MORAVIA E LA MORANTE IN ESILIO CON LA BIBBIA

MORAVIA E LA MORANTE IN ESILIO CON LA BIBBIA MORAVIA E LA MORANTE IN ESILIO CON LA BIBBIA Dopo V8 settembre, la fuga sui monti laziali to in Vaticano da padre TacchiVenturi, ma il gesuita, che avrebbe preferito che la sua pupilla diventasse una brava dattilografa invece che la moglie di un tipo losco, si era dichiarato ostile ad Alberto Moravia e favorevole ai fascisti. Elsa Morante avrebbe potuto restare a Roma e magari diventare una brava dattilografa sempre più fervente cattolica e ubbidiente a padre Tacchi-Venturi, ma aveva deciso di partire per Napoli con il marito. Correva voce che i treni per il Sud funzionassero ancora. Alberto Moravia che, al contrario della moglie, ha ricordato più volte la presenza di Elsa Morante al suo fianco nell'esilio di guerra, a partire dai primi colloqui al magnetofono con Enzo Siriaco pubblicati nel 1971 presso Longanesi e sviluppati nel 1982 presso Bompiani per finire con la lunghissima confessione recitata al magnetofono di Alain Elkann ed edita sempre presso Bompiani poco dopo la morte Moravia e la Morante all'epoca del loro dello scrittore nel 1990 a doppia firma dell'intervistato e dell'intervistatore, ci ha lasciato uno straordinario resoconto di quell'esperienza: «Così una mattina partimmo. Prendemmo una valigia, ci mettemmo dentro la roba di toilette e il necessario per l'estate. Già, perché l'idea era questa: gli inglesi arrivano tra dieci giorni siamo d'estate, perciò è inutile portare roba pesante: Elsa aveva un vestito di cretonne a fiori e io una grisaglia leggera. Andammo alla stazione, era tutta piena di camicie nere per l'arrivo di un gerarca tedesco: ebbi quasi l'impressione che fossero lì per noi. Dissi: "Adesso ci prendono". Invece acquistammo il biglietto per Napoli, il bigliettaio ci guardò un po' storto, ma non disse nulla. Salimmo sul treno. Quasi subito il treno si mosse. Tan! Tan! Tan! E cominciò a correre. Era una bellissima giornata di un settembre particolarmente caldo e sereno, insomma si stava benissimo...». Ma presto il treno si fermò in una stazione deserta. C'era solo un ferroviere che ripeteva che tutti dovevano scendere, per un semplice, brutale motivo. Non c'erano più rotaie a causa dei bombardamenti. Qui il resoconto diventa un sogno. Degli altri costretti a scendere dal treno, non c'è più traccia. Elsa Morante e Alberto Moravia sono soli in un gran frinire di cicale. Trascinando la valigia s'incamminano per un sentiero polveroso tra siepi di more. Così arrivarono a Fondi, ma tutto era chiuso, sprangato, gli abitanti erano scappati. Alla fine, trovarono qualcuno disposto a ospitarli nell'attesa degli inglesi, ma gli inglesi non si fecero vivi, in compenso si parlò sempre più di retate tedesche. E una mattina Alberto Moravia in grisaglia a doppio petto ed Elsa Morante in svolazzi di cretonne, caricata la valigia su un asino cominciarono a salire la montagna e approdarono a una comunità di ciociari retta da Davide Marocco, un giovane, che si era salvato dalla leva perché aveva un occhio strabico. Ebbero una piccola stanza appoggiata alla parete della montagna, con un tettino di lamiera e dentro un lettone, fatto di due supporti di ferro e tre tavole, con matrimonio, celebralo nel '-ti un sacco di foglie di granturco, che occupava quasi tutto lo spazio e scricchiolava, frusciava e bramiva a ogni movimento. Non c'era pavimento, ma terra battuta. Una volta al giorno, a metà del pomeriggio la comunità di ciociari, anzi di ciociare, perché, a eccezione di Davide Marocco e Alberto Moravia, c'erano solo donne, si radunava per mangiare. Sedevano su segmenti di tronchi d'albero intorno a un fuoco su cui stava sospesa una marmitta con dei fagioli in bollore. Ognuno aveva una fettina di pane da inzuppare di sugo di fagioli e un bicchiere di vino acido per tirarsi su di morale. Nella capanna non c'erano finestre e il fumo del braciere, oltre ad affumicare le salsicce appese al soffitto, faceva piangere tutti. Alberto Moravia ed Elsa Morante non avevano troppo da fare. Non avevano inchiostro né penna per scrivere. Avevano solo due libri, 1 fratelli Karamazov e la Bibbia. In mancanza di carta igienica ricorsero a Fjodor Dostoevskij. La Bibbia, la conservarono per rispetto, ma la lessero meno di quanto si sarebbe potuto immaginare. In realtà, non facevano che aspettare gli alleati e il ritardo dell'evento e la ridda di voci buone e cattive e soprattutto false li sfibrava. «Tutte queste cose le ho dette meglio e più dettagliatamente nel mio romanzo La ciociara. La sola cosa che vorrei esprimere e che non ho detto nella Ciociara è che questa attesa delle truppe alleate, questo vivere sempre all'aperto immersi nella natura, questa solitudine formavano intorno a me un'atmosfera insieme disperata e piena di speranza che non ho mai più ritrovato da allora», si può leggere nella lunghissima confessione di Alberto Moravia a Alain Elkann. «Elsa si comportò con molto coraggio e molta serenità durante tutto il soggiorno a Sant'Agata: in condizioni così difficili rivelava qualità che non apparivano spesso nel tran tran della vita quotidiana. Era una persona che, per così dire, viveva nell'eccezionale e non nel normale. E in guerra l'eccezione è la regola...». Dallo stanzino e la capanna, da quella specie di stalla del disagiato esilio di guerra a Sant'Agata in Ciociaria derivano per gran parte due dei maggiori romanzi italiani della seconda metà del Novecento: appunto La ciociara di Alberto Moravia, in cui la località resta in Ciociaria, ma il nome della località è cambiato in Sant'Eufemia, e La Storia di Elsa Morante, in cui si verifica un cambiamento di località e conseguentemente di nome, dato che si tratta del quartiere di Pietralata di Roma, ma lo stanzone che accoglie gli sfollati de La Storia pare una stalla come la capanna di Sant'Agata, un coacervo di umanità disperata e sofferente e proprio per questo più drammaticamente e prepotentemente viva. Alberto Moravia cominciò a scrivere La ciociara quasi contemporaneamente a La romana, subito dopo la fine della guerra. Ne scrisse un'ottantina di cartelle che ritrovò in un cassetto tredici anni dopo, mentre era in crisi per la stesura di un altro romanzo e anche per la narrativa in generale. Non ricordava neppure perché avesse interrotto quel tentativo, ma, rileggendolo, lo trovò di suo gradimento, e si dedicò con molta energia a La ciociara che uscì nel 1957 al solito presso Bompiani, ed ebbe un notevole successo, anche di critica. E' restato a lungo, prima dell'uscita de La Storia di Elsa Morante nel 1974 presso Einaudi, quasi l'unico libro sulla tragedia italiana di quegli anni. «Col presente libro, io, nata in un punto di orrore definitivo (ossia nel nostro Secolo Ventesimo) ho voluto lasciare una testimonianza documentata della mia esperienza diretta, la Seconda Guerra Mondiale, esponendola come un campione estremo e sanguinoso dell'intero corpo storico millenario. Eccovi dunque la Storia, così come è fatta e come noi stessi abbiamo contribuito a farla», scrisse per la nota introduttiva all'edizione americana de La Storia. «Essendo, per mia natura poeta, io non ho potuto fare qui, che un'opera di poesia. E in proposito l'esperienza m'insegna che purtroppo anche la poesia può, a molti, servire da alibi. Come se la poesia dovesse accontentarsi della propria "bellezza", fosse solo un arabesco elegante tracciato su una carta. Allora io devo avvertire che questo libro, prima ancora che un'opera di poesia, vuol essere un atto di accusa, e ima preghiera...». Oreste del Buono