Comizio muto, scudi contro i bulloni

Comizio muto, scudi contro i bulloni Nuovi scontri a Milano per lo sciopero generale: Silvano Veronese non riesce a parlare Comizio muto, scudi contro i bulloni a piazza Duomo scappa dal palco il leader della Uil MILANO. Una piazza piena, un palco vuoto, silenzioso. Per mezz'ora piazza Duomo a Milano è stata dominata da questa scena emblematica. E ancora, dopo l'inquietante episodio di martedì a Firenze, la violenza contro il sindacato è tornata a colpire. Davanti al palco migliaia e migliaia di lavoratori; dietro, un gruppo di sindacalisti, «reduci» dall'attacco di bulloni e uova che ha costretto Silvano Veronese, segretario confederale della Uil, a interrompersi bruscamente. Quattro minuti esatti: tanto è durato il «comizio», che nessuno è praticamente riuscito a sentire. Quattro minuti e poi, su consiglio degli organizzatori (e della Digos) Veronese chiude; uno speaker frettolosamente annuncia: «La manifestazione è finita». E piomba il silenzio. Quattro minuti, e poi: Parlare? Non parlare? E' il dubbio che attanaglia i sindacalisti presenti. Lasciare che il palco si smonti nel silenzio, o dire ancora qualcosa? Alla fine, dopo quasi venti minuti di consultazioni frenetiche tra i leader lombardi del sindacato, la decisione: Carlo Ghezzi, segretario della Camera del Lavoro, di Milano decide di tenere un comizio. Mezzi tecnici di fortuna (il microfono «ufficiale» è stato smontato da un pezzo), per di più ostacolati da una pioggia (autentica, dal cielo) intensa. Ma Ghezzi parla lo stesso, e stavolta gli applausi superano i fischi. Sopratutto quando grida: «Questo è solo il primo appuntamento di lotta. Ce ne saranno altri e, se non cambierà il decreto del governo, arriveremo allo sciopero generale». Quanti i manifestanti? Cento, centocinquantamila... I nu meri si perdono in una piazza semipiena prima ancora che entrino i cortei, in gruppi di lavoratori che devono già andarsene (lo sciopero era fino ai turni di mensa) mentre altri sono ben lungi dall'arrivare Un unico dato certo: «Erano anni che a Milano non si vedeva una manifestazione così», ripetono all'unisono tutti sindacalisti presenti. Aggiungono: «Non si deve dimenticare questo. Non si può ridurre la cronaca di que sta giornata alla contestazione di pochi». Da Roma fa loro eco Bruno Trentin: «La contestazione di Milano è stata una piccola co sa. Siamo di fronte al più gran de movimento di scioperi degli ultimi vent'anni. E' questo ciò che conta». Effettivamente la gente < tanta, a Milano, che chi si tro va poco lontano dal palco, alle 10,20 sente solo un boato di fi schi. Veronese inizia a parlare nonostante i cortei provenien ti da quattro zone della città non siano ancora completamente affluiti in piazza Duomo. Ma non dura a lungo. Mentre sotto si schiera il ser- vizio d'ordine e iniziano a volare gli spintoni, sul palco c'è vede e sente (sulla pelle) uova, bulloni, castagne, pile, monetine. Volano pure due razzetti fumogeni. Una pioggia contro cui si rivelano inutili anche gli artigianali scudi di plastica trasparente preparati preventivamente per proteggere gli oratori. Quattro minuti, e il palco si svuota. Intanto in piazza gli slogan si susseguono. Contro il governo e i suoi provvedimenti. Ma anche contro i sindacati: «Buffoni», «Venduti», «Ritirate il 31 luglio» (l'accordo ultracontestato), gridano quelli attorno al palco. Frange dell'autonomia, «provocatori» come sono stati definiti dai funzionari sindacali presenti? I violenti, quelli che tiravano oggetti erano sicuramenti pochi, ma quelli che fischiavano erano molti di più E le proteste erano sintetizzate anche dai cartelli: «Amato, il più odiato dagli italiani»; «Il più Amato dagli evasori fiscali»; «Amato i lavoratori dipendenti hanno le mani pulite e le tasche vuote». Oppure ini. semplice, definitivo : «Basta!». aiiAllév'Ii;, .dopd^che Gheizei è faticosamente riuscito a «riannodare i fili» con i manifestanti, la piazza si svuota. Si torna in fabbrica, negli uffici. Vanno per conto loro il Cobas dell'Alfa Romeo e i «lavoratori autoorganizzati»: un breve corteo, con comizio davanti all'Assolombarda. Lascia la piazza, verso l'Università, anche una «coda» di sbrindellati autonomi. Dietro i manifestanti rimangono solamente le polemiche tra Silvano Veronese e i sindacalisti lombardi. «La gestione della prima parte del comizio non ha consentito di recuperare il rapporto con la gente», afferma Giampiero Castano, segretario generale della FiomCgil lombarda. «Iniziare a parlare quando i cortei non erano ancora entrati in piazza - ag giunge il sindacalista - è un se gno di debolezza che i lavoratori lombardi non si meritano Per fortuna c'è stata l'intelligenza e la capacità di tornare sul palco e di continuare un comizio troppo bruscamente interrotto dall'oratore ufficiale», [s. mar.] Oltre centomila sfilano in piazza Trentin: «Il più grande movimento degli ultimi 20 anni» P Una scena di tensione durante la manifestazione di ieri a Milano pr^pnHH ["■■■friHill : : | ' Comizio muto, scudi contro i bulloni Nuovi scontri a Milano per lo sciopero generale: Silvano Veronese non riesce a parlare Comizio muto, scudi contro i bulloni a piazza Duomo scappa dal palco il leader della Uil MILANO. Una piazza piena, un palco vuoto, silenzioso. Per mezz'ora piazza Duomo a Milano è stata dominata da questa scena emblematica. E ancora, dopo l'inquietante episodio di martedì a Firenze, la violenza contro il sindacato è tornata a colpire. Davanti al palco migliaia e migliaia di lavoratori; dietro, un gruppo di sindacalisti, «reduci» dall'attacco di bulloni e uova che ha costretto Silvano Veronese, segretario confederale della Uil, a interrompersi bruscamente. Quattro minuti esatti: tanto è durato il «comizio», che nessuno è praticamente riuscito a sentire. Quattro minuti e poi, su consiglio degli organizzatori (e della Digos) Veronese chiude; uno speaker frettolosamente annuncia: «La manifestazione è finita». E piomba il silenzio. Quattro minuti, e poi: Parlare? Non parlare? E' il dubbio che attanaglia i sindacalisti presenti. Lasciare che il palco si smonti nel silenzio, o dire ancora qualcosa? Alla fine, dopo quasi venti minuti di consultazioni frenetiche tra i leader lombardi del sindacato, la decisione: Carlo Ghezzi, segretario della Camera del Lavoro, di Milano decide di tenere un comizio. Mezzi tecnici di fortuna (il microfono «ufficiale» è stato smontato da un pezzo), per di più ostacolati da una pioggia (autentica, dal cielo) intensa. Ma Ghezzi parla lo stesso, e stavolta gli applausi superano i fischi. Sopratutto quando grida: «Questo è solo il primo appuntamento di lotta. Ce ne saranno altri e, se non cambierà il decreto del governo, arriveremo allo sciopero generale». Quanti i manifestanti? Cento, centocinquantamila... I nu meri si perdono in una piazza semipiena prima ancora che entrino i cortei, in gruppi di lavoratori che devono già andarsene (lo sciopero era fino ai turni di mensa) mentre altri sono ben lungi dall'arrivare Un unico dato certo: «Erano anni che a Milano non si vedeva una manifestazione così», ripetono all'unisono tutti sindacalisti presenti. Aggiungono: «Non si deve dimenticare questo. Non si può ridurre la cronaca di que sta giornata alla contestazione di pochi». Da Roma fa loro eco Bruno Trentin: «La contestazione di Milano è stata una piccola co sa. Siamo di fronte al più gran de movimento di scioperi degli ultimi vent'anni. E' questo ciò che conta». Effettivamente la gente < tanta, a Milano, che chi si tro va poco lontano dal palco, alle 10,20 sente solo un boato di fi schi. Veronese inizia a parlare nonostante i cortei provenien ti da quattro zone della città non siano ancora completamente affluiti in piazza Duomo. Ma non dura a lungo. Mentre sotto si schiera il ser- vizio d'ordine e iniziano a volare gli spintoni, sul palco c'è vede e sente (sulla pelle) uova, bulloni, castagne, pile, monetine. Volano pure due razzetti fumogeni. Una pioggia contro cui si rivelano inutili anche gli artigianali scudi di plastica trasparente preparati preventivamente per proteggere gli oratori. Quattro minuti, e il palco si svuota. Intanto in piazza gli slogan si susseguono. Contro il governo e i suoi provvedimenti. Ma anche contro i sindacati: «Buffoni», «Venduti», «Ritirate il 31 luglio» (l'accordo ultracontestato), gridano quelli attorno al palco. Frange dell'autonomia, «provocatori» come sono stati definiti dai funzionari sindacali presenti? I violenti, quelli che tiravano oggetti erano sicuramenti pochi, ma quelli che fischiavano erano molti di più E le proteste erano sintetizzate anche dai cartelli: «Amato, il più odiato dagli italiani»; «Il più Amato dagli evasori fiscali»; «Amato i lavoratori dipendenti hanno le mani pulite e le tasche vuote». Oppure ini. semplice, definitivo : «Basta!». aiiAllév'Ii;, .dopd^che Gheizei è faticosamente riuscito a «riannodare i fili» con i manifestanti, la piazza si svuota. Si torna in fabbrica, negli uffici. Vanno per conto loro il Cobas dell'Alfa Romeo e i «lavoratori autoorganizzati»: un breve corteo, con comizio davanti all'Assolombarda. Lascia la piazza, verso l'Università, anche una «coda» di sbrindellati autonomi. Dietro i manifestanti rimangono solamente le polemiche tra Silvano Veronese e i sindacalisti lombardi. «La gestione della prima parte del comizio non ha consentito di recuperare il rapporto con la gente», afferma Giampiero Castano, segretario generale della FiomCgil lombarda. «Iniziare a parlare quando i cortei non erano ancora entrati in piazza - ag giunge il sindacalista - è un se gno di debolezza che i lavoratori lombardi non si meritano Per fortuna c'è stata l'intelligenza e la capacità di tornare sul palco e di continuare un comizio troppo bruscamente interrotto dall'oratore ufficiale», [s. mar.] Oltre centomila sfilano in piazza Trentin: «Il più grande movimento degli ultimi 20 anni» P Una scena di tensione durante la manifestazione di ieri a Milano pr^pnHH ["■■■friHill : : | '

Persone citate: Bruno Trentin, Carlo Ghezzi, Ghezzi, Giampiero Castano, Silvano Veronese

Luoghi citati: Firenze, Milano, Roma