ISTITUTO BOSSO

ISTITUTO BOSSO diSfuola ISTITUTO BOSSO «Era una scuola tutta femminile Il '68 ce l'hanno solo raccontato» Fi LORIA Dallimonti, del '57, ci ha mandato la foto della 2a B, dell'Istituto Professionale per il Commercio «Va- tentino Bosso» di via Meucci, anno scolastico 1972/73. Oggi è ima gióvane signora bionda, abita in via Buriasco 1/D a Mirafiorì Sud, è sposata, ha una figlia di 11 anni, Ilaria, ed è impiegata al San Paolo da oltre dieci anni. Il curioso nome deriva da uno sbaglio dell'anagrafe. In realtà la signora si chiama Fulvia. «Quando mio padre andò allo Stato Civile l'impiegato si sbagliò a scrivere e da allora il nome ufficiale è quello anche se per tutti sono Fulvia». «Eravamo una classe tutta femminile - racconta - col grembiule nero fino in terza. La scuola era severa, ma mi piaceva studiare. Quella severità serviva, anche se lo dico soltanto adesso. Ricordo molto volentieri la professoressa di francese Zagrebelsky, che credo fosse la sorella del giudice, e l'insegnante di tecnica, severa, all'antica, ma giusta, e che purtroppo non ricordo come si chiamava. Non, voleva per esempio le interrogazioni programmate, perché diceva che bisogna studiare sempre, non solo ogni tanto. Tra le compagne mi piacerebbe rivedere Maria Teresa Bongiovanni, che abitava a Madonna di Campagna. Eravamo amiche, ci vedevamo anche fuori. Andavamo a ballare al Prive, dove ho poi conosciuto mio marito, al Tuxedo, allo Shaker. Io mi disperavo perché avevo i brufoli, i capelli grassi, ero dedotta e imbranata. Le mie compagne uscivano coi ragazzi, si mettevano il rossetto, io avevo ancora le calzine corte. Al sabato pomeriggio andavamo a passeggio in via Roma, senza comprare niente, alla sera sempre in casa. Ricordo bene anche Sandra Zerbini, Tiziana Rachetto che faceva nuoto agonistico, la Rosanna Alciati che portava i primi pantaloni a zampa d'elefante, si truccava, insomma era la miss, e la povera Donatella Mazzi, una ragazza dolcissima, che già nel '70 aveva avuto trapiantato un rene. Ha tribolato per tanti anni con le dialisi, finché è morta nell'85 a 29 anni. L'unico rimpianto è di non aver continuato a studiare; se avessi proseguito ancora due anni prendevo il diploma di perito aziendale e lingue estere. Ma ero sempre senza una lira e volevo mettermi subito a lavorare per diventare indipendente. Così mi sono diplomata a giugno e a settembre, a furia di chiedere e girare, ho trovato il primo posto, era il 1974, in una piccola ditta in corso Vercelli. Allora abitavo coi miei in via Patetta vicino a piazza Rebaudengo. Mi ricordo che il primo stipendio fu di 150 mila lire». Com'era la scuola vent'anni fa? «Per esempio il '68 l'abbiamo sentito quasi mente. Avevamo molti professori anziani, poi eravamo tutte ragazze, femminismo neanche l'ombra, non si parlava nemmeno di scioperi e picchetti. Ce li raccontavano i ragazzi del Leonardo da Vinci, o del Boselli. Solo in terza ho cominciato a muovermi di più, andando per esempio ai primi consultori femminili dell'Arci e della Croce Rossa. C'era una ragazza Ivana Parisi che era impegnata, ma più per conto suo, non ci informava tanto. Poi ricordo bene è che eravamo andati a vedere il film "Jesus Christ Superstar" che aveva fatto scalpore. Sentivamo anche le cassette a scuola. Ma nell'intervallo, naturalmente». Renato Scagliola

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