Parigi, tra i misteri dell'attesa di Paolo Guzzanti

Parigi, tra i misteri dell'attesa Il voto si carica della protesta della banlieue dimenticata contro le utopie della capitale Parigi, tra i misteri dell'attesa Incertezze, paure e dubbi dell'ultima ora PARIGI DAL NOSTRO INVIATO La più bella e drammatica foto la pubblicava ieri «Le Soir». Francois Mitterrand appare pallido e melanconico come un Amleto malato di Aids, intabarrato in un pastrano grigio, sottoposto alle ombre di una lobbia minacciosa. Quest'uomo ha messo in gioco la sua sorte convocando il popolo alle urne, per forzare la Francia ad un plebiscito, per quanto risicato. In queste ore nessuno si sente di dire se vincerà o perderà, ma il risultato su Maastricht non sarà fondamentale. Importante, sicuramente; e in particolare per noi. Ma non riguarda le chiavi della vita e della morte. La malattia fisica di Francois Mitterrand diventa dunque una esaltazione didascalica di un malessere sempre meno sottile: Parigi, che è sempre stata il cuore materno e anche l'antagonista matrigna del resto del Paese, soffre del cancro delle periferie urbane in stato di rivolta latente, che oggi useranno la scheda come un'arma. Di conseguenza, già da alcuni mesi questa città nella città, il grande borgo parigino, si va facendo esangue in sintonia con il suo presidente. Il cielo è plumbeo, l'estate ha abbandonato sul pavé un alito residuo su boulevard St-Germain. Questo è il centro del centro, questa è la folla veloce dei volti intelligenti. Eccoli (le generazioni si succededono ma i tratti restano e sono riconoscibili in modo miracoloso) i giovani che hanno costituito il nerbo della sinistra riformista e delle sue varianti giacobine. I francesi, questi francesi particolari della Parigi riformista, universitaria, consumatrice di libri e di cinema, sono voraci consumatori di tragedie altrui*, famelici 'di reportage sulle miserie somale e jugoslave. E spesso ciechi. Guardano tutto il mondo e finiscono per trovare se stessi. Ai chioschi dei giornali di questo cuore antico e ben irrorato, la gente bofonchia. Hanno tutti voglia di parlare: «Oui, monsieur, voterò oui. Non è per l'Europa, non soltanto. La Francia morrà asfissiata, se perde l'Europa». Alle edicole il loro sguardo si ferma spesso sulle foto di Mitterrand, uomo ingombrante e sorprendente, tattico e tragico: «Sta cercando la morte politica e quella fisica», dice una signora con i due giganteschi inserti del «Figaro». E aggiunge: «Sta seguendo le orme del genaral De Gaulle: si impiccherà anche lui al suo stesso referendum». In nessuna grande città del mondo occidentale tanta gente sta con libri e giornali in mano, siede a leggere nei caffè e sulle panche dei giardini pubblici. Anche i clochard, i barboni, sapienti, qui come a New York leggono chili di carta stampata, prima di usarla come giaciglio. Tutta questa umanità, sia che voti, sia che si astenga, è nettamente a favore del sì. Nella grande cintura, l'umore e i sentimenti cambiano, precipita il rapporto con la curiosità, la cultura, il consumo delle idee, e si infiammano sentimenti e risentimenti di rivalsa, di rancore, di vecchie frustrazioni che chiedono vendetta. ;_ _ * _ Sorio-i francesi di-sangue arabo che hanno dovuto attendere una generazione prima di avere il diritto di voto, e che adesso non sopportano l'idea che nella futura Europa qualsiasi portoghese voglia piantare le tende qui, acquisisce il diritto di voto. Ma quella Francia parigina rabbiosa, incattivita, estremista di destra e di sinistra, è lontana da St-Germain e da Boul'Mich: bisogna come minimo arrivare alla cintura di Barbes, scendere nel metrò di St-Germain e salire sui treni per porte Glignamcourt. E quella è l'altra Parigi: ora tetra e simile al Bronx, ora una copia -gigante di Milano 2,-la città sateHife con i stf^micròsatelliti, un mondo di separati, di stazioni stellari nemiche e sconosciute fra loro. Nel giardino di quella che una volta era Square de la charité, ribattezzata con il nome di Taras Chevtchenko anche gli odori, i colori e le espressioni umane sono quelli di un tempo, ma con i segni della stanchezza, i sintomi di una caduta di felicità, di entusiasmo, di quella cosa vaga e forse puerile che qui si chiamava semplicemente joie de vivre e che adesso somiglia di più al «cupj.p dissolvi». Tuttavia, ed è miracoloso, malgrado ^aggressione del male, uohiffìì ecose svoljgbno il loro ruolo: colombi, amori e disperazioni sono lì, in ordine lirico, come nelle filastroccheinventario di Jacques Prévert. Le prime foglie morte di ippocastano volano insieme ai piccioni, una studentessa elegante e pallida legge con attenzione non priva di alterigia un libro non meno pallido di lei. Su un'altra panchina si tengono la mano due vecchi sposi che non hanno bisogno di parole, e poi ancora due adolescenti innamorati, un barbone con il suo giornale, un barbuto solitario affranto che mima la tentazione del suicidio, due bambine bionde e sottili che giocano con la sabbia del parco, sulla quale nessun mare cancellerà mai le orme dei separati. Mi rispondono ad uno ad uno, gentilmente e con l'aria di fare il proprio dovere: «Sono coglionerie» (il clochard lettore), «non votiamo ma siamo per l'Europa» gli studenti innamorati, la studentessa con il libro dice «voto sì, ovviamente» e se ne va sdegnata, «dipende dal tempo» dicono sorridendosi negli occhi i vecchi coniugi. Qui i sondaggi dell'ultim'ora sono proibiti, ma si sente netta la prevalenza del sì. Maurice, nero della Martinica («je travaille comme un negre» sghignazza con l'aria di chi ha collaudato la battuta) dà la spiegazione più sintetica e attpndibile: «La gente che ha i soldi è a favore di Maastrich, perchè' vede crescere l'albero del denaro. Dicono Europa, ma si pronuncia conto in banca, mi creda. Per la gente normale, per chi, come me, lavora come un negro, mi creda: sono soltanto trucchi e fumo negli occhi». La bella e ammaliante chiesa di Saint-Germain con i suoi festoni di rampicanti di molte gradazioni di verde è assediata dalla folla dei parigini felici, dei turisti e di altri parigini in lacrime. Donne sempre più alte, giovani, eleganti, di passo svelto e prive di civetteria, o con la civetteria dell'ascetismo. La libreria «L'écume des pages» è affollata di ragazzi che frugano la cultura, la perquisiscono, la frequentano, la disprezzano, magari, ma sempre citandola a proposito. Si sta in libreria come in bibliolteca, fra giovani e meno giovani che si sono dati e hanno conservato un'impronta immateriale, un passo e uno sguardo da creature incorporee. Parigi divisa fra un centro assediato e una periferia incandescente e sprezzante, è in qualche modo una metafora del Mitterrand malato: lo rappresenta, ma anzi lo incarna, perché se è vero che oggi i francesi voteranno prò o contro l'Europa, è anche vero che voteranno in modo tale da dare la misura di quanto resta di vivo e quanto è morto di questo socialismo in salsa gollista. m Parigi riverbera la sua infermità e ne accompagna il malessere. Questi boulevard sono quelli delle grandi barricate, del «Joli Mai», dove si sono esercitati i figli della borghesia prima di diventare manager, professionisti. La sua metastasi corre nella vecchia gloriosa banlieue, quella che fra il 1920 e il 1960 è stata il grande territorio di Maurice Thorez, di Jean Gabin e del film nero francese, di fioraie che vendono rami di lillà. Oggi quel territorio è conteso dagli immigrati, disoccupati ed emarginati, con un tasso di malumore crescente verso ParigiUtopia, che diventa odio. Quest'odio, assai più dell'amore o il disamore per l'idea d'Europa, sarà domani misurato nelle urne. Paolo Guzzanti In centro giacobini ed europeisti Nelle periferie la rabbia del no INTENZIONE DI VOTARE SI' SU 100 SUFFRAGI (SONDAGGIO IFOP - L'EXPRESS DEL 7 SETTEMBRE 1992) INTENZIONE DI VOTARE NO SU 100 SUFFRAGI (SONDAGGIO IFOP - L'EXPRESS DEL 7 SETTEMBRE 1992)

Persone citate: De Gaulle, Francois Mitterrand, Jacques Prévert, Jean Gabin, Joli, Maurice Thorez, Mitterrand, Taras Chevtchenko