Scisma tra i freudiani, Servadio se ne va

Scisma tra i freudiani, Servadio se ne va Il maestro e 15 seguaci spezzano la Società psicoanalitica italiana per fondare un gruppo rivale Scisma tra i freudiani, Servadio se ne va L'accusa: l'eccessivo potere dei baroni spegne la creatività OH MILANO 88 anni lo psicoanalista Emilio Servadio è alla testa di un movimento che se ne vuole andare dalla Società psicoanalitica italiana (Spi), il tempio dei freudiani ortodossi, per fondare un'altra società, antagonistica alla prima. Uno scisma. I seguaci sono una quindicina: «Cresceremo, ci verranno dietro in molti - esclama sicuro Servadio -. Io sarò presidente onorario». E perché vi staccate? Il patriarca freudiano dice solo che i motivi non sono teorici, dottrinari, ma misteriosamente «organizzativi». «E comunque non c'è niente di strano. In molti Paesi coesistono più o meno tranquillamente due associazioni diverse, riconosciute dalla casa madre di Londra, 1' "International Psychoanaliti- cal Association" (Ipa). Ci sono in Francia, ci sono in Brasile. Anche noi abbiamo l'appoggio dell'Ipa. Non siamo eretici». Adriano Giannotti, titolare della seconda cattedra di neuropsichiatria alla Sapienza di Roma, regge il timone della pattuglia scissionista. Dice che si sono costituiti in gruppo di studio dalla fine di luglio e che ora aspettano le ulteriori approvazioni da Londra. Insiste anche lui: «Non sono in gioco aspetti teorici, ma politici, questioni di potere: intendo la nomina di coloro che devono giudicare gli aspiranti psicoanalisti a tutti gli effetti». Viene fuori un percorso lungo e stancante: il futuro psicoanalista affronta un'analisi personale, chiamata «didattica», per chea quattro-cinque anni; poi cura un paio di pazienti sotto la guida di un supervisore anziano; poi presenta la documentazione di questi due casi: poi, se questa documentazione viene approvata, il candidato perviene all'assemblea. Non è finita: se tutto va bene, deve affrontare altri 15 casi di pazienti prima di agguantare il traguardo di membro ordinario. «Una quindicina d'anni in tutto». Come una carriera universitaria. E' in questa piramide gerarchica che si annidano le «questioni di potere» denunciate da Giannotti. Gli psicoanalisti «baroni», quelli che giudicano gli aspiranti, formerebbero una sorta di casta chiusa, pronta a emarginare, a respingere chi non è interamente rispettoso dell'ortodossia. E' così? Roberto Tagliacozzo, presidente della Società psicoanalitica italiana (426 membri fra associati e ordinari; con gli allievi psicoanalisti si giunge a 725), si trincera dietro un «Non posso parlare. Dobbiamo chiarirci le idee». Il patriarca Servadio si illumina quando al telefono sente evocare il nome di Elvio Fachinelli, lo psicoanalista e scrittore milanese scomparso tre anni fa: «Aveva ragione lui. Ora sarebbe con noi». Una confidenza rivelatrice, perché Fachinelli era sì iscritto alla Società ortodossa di psicoanalisi, ma si teneva rigorosamente e polemicamente al di fuori di ogni carriera interna. Nella primavera dell'89 ci parlava degli psicoanalisti come di un «popolo grigio e affranto, reso irriconoscibile dal salire gradino per gradino gli onori ufficiali». Per Fachinelli un'iniziazione così frustrante «educa al confor¬ mismo, estingue ogni slancio, anche perché fra i sommi sacerdoti della Spi si annidano autentici imbecilli». Picchiava duro, Fachinelli, con quella sua voce così delicata. Per lui la psicoanalisi italiana si stava rinserrando «in una fortezza burocratica dove spariscono i pazienti veri e propri e aumentano i futuri psicoanalisti». Le scuole si arroccherebbero così in «corporazioni chiuse, senza le ventate vivificanti del sociale, proprio mentre la psicoanalisi si radica sempre più nel territorio». La stessa «creatività scientifica» verrebbe ostacolata. Conclude Adriano Giannotti: «Fachinelli era agli estremi. Ma anche noi rivendichiamo più libertà e autonomia». Claudio Aria rocca A fianco Sigmund Freud con la figlia Anna. A sinistra Emilio Servadio

Luoghi citati: Brasile, Francia, Londra, Milano, Roma