Parigi riscopre i vecchi rancori «L'Europa è in mano a Les Fritz»

Parigi riscopre i vecchi rancori «L'Europa è in mano a Les Fritz» REPORTAGE I DEI FRANCESI Parigi riscopre i vecchi rancori «L'Europa è in mano a Les Fritz» LPARIGI A signora Catherine Trautmann, sindaco di Strasburgo, si è indignata e ha chiesto a «Tfl» di rettificare e scusarsi. Motivo deU'indignazione: un'intervista raccolta per strada a Marsiglia, e mandata in onda sul territorio nazionale lunedì, in cui un tale commentava la vittoria del «sì» nella città che ospita il Parlamento europeo dicendo: «Per forza hanno vinto i sì, da quelle parti. Gli alsaziani e i loreni sono tedeschi travestiti da francesi e hanno votato per la Germania». Catherine Trautmann è insorta, e con lei il giornale «Les Dernières Nouvelles d'Alsace» che ha definito scandaloso il comportamento della televisione di Stato che manda in onda insulti cocenti contro regioni così «profondement attachées aux valeurs patriotiques». Un episodio marginale? Una scaramuccia fra orgogli feriti? Attenzione. La Francia del giorno dopo-referendum, è entrata in una crisi brutale. Una crisi di identità che poi diventa subito una crisi di relazione esterna, di relazione con i tedeschi, amici nemici da sempre. Il cancelliere Kohl àyeva ierimella sua valigetta un fascicolo preparato dal suo ufficio studi, sul cambiamento degli umori nei confronti della Germania in tutta Europa, e un dossier più magro ma eloquente, sulla Francia. I francesi sentono, ora dopo ora, di essere stati giocati. Ritengono di aver dedicato tutte le loro energie e le loro ricchezze all'edificazione della città del Sole, o almeno di uno Stato moderno a misura del cittadino. E di aver speso un sacco di soldi per tenere in piedi una Armée prestigiosa con cui far valere, anche sulla punta della spada in caso estremo, i principi e i valori della libertà. I francesi si accorgono adesso di aver fatto un errore strategico: l'enorme vicino, che dedica ogni sua enorme spesa a nutrire l'enorme parte malata di se stesso - l'ex Ddr - di tutto ciò se ne infischia e adesso fa valere la sua forza. I francesi, ecco un dato certo sul quale in Italia si potrebbe riflettere, sono nella assoluta maggioranza fieri di essere francesi: si può essere di destra o di sinistra, contadini o borghesi, o vignaroli ma non si possono aver dubbi sul fatto che la Francia è il migliore dei mondi possibili. L'immagine che i francesi hanno di se stessi è questa: cittadini di un Paese che si è diviso fra chi dice no a Maastricht affinché la Francia possa essere goduta soltanto dai francesi e chi generosamente ammette che la Repubblica ancora nelle mani di Mitterrand possa essere goduta anche dai non francesi. Non hanno torto. L'azienda Francia funziona. Ma intanto, e questo è l'elemento nuovo, ribolle un vecchio mosto: i tedeschi, quelli che durante la Grande Guerre venivano chiamati con disprezzo «les Boches», o anche «les Fritz», all'epoca in cui i soldati raggiungevano il fronte della Marna in tassì. Esiste una meravigliosa filmografìa della crudele guerra sentimentale e militare fra celtici e teutoni, film spesso crudelissimi con Simone Signoret e Lino Ventura, ed esiste una straziante canzone di Yves Montand che si apre con il rumore cadenzato dei tedeschi che marciano cantando l'inno delle «SS», lentamente sommerso dall'inno dei maquizards che rispondono an'ordine di insurrezione: «Ohe camarades, sortez de la paille les fusils, la mitraille, les grenades». Canzoni e film che attingono ad un odio antico e non contingente, un rancore vendicato da Bonaparte e poi restituito con l'invasione del 1870, vendicato ancora con la vittoria del 1918 e controvendicato dai tedeschi con l'occupazione e l'atto di resa firmato dopo l'occupazione di Parigi. Poi la vittoria, l'occupazione della Germania delle quattro potenze fra cui la Francia, la guerra fredda e tutto quel che è seguito fino alla caduta del Muro, la mor- ;.: .h te della Rft e la nascita, la rinascita, dell'enorme vicino tedesco. Ieri il potente vicino tedesco, lo stesso Helmut Kohl che è andato benevolmente a Firenze per dare con le sue manone una pacca sulle spalle di Giuliano Amato, è venuto amichevolmente a stritolare la mano cerea di FranCcois Mitterrand, il buon re francese malato e sofferente. Intanto, l'emblematico m'sieur Dupont, dopo essersi azzuffato con suo cugino Marcel, il cognato Pierre e il portinaio Dubois sul voto di domenica, è rientrato bruscamente in sé e ha visto di colpo stagliarsi l'ombra del Muro il chiodo dell'elmo gughelmino ben calcato sulla testa del cancelliere. «Ci risiamo», è stato il grido d'allarme di cui si trovano numerosi esempi come quello del cittadino marsigliese e di madame Trautmann che rifiuta l'accusa di tedescofilia e indignata ricorda ai meridionali che l'inno nazionale, la Marseillese, ad onta del suo nome fu cantata per la prima volta a Strasburgo. La radice tedesca del cognome Trautmann non deve ingannare, come dimostra la storia di Valmy che è il centro dell'amore-odio franco-tedesco... Proprio il 20 settembre, il giorno in cui la Francia votava lo stentato sì per Maastricht, si celebravano anche i duecento anni della battaglia di Valmy, vera madre di tutte le battaglie, quella in cui, al grido di «ga ira» e della Marsigliese, le truppe volontarie francesi batterono per la prima volta i prussiani del vecchio e prudente duca di Brunswick. Il generale francese che portò le truppe rivoluzionarie all'assalto incuranti dell'artiglieria tedesca, si chiamava Kellermann, un pennacchio tricolore sulla punta della spada e sulle labbra il grido di «Vive la Nationl». Come si sa, il più grande poeta tedesco, Goethe, che seguiva il duca di Weimar, perse la testa per i francesi e gridò: «Da questo luogo, da questo giorno data un'epoca nuova della storia del mondo e voi potrete dire: io c'ero». La battaglia di Valmy, «le Termopili di Francia», con il francese Kellerman vincitore sui tedeschi e il tedesco Goethe che sente in petto un cuore tricolore, rappresenta e contiene tutta la tragica duplicità dei sentimenti franco-tedeschi. Oggi il pericolo tedesco non è vissuto come un'aggressione mi- litare corazzata> ma comunque come un attacco violento e a pieno regime di una potenza che non guarda in faccia a nessuno: eccoli là, grida Dupont: con i loro marco-panzer dilagano di nuovo fino a Parigi. La Borsa va in collasso, il franco cede all'attacco, e non si vede né Kellermann con il tricolore e la spada, né si sente Goethe cantare l'alba della nuova era. La frustrazione francese è grande, perché ancora una volta la generosa Marianna rischia di perdere un primato di civiltà, di fronte alla brutalità e i francesi sono colti dal sospetto di aver pagato troppo caro il loro Stato funzionante, la sua classe politica allegramente corrotta, la politica di intervento militare nel Golfo, la disponibihtà a battersi per la Bosnia, l'ospitalità ai fuggiaschi, alla gente del Terzo Mondo e alla fiorentissima comunità degli esuli dell'Est, che qui hanno trovato asilo, editori, sostegno e solidarietà. I tedeschi non hanno fatto nulla di tutto questo, protesi verso l'Est prima del muro, e impegnati ad assimilare l'Est dopo il muro. Paolo frizzanti