Prigionieri Usa dimenticati Il Senato interroga Kissinger di Paolo Passarini

Prigionieri Usa dimenticati Il Senato interroga Kissinger Due ministri dell'era Nixon accusano: l'America abbandonò centinaia di soldati in Laos Prigionieri Usa dimenticati Il Senato interroga Kissinger WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «E' una marchiana bugia». Indignato per essere stato colpito dalla «più infamante accusa che può essere rivolta a un pubblico ufficiale», Henry Kissinger, testimoniando ieri di fronte a una commissione del Senato, ha negato strenuamente che l'amministrazione Nixon fosse a conoscenza di soldati americani trattenuti in Vietnam dopo la pace del '73 e dopo l'ultimo scambio di prigionieri. «L'avessimo saputo avremmo assunto le misure più drastiche», ha dichiarato l'allora consigliere per la Sicurezza nazionale di Richard Nixon. «Può qualcuno credere seriamente - ha recriminato Kissinger - che un pubblico ufficiale dotato di senso dell'onore possa lasciare al loro destino dei militari americani e soprattutto quelli che hanno sofferto di più per il loro Paese?». La drammatica testimonianza di Kissinger di fronte al Senate Select Committee era stata resa necessaria dalle dichiarazioni fatte lunedì, nella stessa sede, da altri due membri dell'amministrazione Nixon, Melvin Laird, segretario alla Difesa dal '69 al '73, e il suo successore James Schlesinger. Laird e Schlesinger hanno sostenuto che Nixon ordinò il completo ritiro delle truppe americane dal Vietnam nonostante «forti indicazioni che un certo numero di prigionieri non erano stati restituiti». Quando, all'inizio del '73, l'«0peration Homecoming», operazione ritorno a casa, consentì il rientro negli Stati Uniti di 591 prigionieri di guerra, solo 9 di loro erano aviatori caduti in territorio laotiano e catturati dal «Pathet Lao». Il Pentagono riteneva hanno riferito Laird e Schlesinger - che fossero almeno una ventina gli aviatori americani nella stessa situazione. In generale, i funzionari del. Pentagono. erano molto delusi per la restituzione di meno di 600 uomini, perché avevano compilato un lista di circa 2300 casi di scomparsi in azione, la cui morte non era documentata. Naturalmente, sera anche molto forte il sospetto che molti di loro fossero stati uccisi dai vietnamiti durante la prigionia. Kissinger ha solennemente affermato che sul suo tavolo non passò mai «alcuna lista», «anche se - ha aggiunto - non posso negare che esista». Infatti, l'ex segretario di Stato ha ammesso che l'amministrazione «non si ritenne mai pienamente soddisfatta della lista fornita dai vietnamiti». Lo stesso Kissinger insistette con Le Due Tho, capo negoziatore vietnamita ai colloqui di pace, per ottenere una dichiarazione scritta, secondo la quale «nessun altro americano era rimasto detenuto». Ma non riuscì ad otte- nerla. A ulteriore conferma del fatto che l'amministrazione Nixon, pur forse senza averne le prove, sospettava che i vietnamiti non dicessero la verità, c'è un'altra ammissione di Kissinger, che premette, senza successo, per una ripresa dell'azione militare per condizionare i colloqui di Parigi in corso. Ma, come Kissinger ha riconosciuto, né il Congresso né l'opinione pubblica americana, fortemente contrari alla guerra, avrebbero mai consentito a Nixon di riaprire le ostilità. Oltretutto, il presidente era già nell'occhio del ciclone dello scandalo Watergate. Così, quando Kissinger dice che, se l'amministra- zione avesse saputo, avrebbe «assunto drastiche misure», fa una minaccia retrospettiva che forse l'amministrazione Nixon non avrebbe potuto sostenere con l'azione. Esiste la trascrizione di una riunione in cui Kissinger mostra amara sorpresa di fronte a un funzionario che lo informa di come gli stessi vietnamiti avessero ammesso l'esistenza in Laos di un numero maggiore di aviatori americani prigionieri dei nove restituiti. Poche settimane dopo Nixon dichiarò solennemente alla televisione: «Tutti i prigionieri americani sono sulla strada di casa». Paolo Passarini Una pattuglia di soldati americani in Vietnam nel 1969 [FOTOAP]

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