- cere potere andare d'accordo». Del dramma dell'Italia contemporanea l'archivio Prezzolini, ufficialmente inaugurato da questa mostra di Lugano, costituisce un documento comunque fondamentale, forse il più largo e riassuntivo per la vastità di punti di riferimento, connessi a quasi un secolo di travaglio intellettuale. Albertini, Gobetti, Croce, Amendola, Gramsci, Sorel, Gentile, Slataper, Saba, Montale, Papini, forse nessuno degli intellettuali italiani del Novecento ha avuto un arco di relazioni così variegato, una pari capacità di stimolazione. Materia per gli studiosi e per i memorialisti. Frammento di una parte della nostra storia, nelle sue contraddizioni, nelle sue la- cerazioni, nelle sue tensioni, non risolte: secondo una linea di concretezza «fiorentina», commisurata ad un impegno di instancabile artigianato quasi rinascimentale. Ma una Firenze, come sempre, aperta all'Europa. Basti pensare al rapporto, tormentato, con Gobetti. Ecco perché, nel gennaio 1978, incaricato di una missione speciale a Lugano per conto del governo italiano, nella mia qualità di presidente della commissione Pubblica Istruzione di Palazzo Madama e di amico di Prezzolini (e suo vecchio direttore, per tredici anni, al Resto del Carlino), finii per sposare la tesi di lasciare quel materiale alla Svizzera, consentendo la vendita che Prezzolini prediligeva. «Il governo italiano ha preso atto delle ragioni che determinano la permanenza dell'archivio Prezzolini alla Svizzera italiana». Era il comunicato finale. Il valore di un centro di cultura italiana, comprensivo dei vari e disvalenti moti delle avanguardie dei primi del secolo, con le loro aperture e rotture iconoclaste ma anche con i loro limiti di intemperanza o di fretta, non poteva sfuggire a nessuno: non foss'altro per la difesa della italianità culturale del Canton Ticino, una causa cui l'Italia non può restare indifferente, pure nell'assoluto e rigoroso rispetto della sovranità della vicina Repubblica. Ponte fra due Paesi? Il nazionalismo culturale, che non aveva mancato di inserirsi anche, con accenti stonati, nella complessa vicenda dell'archivio Prezzolini, è stato debellato. Firenze e Lugano si sono mosse in una specie di «parallelismo» che rinnova storicamente il vincolo creato un secolo e mezzo fa sulle rive dell'Arno da uno svizzero operoso e geniale, questa volta non del Canton Ticino ma di Ginevra, Giampietro Vieusseux, il creatore dell'Antologia (la rivista che ha dato vita alla lunga trama della Nuova Antologia). L'esempio di collegamento fra Firenze e Lugano è un esempio di apertura e di circolazione europea: ha suggellato nuove forme di collaborazione culturale, oltre le arcigne chiusure dello spirito quiritario e possessivo di una volta. Tanto più che Firenze poteva vantare, nei riguardi di Lugano a bilanciare il compromesso del '78 - un precedente pressoché ignoto ai più, la scelta che lo scrittore, ancora residente in America, compì agli inizi degli Anni Sessanta, e precisamente nel febbraio '62, della Biblioteca nazionale centrale di Firenze co me ente destinato ad accogliere quattordici grandi buste di suo materiale inedito e prezioso. Materiale che, nella volontà di Prezzolini, non dovrebbe essere pubblicato prima del 1° gennaio 2000. Nonostante il rapporto, sempre complesso e accidentato, che Prezzolini ha avuto con l'Italia e anche con la sua Toscana e anche con la sua Firenze, quella prima scelta, che quasi tutti i fiorentini ignorano ancora, conferma che il cosmopolitismo di questo «Baretti» del nostro secolo (un titolo che forse Gobetti scelse anche per una lontana influenza prezzoliniana) non dimentica mai una sua radice fiorentina e toscana. Sempre contestata e sempre ritornante. Giovanni Spadolini Giuseppe Prezzolini. Sotto, Fellini