Dietro i bulloni, l'ombro dei servizi

Dietro i bulloni, l'ombro dei servizi INTERVISTA Dietro i bulloni, l'ombro dei servizi «Ho già visto settori dello Stato provocare il sindacato» CONTRATTACCA IL primo agosto scorso, dopo l'accordo sul costo del lavoro, accigliato e ombroso, fuggì in Corsica sulla sua Volvo station wagon. Il rientro autunnale, in piazza a Firenze, gli ha riservato l'incontro con i bullonatoli. Bruno Trentin è colto, raffinato, elegantemente schivo, parla inglese con accento bostoniano, è sposato con un'intellettuale francese e, per l'appunto, viaggia in Volvo. Chi è più lontano dall'oleografia del sindacalista sanguigno e populista, così cara al plebeismo di parte della sinistra italiana? E' forse per questo che la base lo ha sempre rispettato, ma mai amato? Provare a introdurre con il segretario generale della Cgil questo argomento e una modesta fenomenologia di Trentin stesso significa subire il suo sguardo gelido e sentirsi rispondere: «Non le sembra un po' frivolo discutere di cose personali? Gli avvenimenti sono molto complessi: qualcuno tenta di colpirmi senza riuscirci e io devo leggere sui giornali analisi personalistiche, dissezioni del mio presunto carattere. La notizia non è questa: è che a Firenze due operai con i capelli bianchi hanno avuto la testa spaccata». E invece no, caro Trentin, con tutto il rispetto per gli operai feriti, la politica e, qualche volta, la storia la fanno gli uomini. E poi il personale non è politico? E allora che cosa pensa dei giudizi personali, oltre che politici, dati di lei da suoi compagni e amici quarantennali? Libertini non le dà la sua solidarietà perché tanto lei l'ha già avuta da Agnelli. Per Garavini solo un ministro di polizia può pensare che i bulloni siano un fatto di ordine pubblico e non un problema sociale. Pintor non si strappa i capelli perché esistono tragedie peggiori. Valentino Parlato la dipinge come un conservatore neanche tanto illuminato. Per non dire di Cossutta: «Gliel'hanno fatta pagare». Impagabile Trentin: «Se insiste a personalizzare - minaccia civil mente, da par suo - protesto fermamente come lettore». Lo la sciamo protestare e a lui, di so bria cultura americana, facciamo notare come, democraticamente, sia messo in croce dai mass media Bill Clinton. «Si - ironizza ma pensi alla povera mrs. Clinton». La replica ai suoi antichi compagni, oggi critici impietosi, viene subito dopo: «Con responsabilità diverse, le persone che lei ha citato resteranno infamate per tutta la loro vita da ciò che hanno detto. Non li invidio. Correndo verso il patrocinio di Bossi, alcuni di loro stanno cavalcando una bestia di cui non riescono a capire la pericolosità per loro stessi e per la democrazia». Vogliamo fare una graduatoria delle responsabilità? «In piazza a Firenze c'erano minoranze eversive, non più di due o trecento teppisti di vario colore politico, la stessa banda pagata dai commercianti fiorentini per picchiare gli immigrati, gli stessi che mettono a soqquadro gli stadi. C'erano rottami di autonomia, con la mano atteggiata alla P38. E poi c'erano i gruppetti sotto gli striscioni di Rifondazione comunista e quelli che incarnano il corporativismo violento dei mac¬ chinisti delle Ferrovie. Io, per mestiere, sono esposto a queste cose, son pagato per questo e non m'impressiono, ma vedere lavoratori sanguinanti...». Quali episodi del passato vissuti in prima persona le son venuti in mente? «Non sono bravo nei paragoni storici, ma penso che nel '77 non ci fosse un reale pericolo di destra. Oggi sì. C'è una miscela pericolosa con un'insolita egemonizzazione». Intende dire: da Bossi a Rifondazione comunista? «Intendo dire che a Rifondazione e ad altri non posso perdonare di giocare con i bulloni, sia pure da lontano o intellettualmente. Lascio a loro tutta la responsabilità di un gioco così miserabile. Son cambiati, non sono più gli antichi compagni di cui lei parlava». A parte la minoranza di violenti, però, c'era una maggioranza di contestatori. «E falso ed è una menzogna meschina perché ha centomila testimoni del contrario. Sono in corso scioperi che l'Italia non conosce da vent'anni, la violenza cerca di impedire anche la sana contestazione di cui il sindacato ha bisogno per non burocratizzarsi. Mi aspettavo critiche che non ci son state perché la violenza semina paura. In questo caso ho qualche nostalgia veterocomunista». Perché? «Perché Togliatti ha svolto un'enorme funzione di educazione democratica della classe lavoratrice e risulta tanto più evidente oggi di fronte a questa liberazione di bacilli avventuristi, che fanno parte della crisi della sinistra. Non si può civettare con la violenza». Parlato dice che Di Vittorio, al suo posto, si sarebbe rivolto alla piazza. «Io con Di Vittorio ci ho lavorato. Ho visto poi il '69 e i gruppuscoli del terrore, i cui capi oggi sono magari capi del personale nelle grandi industrie. Ho visto anche settori dello Stato e servizi segreti impegnati nelle provocazioni al sindacato. Qualcosa del genere può ripetersi». Siamo chiari, Trentin: lei sta forse dicendo che i servizi segreti dello Stato sono in qualche modo coinvolti nei fatti di questi giorni? «Non oso pensarlo, ma lo temo. Per esperienza so che quando il gioco si fa duro...». Ma lei non pensa che i lavoratori, oltre che dalla durezza della manovra, siano stati colpiti dall'«effetto Forlani» applicato alla Cgil? «Mi dimetto, ritorno...». «Io non sono un sindacalista peronista, perciò non mi sentirà mai dire che parlo a nome dei lavoratori italiani. Su quindici milioni, io ho parlato con qualche centinaio di loro e questi non pensano affatto quel che lei dice. Il giustizialismo e il populismo escludono qualunque democrazia. La Cgil, invece, è un'organizzazione democratica, il contrario di spontaneista, e questa democrazia è perseguita attraverso un lavoro accanito e minuzioso». Fatto sta che i partiti non riescono più a parlare con la gente e, a quanto pare, il sindacato neanche. «Posto che l'adesione agli scioperi in corso non ha precedenti negli ultimi vent'anni e la stampa non riesce a valutare tutta l'importanza di questo fatto, la crisi attuale dipende proprio dal divorzio tra cultura democratica e cultura populista. La cultura populista è servita ad autolegittimare la requisizione del potere da parte della classe politica, compresa una parte della sinistra, in nome di presunti interessi del popolo». Ma la manovra del governo Amato non è proprio in controtendenza rispetto al populismo degli anni passati? «No. Io sono per far pagare l'assistenza sanitaria a chi ne ha beneficiato per decenni senza pagare una lira. Occorre triplicare i contributi dei lavoratori autonomi? Lo si faccia. Si affermi finalmente il principio che tutti sono uguali davanti al fisco. Si applichi la riforma dell'amministrazione finanziaria, non si permetta che alcune decine di alti e medi funzionari la blocchino colludendo con l'evasione». A capo delle Finanze c'è un sindacalista. «Benvenuto è incapace per quella funzione. E il governo Amato sta compiendo nefandezze inaudite. Basta pensare che ulteriori 180 mila lire di detrazione sono state concesse a chi ha un reddito inferiore ai sette milioni e mezzo l'anno. Poiché un reddito simile ce l'hanno soltanto gli evasori, si tratta di un esplicito premio assegnato loro dal governo». Che cosa dovrebbe fare un «governo di svolta»? «Non un programma millenarista, ma biennale». Ce lo illustri. «Misure di governo del debito pubblico, rastrellando più dei 93 mila miliardi di Amato, attraverso un totale rovesciamento della politica fiscale e attraverso un prestito nazionale forzoso; privatizzazioni immediate e degne di questo nome, cominciando dall'enorme patrimonio abitativo degli enti pubblici, i cui deficit possono essere finanziati con Bot. Non si fa questo perché significherebbe liquidare nomenklature piccole e grandi. Spesso il potere più piccolo è il più forte». Lei intravede nei partiti qualche presa di coscienza? i «Le novità ci sono nei partiti e nelle istituzioni. Non capita tutti i giorni, ad esempio, sentire Occhetto dire che non ha senso chiedere la caduta del governo se non c'è un programma alternativo. Né è insignificante che il presidente Scalfaro si presenti come il primo difensore del Parlamento. Questo non cancella i ritardi dei partiti abituati a ragionare per schieramenti invece che per programmi, ma è già qualcosa». Si dice che lei abbia fatto un patto con Martelli. «Nessun patto». E nessuna ambizione? «Nessunissima ambizione, se non di passare presto ad altri incarichi». Politici? «No, le mie ambizioni sono più grandi: ricominciare a capire questa organizzazione nella quale ho trascorso una vita». Quando lascerà la segreteria? «Appena la situazione lo consentirà».

Luoghi citati: Firenze, Italia