Giusva: una vita a mano armata di Giovanni Bianconi

Giusva: una vita a mano armata Fioravanti: perché sono diventato un assassino. In anteprima alcune pagine del libro di Bianconi Giusva: una vita a mano armata «Meglio il terrorista che l'attore» Uscirà in libreria venerdì due ottobre il libro di Giovanni Bianconi «A mano armata. Storia di Giusva Fioravanti» (ed. Baldini e Castoldi). E' la ricostruzione di una vita violenta, incominciata a Roma in una famiglia borghese di Monteverde, naturalmente di destra e, soprattutto, anticomunista. E proseguita poi attraverso un precoce impatto televisivo (Giusva fu protagonista di alcuni Caroselli, di uno sceneggiato televisivo, «La famiglia Benvenuti», e di un film al fianco di Edwige Fenech) fino alla militanza nell 'ms i ed all'orrore della scelta armata con i Nar. Bianconi, cronista giudiziario de «La Stampa», ha ricostruito la «carriera» di Fioravanti in un attento collage di interviste e di deposizioni. Pubblichiamo qui di seguito alcuni brani tratti dal capitolo «lo e mio fratello» w|N casa Fioravanti, negli I Anni Settanta, la politica I la porta Cristiano. E' lui, I anche se più piccolo, che _*J comincia a frequentare la sezione dell'msi di Monteverde, quartiere borghese e moderno di Roma. In famiglia comunque si respira da sempre un'aria di destra e soprattutto anticomunista. E' anticomunista il signor Mario, che al momento del voto oscilla tra la de e l'msi; è anticomunista sua moglie Ida, di origine benestante, figlia del proprietario del miglior albergo di Riva del Garda, bella donna e di buone letture (Faulkner, Dos Passos, Hemingway) che ci tiene a preservare quel po' di origine aristocratica sacrificata per sposare Mario e trasferirsi nella capitale... Cristiano si fa notare nel quartiere, partecipa alle scazzottate coi «compagni», picchia e viene picchiato, diventa un problema per i genitori. Valerio è un tipo più tranquillo. Certo, a scuola liceo scientifico statale John Fitzgerald Kennedy - non ha dubbi a schierarsi dalla parte dei fascisti. Ma è una scelta istintiva e di principio, più che ideologica: i fascisti sono meno numerosi, raramente riescono ad ottenere la parola nelle assemblee, vengono emarginati e picchiati. Menano anche loro, ma agli occhi di Giusva sono svantaggiati nel rapporto di forza, e lui decide di stare al laro 'fiancò, di prenderne le difese quando c'è da sostenere il diritto ad esistere e parlare anche per i «neri». Soprattutto non gli va giù il fatto che per essere bene accetti bisogna essere «di sinistra», il suo spirito di bastian contrario prende il sopravvento... Per il futuro capo dei Nar, comunque, questo è ancora il tempo della politica a mezzo servizio... In generale mantiene buoni rapporti con tutti; il suo compagno di banco, Stefano, è il segretario dei giovani comunisti del quartiere, dal loro posto partono gli ordini sui compiti in classe da passare e le interrogazioni programmate. «Ricordo che quando c'erano scioperi e assemblee, io ostentatamente non partecipavo. Ma in questo periodo la politica per me si risolveva tutta in questa polemica a scuola, mentre al pomeriggio me ne andavo a giocare a pallone o in giro con le ragazzine»... «Si può dire che ho iniziato l'attività politica per una condizione "materna". Mio fratello Cristiano, più giovane di me, fin da quando aveva dodici anni concepì interesse per la politica e, da ragazzino qual era, andava in giro ad attaccare manifesti. Rientrava tardi a casa, mia madre era costernata e mi chiedeva di andarlo a cercare qua e là. Poi ci sono state delle violenze contro mio fratello, e di qui ho tratto un senso di ingiustizia che mi ha spinto a fare come lui politica. Il mio primo atteggiamento fu di ritorsione: era stata bruciata la macchina di mia madre e bruciai qualche altra macchina, le percosse che aveva ricevuto mio fratello le restituii ad altri. La cosa è andata così per diversi anni crescendo man mano. Violenza ha chiamato violenza... «Nel '74 i miei genitori, preoccupati della mia aggressività, mi mandarono a studiare in America, non rendendosi conto che aggressivo quanto o più di me era mio fratello Cristiano; forse pensavano che separarci sarebbe stato proficuo per entrambi». Quando parte per gli Stati Uniti, destinazione Portland, Oregon, Valerio conosce già il (muovo continente». Due anni prima, d'estate, era andato laggiù a studiare l'inglese, ospite di una famiglia ebrea a Washington. Il padre di quella famiglia era un avvocato mternazidnalista, e tutte le mattine; andandoalavorare,qon la sua Cadillac, accompagnava Giusva allo Smithsonian Museum. Quel signore ricco e affermato gli parlava della sua professione, Giusva era rimasto affascinato dai racconti sulle mediazioni dei conflitti fra Stati, e aveva deciso che da grande avrebbe voluto fare proprio quel lavoro. Adesso, autunno 1974, sbarca in un altro Stato e in un'altra città, ma il fascino dell'America lo avvolge nuovamente in pochi giorni... Giusva va a scuola, gli piace l'ambiente, si impegna molto, studia con ottimo profitto. Su quattrocento alunni, tra i ragazzi risulta secondo per bravura. Comincia a pensare di rimanere a studiare lì, ormai sta per compiere diciassette anni e sogna le università di Harvard e di Yale, dai test che gli fanno fare risulta che ha tutte le carte in regola per proseguire su questa strada... Al cinema e al mestiere di attore, che il padre dall'Italia gli ripropone in continuazione, non pensa più. Da tempo, ormai, ha deciso che quel lavoro non gli piace, e da quando aveva undici anni, dopo il successo de La famiglia Benvenuti, ha cominciato a recitare male :.ei provini proprio per non essere scritturato dai registi. Vuole stare qui, negli Stati Uniti d'America, dove ha conosciuto da vicino la ricchezza e un sistema di vita che, pensa, non sarà perfetto ma probabilmente è il meno imperfetto che possa esistere. Soprattutto, al di qua dell'oceano può essere finalmente solo se stesso, quello che piace a lui, senza dover rispondere ad ordini o aspettative di nessuno: qui nessuno lo conosce còrde Giusva, è solo Valerio; nessuno sa che è Tattore-bàmbino, ma semplicemente un ragazzo come tutti gli altri... «L'omicidio del giovane Mantakas destò molto disappunto in mio fratello Cristiano, come mi fu comunicato da una lettera di mia sorella. Mio padre mi consigliò anche di intervenire su mio fratello ed io scrissi allo stesso una lettera nella quale, pur concordando con lui sulla ingiustizia che una giovane vita come quella del Mantakas fosse stata soppressa, ritenni di usare una metafora per prospettare quale dovesse essere una reazione accettabile. «Parlai di una cassaforte che può essere attaccata con la semplice violenza, a sassate, oppure aperta attraverso la combinazione: talché bisognava Impadronirsi del meccanismo. Questo mio atteggiamento fu considera¬ to da Cristiano e dal suo amico fraterno Alessandro Alibrandi espressione di remissività e di scarso coraggio. «Fu così che io decisi di dimostrare con i fatti che ero deciso quanto loro. Lo seguii, da allora, in tutte le sue disavventure, e finii per scavalcarlo». La decisione che Valerio debba rientrare dagli Stati Uniti, in realtà, l'ha già presa suo padre. Ormai sono diversi mesi che Giusva è negli Usa, si sarà calmato, è ora che torni. Cristiano ha bisogno di qualcuno che gli stia vicino, la mamma ha ricominciato ad ammalarsi, la devono operare per una cisti che s'è rivelata essere un tumore, e i continui interventi di medicina sperimentale - l'uso della chemioterapia è appena agli inizi - la indeboliscono parecchio. In casa, insomma, ci vuole un altro uomo, e Valerio potrebbe pure ricominciare a lavorare. Come attore, naturalmente. Così pensa Mario Fioravanti, ma Giusva resiste. Vuole rimanere a studiare oltreoceano, non gli interessa di fare nuovi film. La mamma sta male, ma lui che cosa può fare? «Devi tornare, hai una parte di protagonista in un film». Un film? Sì, un film. In sua assenza il signor Mario ha firmato un bel contratto per il figlio minorenne: ha un ruolo di interprete in una commedia di genere erotico-casalingo, Grazie nonna, con Edwige Fenech ed Enrico Simonetti, regia di Franco Martinelli. «Lo ricordo come un ragazzino bellissimo - ha raccontato Edwige Fenech - con gli occhi maliziosi, un bambino speciale, molto intelligente e molto educato, affettuosissimo. Lì a Tirrenia, durante la lavorazione del film, conobbi anche suo padre e gli altri due figli, Cristiano e Cristina. Mi sono sembrati ragazzi molto rispettosi verso il padre, cresciuti bene, non ho mai avuto la sensazione di una famiglia in disaccordo». Giovanni Bianconi Gli scontri in piazza Risorgimento A lato: Edwige Fenech. Giusva era in America ed è tornato apposta per girare con lei «Grazie nonna» Sopra: Cristiano, il fratello di Giusva. E' stato lui a portare la politica in casa Fioravanti. «Era stata bruciata la macchina di mia madre e allora ne abbiamo bruciato un'altra: incominciò tutto di qui». A lato: la Mambro e Giusva