«Noi di Mirafiori? Il governo ci strangola»

«Noi di Mirafiori? Il governo ci strangola» REPORTAGE «Noi di Mirafiori? Il governo ci strangola» Al CANCELLI U • TORINO. MÒRE: dalla depressione composta e sofferente, alla sfuriata. Giudizio sul sindacato: universalmente pessimo. Giudizio sulla violenza dei bulloni a Trentin: dall'elogio dell'aggressione al civile distacco. Luogo: Mirafiori cancello grandi presse. Ora: il cambio di turno delle 14. Timore per quello che potrà accadere oggi. Timore di perdere. Fra il cancello e i pullman in attesa c'è la strada, i binari del tram. Attorno, Torino. Quel che segue è il risultato di una ventina di interviste agli operai. La maggior parte di questi operai è prossima alla pensione. Una minoranza è fatta di ragazzi in jeans. A tutti faccio queste domande: come cambia la sua vita dopo la stangata? Si è fatto i conti? Ne parla con sua moglie? A che cosa deve rinunciare? «Sì, mi chiamo Beccaria, Beccaria Giovanni. Certo che ne parlo a casa. Che cosa vuole: qui si rischia di perdere la pensione prima, e poi di restare senza lavoro. Come vuole che stia... Sto come l'Itaba». «Mi chiamo Dabbene Ferdinando, ho moglie e un figlio, cosa vuole che faccia... No, i conti precisi ancora no, ma sono sacrifìci gravi e, sì, siamo arrabbiati, molto arrabbiati, non si trattano così le persone perbene che lavorano tutta la vita, mi scusi. No, la violenza non mi piace, odio la violenza ma questa porcheria che ci fanno mi piace ancor meno... Mi scusi che mi parte l'autobus». «Sì, parlare ne parliamo, ma io ho avuto tre infarti e i farmaci che devo prendere per vivere li pago di tasca mia dopo trent'anni di marchette. Mi chiamo Favaron Secondo, lavoro alle presse, io non so se è giusto che noi paghiamo in queste condizioni di vita le tasse di quelli che non le pagano. Lei che dice? Che è giusto?». «Ha ragione Favaron, io lo conosco. Qui c'è anche gente che ha l'ulcera, e paga fior di medicinah. E i commercianti con un reddito di 150 milioni che ne dichiarano 5, loro hanno l'assistenza. Mi chiamo Greco Filippo, reparto presse, e mi dica se non è uno schifo. Ho un figlio che lavora e guadagna un milione e due, perché è molto ricco. Ha 24 anni. Poi ne ho un altro che è disoccupato. Dica che con le nostre pensioni hanno giocato. Prima, faceva comodo che andassero in pensione. Poi, per pagare quelli non hanno più i soldi per dare la pensione a noi, ci tengono finché non siamo vecchi. Mi dica se sono criteri. Ma sì, ma sì... La violenza no, ma questa ingiustizia fa male al cuore e poi non bisogna mera- vigliarsi di quel che accade...». Alla fermata dell'autobus. Operai che salgono, qualcuno si ferma per parlare e perde la corsa. Primo operaio: «Io dico che è sbagliato tirare i bulloni in faccia alla gente. Hanno fatto male, e guardi che quella è gente mandata. Come, mandata da chi? Mandata da chi ha interesse, no? Niente nome, niente. Vado che è tardi». «I bulloni? Ma le revolverate dovevano tirargli. Io gli avrei sparato volentieri con le mie mani a quello che prima firma l'accordo, poi dice mi dimetto e neanche si dimette. I bulloni è poco. No, niente nome». «Mi chiamo La Bella Vincenzo, reparto presse. Mia moglie che cosa vuole che dica, che è contenta? Allora sa che cosa penso? Che questa è una tassa sulla famiglia. Più la famiglia è grande, più la tassa è feroce. Correttivi? Non ne so niente. So che se uno vive da solo e guadagna 39 milioni, lo lasciano in pace. Se uno ha tre figli, una moglie che lavora e supera i 40 milioni, prende la legnata sulla fronte. Allora questa è una ingiustizia nell'ingiustizia». «Ecco, prenda me per esempio. Mi chiamo Piscitella Giuseppe, reparto modellatori. Io sono l'unico a lavorare in casa e ho un figlio di 23 anni disoccupato, più uno che studia. Io pago l'affìtto, pago le tasse sulla patente, su tut¬ to, e il governo seguita a correre dietro a tutte le lire che mi restano ancora in tasca e vuole anche quelle. Ma cosa vuole che sappia quali sacrifici dovrò fare: tutti, sono tutti i sacrifici della famiglia, dei figli...». «Cosa stai lì a dare interviste, idiota. Non gli dare interviste. Dai sah sull'auto che va via, corri...». «Ecco. Quello è uno dei conigli. Ha visto come scappano? Hanno paura. Paura di tutto. Quelli col cavolo che fanno sciopero, vedrà. No, io sono contro la linea dei bulloni e della violenza. Ma a contestare il sindacato hanno fatto bene, benissimo, perché la pagliacciata della firma e della nonfirma è stata una gran pagliacciata e lui, quello là, le dimissioni poteva ben darle prima di firmare. Ma cosa vuole che ti dò il mio nome che poi tu me lo scrivi. Ma no, io non sono coniglio, è che un minimo di prudenza, che ho anche il bus che mi parte, scusa». «Chi sei tu? La Stampa? Il governo mi ha pulito le tasche, altro che! Ma tu lo scrivi? E allora guarda, dì che hanno fatto un bel capolavoro con questi 40 milioni, perché con 40 milioni beccano tutti, 'sti delinquenti. E allora sai che dico? Che gli operai, toccati nel loro interesse, reagiscono. Qua non finisce mica così, che ti credi». «Mi chiamo Gibellina Gualtie¬ ro, no io sono del direttivo del gruppo anziani e ti dico questo: qui sono stati tutti d'accordo al cento per cento, che una bella lezione quelli del sindacato se la meritano. Certo, la violenza è da respingere, ma ci sono in giro anche dei provocatori, come sempre succede in questi casi. Bisogna fare i conti con la realtà dei fatti, non è che la storia non insegna come vanno queste cose, no?». «Il governo mi ha messo la mano in tasca e si porta via anche i pantaloni, vuole che non sono incazzato? Ma incazzato è poco. Mi chiamo Verrino Giovanni e può scrivere che noi qui siamo che proprio più incazzati di così non si può». «Scriva, scriva così. Io? Lascalina Vincenzo. Sì, presse. Dica così: di dire al signor Amato, quel signor Amato là che lei sa di chi parlo, dica all'Amato di prendere i soldi, e di trovarli, che non è mica difficile se segue il mio consiglio, di cercarli dove i suoi amici li rubano e di farseli dare da loro, non da noi». «Chi è lei, la televisione? Ah, no. Ma è lo stesso: non parlo. Una cosa posso dirla, però senza nome. Guardi qui questa bocca? Vede? Due ponti sui molari. Da rifare. Prima il dentista lo potevo levare dal 740. Adesso non posso più. Risultato, vuol sapere qual è? Che io non ho più motivo di chiedere la fattura, e il mio dentista evade il fisco sui miei soldi. E io devo pagare anche le sue tasse, perché lui deve andare in barca e ha bisogno che io mi rifaccio il ponte». «Sto al reparto presse, una moglie che lavora e tre figli a carico. Mi chiamo Fanza Antonio. Guardi, io sono realista. I sacrifici li capisco. Se c'è un debito da pagare, che si paghi. Ma andiamo! Non è questo il modo di rivolgersi ai tartassati, alla gente che fa una vita da cani e che alla fine deve anche essere presa in giro in 'sta maniera qui: io non contesto la tassa sulla casa, posso capire quel che vuole, sono realista, ma questa storia dei 40 milioni è una mostruosità. Io e mia moglie? Ma guardi, da noi è una famiglia che sembra una roba da piangere, non è giusto...». «Scusi... Ehi, giornalista, guardi me. A me lui non me lo può fare così. Io ho versato tutte le marchette, il giorno 19 ero in regola per la pensione, però la signora Cardoi che si occupa delle pratiche mi ha detto: senti Artica, io mi chiamo Artica Febee, dice senti Artica, guarda che tu tutto a posto, va bene, ma devi tornare fra qualche giorno che adesso ho da fare. Io sto ad aspettare e lui mi fa così. Come, chi è lui? Il governo, no. Il governo fa la legge così e così. Io corro dalla signora e non la trovo. Ma le marchette io le ho tutte e questo non è che stai per andare in pensione, perché lei è d'accordo, la legge, e tu dici: vado in pensione. Ti svegli, e lui dice: no, niente, tu chi se ne frega della tua pensione, adesso torni a lavorare. Le pare giusto?». «Ma cosa state lì a parlare. Non capite che vi prendono in giro. Non ci parlare con i giornalisti, scusa Diego, che ci parli a fare? Vieni con me che è tardi». La folla del cambio turno comincia a rarefarsi e nel giro di qualche minuto sono tutti scomparsi. Ancora qualche parola al volo: «Io perderò tre milioni e ottocentomila per le spese dei denti di mia figlia. Cosa vuole che le faccia rifare i denti: un operaio di quinto livello guadagna uno e sei e con la stangata mi leveranno anche un milione e 360 mila. Cosa deve fare mia figlia? Si tiene i denti come sono, no? I denti di mia figlia servono ad Amato per addentare la polpa da 93 mila miliardi. E dove vuole che la prenda? Dai denti di mia figlia. Mica dagh incassi in nero dei commercianti, dei professionisti, dei dentisti... No, noi siamo come il maiale: ogni nostro pezzo è buono: le mani, il portafoglio, i denti, gli anni della vita». Paolo Guzzanti Viaggio a fine turno tra le sfuriate e la rabbia delle tute blu di Torino delle A sinistra i cancelli di Mirafiori In alto il presidente del Consiglio Giuliano Amato A destra il presidente della Fiat Giovanni Agnelli

Persone citate: Beccaria, Beccaria Giovanni, Favaron, Giovanni Agnelli, Giuliano Amato, Greco Filippo, Paolo Guzzanti, Trentin

Luoghi citati: Torino