Alla fine della conta Segni restò da solo di Fabio Martini

Alla fine della conta Segni restò da solo Dopo la proposta di uscire subito dalla de Alla fine della conta Segni restò da solo ROMA. Si è fatta mezzanotte nella mansarda del Nazzareno il cuore della Roma rinascimentale - ed è scoccata l'ora della verità tra Mario Segni e i democristiani che più gli sono amici. La riunione dura da quattro ore e da quattro, lunghe ore, è quasi un ritornello: «Mario, non è ancora arrivato il momento di lasciare la de». Segni ascolta tutti, capisce che la conta, tante volte rimandata, sta dando un risultato inequivocabile: neanche i parlamentari de più ribelli hanno voglia di lasciare subito il partito. Con un pizzico di fastidio e il piglio del leader, Segni chiude la lunga riunione con un annuncio: «Vediamoci ancora il 9 ottobre, il giorno prima della manifestazione di Roma e vi dirò le mie decisioni». E' finita così, col fiato più sospeso di prima, la più importante fra le tante riunioni preparatorie in vista dell'assemblea al Palaeur di Roma di «Popolari per la riforma». E, dall'altra notte, l'enigma che si rincorre da settimane - il 10 ottobre Segni lascerà la de? Chi lo seguirà? - è diventato ancora più inestricabile. Il test di martedì notte deve aver sorpreso Segni: su tanti presenti - c'erano una trentina di parlamentari de - soltanto un deputato di Foggia (l'onorevole Cafarelli) e un ex senatore (il professor Nicolò Lipari) hanno detto che è ora di tagliare i ponti con la de. Gianni Bivera, che da tempo non ne può più della nomenklatura di piazza del Gesù, ha preferito restare in silenzio. Quattro ore di discussione appassionata, senza polemiche. Sono intervenuti in tanti, il fiorentino Matuili, la milanese Fumagalli, il veronese Ferrari, il parmense Borri, il pisano Bicocchi, il siciliano Riggio, l'aclista De Matteo, il cossighiano Zamberletti, la milanese Garavaglia e altri ancora. In tutti gli interventi tanta insofferenza per i capi democristiani, tanta stima per Segni, ma anche tanta cautela. «La base e molti elettori de non ne possono più avverte Vito Riggio -, ma attenzione: non vogliamo uscire dal partito per costituire un ennesimo frammento del panorama politico come è diventato Orlando». Fa paura un bis di Orlando e fa ancora più paura una reazione fredda del mondo cattolico ad una eventuale scissione. Attenzione - avvertono la Fumagalli, Galbiati, Scartato, De Matteo, che delle Acli è stato vicepresidente - perché la domanda di moralità che arriva dalla Chiesa si accompagna anche ad una richiesta di unità del mondo cattolico. Ma l'argomento più forte di chi ancora non è convinto del grande passo a tempi brevi è un altro: «Sulla scomposizione dice Cesare San Mauro, braccio destro di Segni - possiamo essere d'accordo, ma per evitare il rischio-Orlando, occorre un processo di ricomposizione immediato. Mario, sei tu che ci devi dire: a che punto è il rapporto con La Malfa? Con Zanone? Con Augusto Barbera del pds?». E Segni risponde: «Con La Malfa non ho nessun accordo segreto, ma il pri è un partito compatto, che potrebbe affrontare un eventuale processo di autoscioglimento». Già, ma se il 10 ottobre non si esce dalla de, quale parola d'ordine lanciare? Anche su questo non ci sono idee univoche. I dubbi si accavallano e, tra chi frena, fa capolino anche una flebile speranza: che qualcuno dei capi democristiani offra a Segni una chance speciale. «Mario, è difficile - dice Guglielmo Scartato ma potrebbero offrirti la segreteria...». E Segni dà una risposta che gela: «La segreteria? Io non ci credo». E' notte fonda, la prima conta è finita e il risultato parla chiaro: per ora tra i ribelli democristiani sono pochissimi quelli che vogliono andar via subito, al buio. Ieri mattina, in un rapido passaggio a Montecitorio, dopo aver incontrato Mino Martinazzoli, Segni si è limitato a dire: «Quella di ieri sera? Una riunione interessante e costruttiva». Ma dopo l'altra notte, Vito Riggio, che conosce bene Segni, si è fatto un'idea: «Mi sembra di capire che Mario sia un passo più in là di alcuni dei partecipanti alla riunione...». Fabio Martini Mario Segni Alla fine della conta Segni restò da solo Dopo la proposta di uscire subito dalla de Alla fine della conta Segni restò da solo ROMA. Si è fatta mezzanotte nella mansarda del Nazzareno il cuore della Roma rinascimentale - ed è scoccata l'ora della verità tra Mario Segni e i democristiani che più gli sono amici. La riunione dura da quattro ore e da quattro, lunghe ore, è quasi un ritornello: «Mario, non è ancora arrivato il momento di lasciare la de». Segni ascolta tutti, capisce che la conta, tante volte rimandata, sta dando un risultato inequivocabile: neanche i parlamentari de più ribelli hanno voglia di lasciare subito il partito. Con un pizzico di fastidio e il piglio del leader, Segni chiude la lunga riunione con un annuncio: «Vediamoci ancora il 9 ottobre, il giorno prima della manifestazione di Roma e vi dirò le mie decisioni». E' finita così, col fiato più sospeso di prima, la più importante fra le tante riunioni preparatorie in vista dell'assemblea al Palaeur di Roma di «Popolari per la riforma». E, dall'altra notte, l'enigma che si rincorre da settimane - il 10 ottobre Segni lascerà la de? Chi lo seguirà? - è diventato ancora più inestricabile. Il test di martedì notte deve aver sorpreso Segni: su tanti presenti - c'erano una trentina di parlamentari de - soltanto un deputato di Foggia (l'onorevole Cafarelli) e un ex senatore (il professor Nicolò Lipari) hanno detto che è ora di tagliare i ponti con la de. Gianni Bivera, che da tempo non ne può più della nomenklatura di piazza del Gesù, ha preferito restare in silenzio. Quattro ore di discussione appassionata, senza polemiche. Sono intervenuti in tanti, il fiorentino Matuili, la milanese Fumagalli, il veronese Ferrari, il parmense Borri, il pisano Bicocchi, il siciliano Riggio, l'aclista De Matteo, il cossighiano Zamberletti, la milanese Garavaglia e altri ancora. In tutti gli interventi tanta insofferenza per i capi democristiani, tanta stima per Segni, ma anche tanta cautela. «La base e molti elettori de non ne possono più avverte Vito Riggio -, ma attenzione: non vogliamo uscire dal partito per costituire un ennesimo frammento del panorama politico come è diventato Orlando». Fa paura un bis di Orlando e fa ancora più paura una reazione fredda del mondo cattolico ad una eventuale scissione. Attenzione - avvertono la Fumagalli, Galbiati, Scartato, De Matteo, che delle Acli è stato vicepresidente - perché la domanda di moralità che arriva dalla Chiesa si accompagna anche ad una richiesta di unità del mondo cattolico. Ma l'argomento più forte di chi ancora non è convinto del grande passo a tempi brevi è un altro: «Sulla scomposizione dice Cesare San Mauro, braccio destro di Segni - possiamo essere d'accordo, ma per evitare il rischio-Orlando, occorre un processo di ricomposizione immediato. Mario, sei tu che ci devi dire: a che punto è il rapporto con La Malfa? Con Zanone? Con Augusto Barbera del pds?». E Segni risponde: «Con La Malfa non ho nessun accordo segreto, ma il pri è un partito compatto, che potrebbe affrontare un eventuale processo di autoscioglimento». Già, ma se il 10 ottobre non si esce dalla de, quale parola d'ordine lanciare? Anche su questo non ci sono idee univoche. I dubbi si accavallano e, tra chi frena, fa capolino anche una flebile speranza: che qualcuno dei capi democristiani offra a Segni una chance speciale. «Mario, è difficile - dice Guglielmo Scartato ma potrebbero offrirti la segreteria...». E Segni dà una risposta che gela: «La segreteria? Io non ci credo». E' notte fonda, la prima conta è finita e il risultato parla chiaro: per ora tra i ribelli democristiani sono pochissimi quelli che vogliono andar via subito, al buio. Ieri mattina, in un rapido passaggio a Montecitorio, dopo aver incontrato Mino Martinazzoli, Segni si è limitato a dire: «Quella di ieri sera? Una riunione interessante e costruttiva». Ma dopo l'altra notte, Vito Riggio, che conosce bene Segni, si è fatto un'idea: «Mi sembra di capire che Mario sia un passo più in là di alcuni dei partecipanti alla riunione...». Fabio Martini Mario Segni

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