«Maastricht non sta bene ai partiti» di Fabio Galvano

«Maastricht non sta bene ai partiti» La Commissione Cee replica al Cancelliere, che chiede un protocollo aggiuntivo al Trattato «Maastricht non sta bene ai partiti» E Kohl insiste: una museruola alla furia accentratrice BRUXELLES DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La Commissione Cee contrattacca, dopo le accuse rivolte da Helmut Kohl alla «burocrazia troppo potente» di Bruxelles. «Siamo presentati come il lupo cattivo, eppure l'unico rimprovero che ci può forse essere mosso - ha affermato ieri il commissario tedesco Martin Bangemann - è di non avere spiegato a sufficienza, ogni volta che sarebbe stato necessario, le decisioni prese». Ma da Bonn, prima in un'intervista televisiva e poi a una riunione di governo, il cancelliere ha rincarato la dose: occorre «mettere la museruola», ha detto, alla «furia regolamentatrice» degli eurocrati. Al vertice straordinario di Londra, il 16 ottobre, Kohl vorrebbe dai Dodici «una dichiarazione interpretativa del Trattato», per rassicurare - ha precisato un suo portavoce - «tutti coloro che hanno paura di perdere la loro identità nazionale». E' un rimpallo di accuse e di staffilate, mentre i Paesi membri, incerti e confusi, si avviano verso il vertice con un'unica certezza, confermata anche da Bangemann: il Trattato di Maastricht non potrà essere ratificato entro la scadenza prevista del 31 dicembre («Ma sicuramente entro l'anno prossimo», ha detto il commissario). E Jacques Delors? Per ora tace. Inevitabile capro espiatorio del mezzo sì francese come lo era stato tre mesi fa dopo il no della Danimarca, il presidente dell'esecutivo Cee ha rifiutato di polemizzare dopo essere stato sacrificato sull'altare delle tensioni europee. Non si è fatto neppure vedere, ieri, restandosene chiuso all'ultimo piano di palazzo Breydel: «Per motivi deontologici ha fatto dire dal suo portavoce è politica della Commissione non polemizzare pubblicamente con capi di Stato e governo». Al suo posto, però, ha parlato Bangemann, con il pretesto di una conferenza stampa sull'approvazione di nuove direttive per l'omologazione unica dei veicoli a due ruote: «La verità egli ha detto come a voler spiegare l'improvvisa filippica di Kohl - è che i partiti non amano l'idea di un'Europa che prende decisioni, poiché questa situazione li rende più vulnerabili». Ecco, i partiti: nello scarica¬ barile europeo diventano loro il capro espiatorio di Bruxelles. «La questione - ha aggiunto Bangemann - deve quindi essere sollevata a livello politico, precisando che l'Europa non è un'utopia, ma una necessità reale». Forse non si saprà mai che cosa si siano detti Mitterrand e Kohl nel colloquio parigino di martedì. Ma è evidente che il cancelliere ne è uscito con il dente avvelenato con Delors; anche se ieri Bangemann ha cercato di sostenere che quella di Kohl «non era stata una critica specifica della Commissione e il riferimento a Bruxelles era generico». Ma non c'è peggior sordo di chi non vuole intendere. Con l'improvvisa ostilità degli europei, ha detto Kohl, «il testo del Trattato non ha niente a che fare». Fra i cittadini, ha aggiunto, «ci sono riserve sul fatto che esiste a Bruxelles una massiccia burocrazia troppo potente, in continua evoluzione, che stermina le identità nazionali»; «Occorre, una volta tanto, parlare con durezza». Quella durezza, ovviamente, non è piaciuta a Bruxelles. Le critiche del cancelliere vengono giudicate ingiuste. Anche se errori sono stati commessi, se c'è stato un po' troppo accentramento e se non si sono spiegati a dovere gli impegni di Maastricht, già dopo il no danese si era cercato di rimediare alla situazione. Delors non aveva esitato a denunciare «la complicità dei governi, che piuttosto d'impegnarsi attribuiscono la colpa a Bruxelles». Ma al vertice di Lisbona, a fine giugno, aveva sancito in una sorta di atto di eurocontrizione quel nuovo termine - sussidiarietà - che in burocratese significa l'adozione di norme comunitarie soltanto quando un problema non può essere risolto a livello nazionale. Dal prossimo vertice di Londra ci si aspetta un ulteriore tentativo di riavvicinare ai cit tadini il processo di edificazione europea. «Quest'Europa - ha voluto assicurare ieri Kohl - non diventerà uno Stato federale L'unione politica sarà un tetto sotto cui soltanto le questioni più importanti saranno decise». Ma il Trattato, ha replicato Bangemann, è necessario; e proprio quanto è accaduto sul mercato dei cambi lo dimostra. Fabio Galvano Il cancelliere Kohl è uscito dal colloquio parigino di martedì con Mitterrand attaccando Delors [FOTOAP) «Maastricht non sta bene ai partiti» La Commissione Cee replica al Cancelliere, che chiede un protocollo aggiuntivo al Trattato «Maastricht non sta bene ai partiti» E Kohl insiste: una museruola alla furia accentratrice BRUXELLES DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La Commissione Cee contrattacca, dopo le accuse rivolte da Helmut Kohl alla «burocrazia troppo potente» di Bruxelles. «Siamo presentati come il lupo cattivo, eppure l'unico rimprovero che ci può forse essere mosso - ha affermato ieri il commissario tedesco Martin Bangemann - è di non avere spiegato a sufficienza, ogni volta che sarebbe stato necessario, le decisioni prese». Ma da Bonn, prima in un'intervista televisiva e poi a una riunione di governo, il cancelliere ha rincarato la dose: occorre «mettere la museruola», ha detto, alla «furia regolamentatrice» degli eurocrati. Al vertice straordinario di Londra, il 16 ottobre, Kohl vorrebbe dai Dodici «una dichiarazione interpretativa del Trattato», per rassicurare - ha precisato un suo portavoce - «tutti coloro che hanno paura di perdere la loro identità nazionale». E' un rimpallo di accuse e di staffilate, mentre i Paesi membri, incerti e confusi, si avviano verso il vertice con un'unica certezza, confermata anche da Bangemann: il Trattato di Maastricht non potrà essere ratificato entro la scadenza prevista del 31 dicembre («Ma sicuramente entro l'anno prossimo», ha detto il commissario). E Jacques Delors? Per ora tace. Inevitabile capro espiatorio del mezzo sì francese come lo era stato tre mesi fa dopo il no della Danimarca, il presidente dell'esecutivo Cee ha rifiutato di polemizzare dopo essere stato sacrificato sull'altare delle tensioni europee. Non si è fatto neppure vedere, ieri, restandosene chiuso all'ultimo piano di palazzo Breydel: «Per motivi deontologici ha fatto dire dal suo portavoce è politica della Commissione non polemizzare pubblicamente con capi di Stato e governo». Al suo posto, però, ha parlato Bangemann, con il pretesto di una conferenza stampa sull'approvazione di nuove direttive per l'omologazione unica dei veicoli a due ruote: «La verità egli ha detto come a voler spiegare l'improvvisa filippica di Kohl - è che i partiti non amano l'idea di un'Europa che prende decisioni, poiché questa situazione li rende più vulnerabili». Ecco, i partiti: nello scarica¬ barile europeo diventano loro il capro espiatorio di Bruxelles. «La questione - ha aggiunto Bangemann - deve quindi essere sollevata a livello politico, precisando che l'Europa non è un'utopia, ma una necessità reale». Forse non si saprà mai che cosa si siano detti Mitterrand e Kohl nel colloquio parigino di martedì. Ma è evidente che il cancelliere ne è uscito con il dente avvelenato con Delors; anche se ieri Bangemann ha cercato di sostenere che quella di Kohl «non era stata una critica specifica della Commissione e il riferimento a Bruxelles era generico». Ma non c'è peggior sordo di chi non vuole intendere. Con l'improvvisa ostilità degli europei, ha detto Kohl, «il testo del Trattato non ha niente a che fare». Fra i cittadini, ha aggiunto, «ci sono riserve sul fatto che esiste a Bruxelles una massiccia burocrazia troppo potente, in continua evoluzione, che stermina le identità nazionali»; «Occorre, una volta tanto, parlare con durezza». Quella durezza, ovviamente, non è piaciuta a Bruxelles. Le critiche del cancelliere vengono giudicate ingiuste. Anche se errori sono stati commessi, se c'è stato un po' troppo accentramento e se non si sono spiegati a dovere gli impegni di Maastricht, già dopo il no danese si era cercato di rimediare alla situazione. Delors non aveva esitato a denunciare «la complicità dei governi, che piuttosto d'impegnarsi attribuiscono la colpa a Bruxelles». Ma al vertice di Lisbona, a fine giugno, aveva sancito in una sorta di atto di eurocontrizione quel nuovo termine - sussidiarietà - che in burocratese significa l'adozione di norme comunitarie soltanto quando un problema non può essere risolto a livello nazionale. Dal prossimo vertice di Londra ci si aspetta un ulteriore tentativo di riavvicinare ai cit tadini il processo di edificazione europea. «Quest'Europa - ha voluto assicurare ieri Kohl - non diventerà uno Stato federale L'unione politica sarà un tetto sotto cui soltanto le questioni più importanti saranno decise». Ma il Trattato, ha replicato Bangemann, è necessario; e proprio quanto è accaduto sul mercato dei cambi lo dimostra. Fabio Galvano Il cancelliere Kohl è uscito dal colloquio parigino di martedì con Mitterrand attaccando Delors [FOTOAP)