Penultimo atto in scena all'Eliseo Recita il pallido, divino Francois

Penultimo atto in scena all'Eliseo Recita il pallido, divino Francois RITRATTO Penultimo atto in scena all'Eliseo Recita il pallido, divino Francois L'AGONIA « » ■PARIGI L re in questo caso non è nudo, ma sempre più solo. Lui 10 sa e riesce ad amministrare il suo stesso declino. Fa di più: lo somministra giorno dopo giorno ai francesi preparandosi e preparandoli all'epilogo. E' un gioco crudele, perché i francesi lo conoscono, lo riconoscono e non gli concedono gratificazioni. Il risultato più che tenue del referendum non è un premio, anche se non è un licenziamento in tronco. E' un invito: i titoli dei giornali chiedono la sua fine; la gente per strada non parla d'altro: ne hanno piene le tasche di quest'uomo sempre in sella come un super-Andreotti camaleontico e ammaliatore, ma di cui non se ne può più. Lui lo sa, loro lo sanno, lui sa che loro sanno, e così via. Ma - ed è qui la sua grandezza, benché livida - Mitterrand se ne andrà se e quando lo deciderà. Non si farà imporre nulla da nessuno. E, prima di morire politicamente, ha fatto sapere che la distanza fra il suo fisico e la morte si è raccorciata. In questo modo ha aperto un gioco di specchi e di porte segrete che stanno facendo impazzire gli addetti, gli analisti. Lui lo sa. E sa che gli altri lo sanno. Pallido, gioca l'immagine della sua morte trasfigurando nell'immateriale, anche se il suo medico di fiducia ripete che un uomo di 76 anni con un carcinoma alla prostata come il suo, può vivere ancora per altri quindici anni: 13 in più di quelli che lo separerebbero dalla fine naturale del suo mandato. Nel metrò si colgono mugugni contro di lui che ribollono come un mosto: «Basta, non se ne può più, è ora di cambiare aria», dice 11 francese medio e quello meno che medio, sempre sbuffante, insofferente, non di rado insopportabile. La notte dei risultati ho seguito la televisione fino alle quattro del mattino, quando finalmente sono terminati i dibattiti fra politologi e costituzionalisti che si accanivano sulla Costituzione francese, i diritti del popolo, le prerogative del presidente, e si chiedevano se davvero è possibile consentire a un uomo, un solo uomo, di reggere il potere per 14 anni, cioè praticamente a vita. E i francesi constatavano, con quel loro modo di discutere serrato e violento senza per questo essere mai litigioso, appassionati e cartesiani: qui i tempi del generale De Gaulle, di quella V Repubblica che proprio Mitterrand esecrava e definiva «un colpo di Stato permanente», sono ricordati come un momento necessario, ma rozzo. Si compiacevano di constatare, più o meno tutti e malgrado i diversi accenti, del fatto che la Francia ha realizzato una forma di democrazia sofisticata, cresciuta man mano addosso al corpo elettorale: al presidenzialismo militaresco e carismatico si sono aggiunti poteri crescenti del Parlamento, e poi il diritto al referendum. Un referendum che Mitterrand poteva certamente evitare, ma rompendo un patto non scritto di cui proprio l'inquilino dell'Eliseo è tutore: i francesi vogliono essere legislatori di se stessi, quando si tratta di questioni di importanza vitale. E se il presidente detiene le chiavi del referendum per conto del popolo, è bene che il presidente goda di una vita politica più lunga e separata da quella di cui vive il Parlamento. La conseguenza logica che gli analisti traevano è che il presidente non ha fatto altro che il suo dovere: è suo dovere istituzionale, anche se non imposto dalla Costituzione, mettere in gioco e a rischio se stesso nel caso in cui la materia su cui deve legiferare il popolo con il suo «sì» o il suo «no» il referendum da lui convocato riguardi una materia sulla quale il presidente ha speso la sua autorità. Insomma, la Costituzione materiale francese prevede e sempre più prevedere, il caso in cui un presidente si giochi la testa alla roulette del referendum e, nel caso che perda, se ne vada. Del resto, l'unico caso di referendum perso da un presidente francese fu quello del 1969 dal generale De Gaulle, il quale se ne andò sui due piedi non perché fosse un uomo stizzoso e un caratteraccio, ma perché il meccanismo che lui stesso aveva messo in piedi con l'aiuto di Michel Debré prevedeva implicitamente questo caso. A quell'epoca, quando De Gaulle lasciò le redini della Repubblica da lui creata 11 anni prima, Francois Mitterrand era uno stagionato giovanotto che abbordava spudoratamente si¬ gnore e signorine quando, nel tardo pomeriggio, andava ad acquistare «Le Monde» all'edicola di St. Germain des Près. Se lo ricordano ancora: spalancava il giornale, lo portava all'altezza del viso, e scrutava. Quando vedeva una preda appetibile, partiva all'attacco con tutta la galanteria e tutta la decisione, senza alcun pudore e spendendo il fascino indotto dalla sua immagine pùbblica di uomo politico notissimo. Già era stato per 11 volte mistro e poi candidato alla presidenza della Repubblica nel 1965, quando convocò una conferenza stampa all'hotel Lutétia, albergo carico di cimeli storici piuttosto sinistri (la Gestapo l'aveva requisito e trasformato in sua triste tana) e che aveva visto piuttosto spesso l'intraprendente Mitterrand come ospite frettoloso. La fama di gallo, di tombeur de fammes, di amatore «insaziabile» (aggettivo che non gli veniva risparmiato nelle cronache) sembra che abbia tonificato a lungo la sua immagine, anche perché Mitterrand non ha disturbato la pubblica opinione con un divorzio, come ha fatto invece Rocard tirandosi addosso antipatie ulteriori a quelle che si porta dall'inizio per essere protestante in un mondo cattolico: l'ateismo intellettuale è protetto e garantito, così come una vita amatoria frenetica e allegra; ma ereditare l'eresia ugonotta e mettere il letto coniugale in piazza non sono cose che piacciano all'elettore medio della Francia media, che vuole messaggi chiari e formaggi nazionali. Il quartiere latino, quello delle più belle avventure politiche e feinminiU di Mitterrand, la città pulsante nella sua stessa città, con le sue brasserie, i suoi caffè e le sue librerie, lo ha premiato con il voto: più del 70 per cento dei sì è la percentuale del 6° arrondissement, ed è la più alta di tutta Parigi, come non ci è stato difficile prevedere. E il quartiere degli immigrati, il quartiere nero del 18° arrondissement, quello che crea ansie alla residua minoranza di francesi di pelle bianca (rarissimi) lo ha castigato di più: il sì non ha superato il 58,45 per cento ed è la percentuale più bassa di tutta Parigi. Parigi comunque nel suo complesso ha votato sì, ha sostenuto Mitterrand, e se non ci fosse stato il suo voto, la testa del re repubblicano sarebbe già caduta nel paniere. Il fatto che sia ancora sul suo collo però non deve far pensare che sia salda. Il re è l'ombra di se stesso, ed è anzi molto impegnato a sottolineare il suo stato larvale. La sua voce, quella che abbiamo sentito nel messaggio della vittoria, sembrava registrata cupamente daU'oltretomba. Il suo passo è lento e grave. Il colorito pallido. Naturalmente tutto ciò è normale, per un signore di 76 anni appena operato di prostata e con una diagnosi infausta nel taschino. Ma Mitterrand, mostrando la sua maschera reale di uomo malato reale, promuove la coincidenza della sua agonia politica con quella del suo decadimento fisico. L'uomo è anche un grande artista, un geniale tattico, un grandioso e per così dire generoso egoista. Uscirà di scena, ma soltanto quando lui avrà deciso che lo spettacolo è finito. Paolo G lizzanti Nella foto grande presidente Mitterrand Qui accanto i due capi della fronda gollista anti-Maastricht: Seguin (sopra) e Pasqua [FOTO AP-ANSA-EPA]

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