Resa dei conti nella «Gens Julia » di Filippo Ceccarelli

Resa dei conti nella «Gens Julia » Resa dei conti nella «Gens Julia » E così Sbardella risponde ad Andreotti TANGENTOPOLI NELLA CAPITALE GROMA LI arrestati miei e gli arrestati tuoi. Gli inquisiti andreottiani di ieri a pareggiare il conto con gli inquisiti ex andreottiani dell'altro ieri. Le mazzette Socimi contro l'evasione fiscale Safim. E manette preannunciate che così, senza malizia, come se fosse la cosa più normale del mondo, sembrano la risposta ad altri mandati di cattura, che peraltro tutti già si aspettavano. E no che non sarebbe stato né un pranzo di gala né una merendina sull'erba, l'arrivo di Tangentopoli nella capitale. Però qui non son passati neanche due giorni e sta venendo giù di tutto. Sensazione di sgomento resa ancora più nitida se si pensa che l'epicentro di questa specie di ferocissimo ballo di San Vito si segnala proprio lì, nel cuore del potere che un tempo si diceva «andreottiano». Ecco: la Gens Julia, già più lacerata che divisa, ha definitivamente imboccato la via della re- sa dei conti. Si capisce dalle minacce: «Risponderò - promette Sbardella - colpo su colpo». E a poche ore dall'arresto di suoi amici e dall'avviso di garanzia che ha raggiunto il suo amicissimo Moschetti (caso Socimi) richiama l'attenzione sul caso Safim. Che di lì a poco esplode dopo mesi di incubazione. E inguaia, guarda guarda, i suoi nemici. Si intuisce, la resa dei conti, dai ricordi mirati: tipo l'arresto del sindaco di Roma, Amerigo Petrucci, che l'altro giorno lo Squalo ha messo sul conto di Andreotti. Si sente odore di partita finale da quel torvo, reciproco procedere per allusioni che polverizza le immagini festaiole di un annetto fa. I pini marittimi e i tigli odorosi di Villa Attolico, quando Sbardella offriva targhe d'argento ad Andreotti. Gli ombrelloni sotto la cui ombra, forchetta in mano, si raccoglieva quella potente famiglia. «Basta, basta, lasciatelo mangiare!»: così lo Squalo a mo¬ do suo proteggeva il presidente del Consiglio appena nominato senatore a vita. C'erano tutti quelli che oggi si stanno sbranando. Gli andreottiani rétro dei salotti e del baciamano (Signorello); quelli familiari della terza generazione (Danese, Ravaglioli); quelli nostalgici e fiuggini (Ciarrapico); quelli dell'Efim e del gin rummy «col presidente» (Mauro Leone); quelli poliedrici, politici, giudiziari e mondani, come il non ancora ministro Vitalone (e consorte). Allora convivevano, tutti questi andreottismi e altri ancora, con l'andreottismo recente e acquisito di Sbardella e dei suoi. Parenti poveri, con ascendenze sospette (cioè dorotee): sudore e polvere, comunque, tessere e sezioni. Per gli affari le distinzioni non sono mai state così nette. Sotto lo sguardo trepido di un vecchio zio come Franco Evangelisti, che non stava tanto bene però in fondo, un po' come Salvo Lima, poteva incarnare una possibile sintesi. Eh, addio. Stavano già tutti pronti alla guerra da un bel pezzo. Però è solo adesso che si vede. A occhio, ogni fazione, ogni spezzone, ogni brandello di ex famiglia deve avere le sue cosucce di cui vergognarsi e i suoi terminali in segmenti veri del potere. Ma la lunga e coatta convivenza incrementa le munizioni e stimola il riflesso fratricida. Così Roma, piccola Bei¬ rut dell'andreottismo, saluta il giudice Antonio Di Pietro. Che qui ci sono l'Atac, i «vecchietti d'oro», le concessioni di farmacie, le mazzette sulle pulizie, certi lavoretti sulle affissioni, e poi lo Sdo, il Census, la Roma, i lavori per i Mondiali, l'Italsanità, l'Efim e quant'altro: ormai tutto fa brodo. Avvelenato. Filippo Ceccarelli Tutti pronti alla guerra e finalmente si lotta Dai salotti buoni a Regina Coeli A sinistra Vittorio Sbardella A destra Giulio Andreotti

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