Bossi: farò meglio di Mussolini

Bossi: farò meglio di Mussolini Comizio in dialetto al paese natale: Varese e Monza? O il voto o morte Bossi: farò meglio di Mussolini «La mia marcia su Roma cancellerà la sua» LE ELEZIONI upi ACASSANO MAGNAGO LLE due di notte Umberto Bossi chiede pietà. Che festa quella festa dell'altra notte, qui a Cassano Magnago nel Varesotto dove è nato 51 anni fa, dove una volta la celebrità era il ciclista Gianni Motta, dove arriva la mamma, la mamma di Bossi, nessuno la riconosce e quasi la mandano via. «Ma sono la madre del festeggiato, mio figlio compie gli anni», dice lei. «Va bene, e vai pure a cagare», le risponde un funzionario della Digos, poverino, oggi per lui cavoli amari, non si sfiora la mamma del Capo. Soprattutto quando brinda. Quand'è, come giusto, felice di essere la mamma di Bossi. «E l'è propi un bel fleti», se lo guarda da lontano. Sarà anche un bel figliolo questo Bossi che compie 51 anni, però la politica è una cosa seria. Qui, a Cassano Magnago, dove appunto è nato, c'è la folla che lo vuole, lo applaude, urla il suo cognome e costringe il cronista a prendere banali appunti: «Mi chiamo Umberto Bossi, ma non sono Umberto Bossi. Però sono orgoglioso di un nome e cognome così!», e tira su il calice di bianco. Prosit! Il parroco, alle dieci di sera, se l'è svignata: batti pure le campane, ha lasciato un messaggio al campanaro Ernesto. Don, din, dan!, anche la parrocchia festeggia il boss. E anche la Digos di Varese, che qui ha mandato il suo meglio. «Possibile?», si domanda Bossi. Possibile, come no. Una folla di Digos e carabinieri in borghese. Una folla di parlamentari anche loro in abiti borghesi. Il milanese Formentini. Il bresciano Vito Gnutti. La trentina Elisabetta Bertoni. Il torinese Mario Borghezio. Tranne Francesco Tabladini, il senatore Tablasnikov della Val Trompia, quello della lira che è diventata lega, proprio tutti. Pardon. Mancava, come capita spesso nelle adunate oceaniche, il senatore «primus inter pares», Sua Maestà Gianfranco Miglio. Ma era assenza giustificatissima, ieri era previsto che partecipasse alla festa missina milanese. E allora festa sia, per questi 51 anni di Bossi. Festa leghista. Festa da Lago Maggiore, che è appena dietro le colline. Festa bella, suvvia, con le mogli degli onorevoli e dei senatori che stanno lì, sedute ad un tavolaccio come signore qualsiasi ad aspettare la torta di panna, blu e rossa, il guerriero di Alberto da Gius: ano, le candeline. Lui si fa attendere, dopo il comizio è ri- masto in mezzo ad una piccola folla di parrucchiere di Varese (sì, proprio così) e giovani notai della provincia (proprio così). Una folla tutta da raccontare, tutta raccontabile: quelli che lo votano, forse non lo avevano mai votato, ma lo voteranno. Comizio in dialetto, quello dei 51 anni di Bossi. La madre lo aspetta, i figli no, perché sono sull'albero della cuccagna a Gemonio dove abita, e lui parte. Parte proprio da lontano, da quello che si chiama Umberto Bossi come lui e da anni si pren¬ de le telefonate dei giornalisti: «Ti ricordi? Ero un pirlone qualsiasi, no? Uno stupidotto, un razzista. Quanti soldi ti darebbero oggi?». Si diverte il Bossi che gioca in casa, a casa sua. Vai con il dialetto, che qui non rende come dovrebbe: il «balabiott», il «busitt», il «Pigiunatt» che sarebbe il Giancarlo Pigionatti, giornalista della «Prealpina», che non sbaglia un risultato del Varese. Ma il Bossi che parla in casa non può tacere la sua potenza. Ha telefonato a Scalfaro e al mi¬ nistro dell'Interno Mancino: «Vogliono rinviare le elezioni a Varese, casa nostra. Lo impediremo, faremo una marcia su Roma che quella di Mussolini era una cagatina». Siete pronti, voi? Ma sì che sono pronti. Pronti e a vederli frementi. Dal palco Bossi non ha più bisogno di urlare. Manuela, la sua protettiva compagna, ha preparato la camicia bianca e la maglietta di flanella.Robertino, il figlio, lo vorrebbe aspettare per la torta del compleanno: «Mangiala tu che papà torna tardi». E' il Bossi paterno, questo, dal volto umano. Quando arriva sul palco di Cassano Magnago, Bossi si stravolge. L'attacco è a Mancino, al decreto che blocca fino alla prossima primavera le elezioni a Monza e nella sua Varese: «E' un golpe!», grida. Trionfo di applausi. Annuncia che lo vorrebbero martedì a Milano, in mezzo ai cancellieri del Tribunale che saranno in sciopero contro il decreto di Giuliano Amato. Annuncia che, stesso giorno e stessa ora, a Roma lo aspetta anche Giorgio La Malfa, segretario del pri: «Ma se vuole parlare con me, prima deve dichiararsi contro il rinvìo delle elezioni a Monza e Varese. Non è vero che c'è il commissario, c'è il podestà!». Che notte, l'altra notte di Bossi. Cinquantuno anni non sono pochi, ma a sentir lui sono pochissimi. A vederlo, circondato da fedelissimi, fa davvero paura. Ascoltare, prego: «Umberto, avevi ragione tu: quando io andavo all'università, dovevo prendere il treno per Milano e ci mettevo due ore. Adesso, anche mio figlio ce ne mette di più!». Vero. «Umberto, da qui a Como sono trentacinque chilometri e faccio prima in bicicletta». Verissimo. E alle tre del mattino, Umberto Bossi si prende su la sua manimetta e torna a Gemonio: «Visto che festa mi hanno fatto?». I deputati leghisti lo salutano da lontano: «Visto che festa gli abbiamo fatto?». Si rivedranno domenica prossima per la Marcia su Roma. L'ha detto Lui l'altra notte: «O Elezioni o Morte». Giovanni Cerniti «I repubblicani? Dicano che Mancino ha fatto un golpe Poi parleremo» Il leader della Lega Umberto Bossi Giorgio La Malfa Sopra: Nicola Mancino